L’irrazionale razionale in Massimo Bontempelli
L’irrazionale razionale è la cifra del capitalismo assoluto, la definizione è del filosofo Massimo Bontempelli[1]. L’irrazionale-razionale del capitalismo assoluto è in ogni aspetto del quotidiano, è sufficiente seguire il filo d’Arianna della interalità per mostrare quanto la “razionalità” del capitalismo assoluto, se ricondotta al concreto palesi la sua “irrazionalità”. La razionalità capitalistica è astratta, essa separa la parte dal tutto per manipolarla, per cui solo se la parte è riportata all’intero la razionalità concreta svela la violenza irrazionale del sistema.
La razionalità capitalistica è solo calcolo computazionale delle azioni da effettuare per ottenere il plusvalore, in realtà solo il cono di luce della ragione (filosofica) rivela l’irrazionalità razionale del capitalismo. Il consumo senza limiti, vera essenza nichilistica del capitalismo, è solo irrazionalità mascherata da razionalità dalla fumisteria degli slogan. Il popolo addomesticato alla logica del consumo senza mediazione della razionalità-logos gradualmente sostituisce il logos con il conteggio dei consumi, diviene parte di un sistema di riproduzione del capitalismo assoluto. Il popolo sussunto diventa plebe, è condotto quotidianamente alla mangiatoia del capitale, ne ripete le parole, consuma solo il cattivo cibo del capitalismo che occupa ogni spazio della mente e dello spazio comunitario. Ogni gesto è mercificato, ogni spazio è privatizzato a fini mercantili. La parola e la politica sono anch’esse merci sul mercato ad uso delle oligarchie.
Il popolo privo di domande si rimette al capo o agli influecer, inneggia all’uomo forte e all’imprenditore di successo, si è sempre disposti a seguire l’uomo-donna della Provvidenza. Un popolo senza logos si rimette nelle mani dei potentati, poiché è stato saccheggiato della razionalità critica e politica.
La guerra è lo stato perenne dei popoli proni al “ministero della verità”. La condizione quotidiana delle nuove plebi si manifesta nella competizione senza limiti, nell’individualismo e nel riduzionismo generalizzato. L’io minimo è perennemente belligerante, poiché sostituisce la ricerca di sé con le operazioni proprietarie.
I popoli sono in guerra perché senza domande, ogni epochè dell’agire acquisitivo è messo alla pubblica berlina, la parola che unisce, di conseguenza, è sostituita con la violenza della parola mercificata. La legge della “nuova civiltà” è l’arbitrarismo, come l’ha definita Massimo Bontempelli, in assenza di vincoli comunitari ed assiologici, ogni esperienza umana è sussunta alla logica acquisitiva. L’arbitrio del denaro furoreggia con le sue innumerevoli tragedie.
Traffico veicolare
Massimo Bontempelli denuncia l’arbitrarismo con i suoi corollari nell’analisi che effettua del traffico veicolare. Lo spazio pubblico è svuotato del suo senso per essere occupato dai privati, fino ad essere pubblico in senso formale, ma di fatto è privatizzato a spese del pubblico. L’arbitrio è il potere del denaro che non conosce limiti, ma occupa e usa per fini privati gli spazi e le istituzioni pubbliche:
”Basta ragionare, per capire quale sia questo presupposto: è quella forma di nichilismo che abbiamo chiamato arbitrarismo, qui espressa nella concezione secondo cui è un diritto della persona libera quello di usare a piacere lo spazio pubblico per spostarvisi con un proprio privato abitacolo semovente[2]”.
Lo sfruttamento si concretizza per sottrazione: erodere ogni spazio pubblico e assoggettarlo alle logiche proprietarie. È il denaro a stabilire le regole. Lo spazio vissuto è occupato dal traffico veicolare per diventare mercato espositivo gratuito delle auto. I veicoli nelle pubbliche strade muovono al desiderio di acquisto irriflesso dei pedoni e non. Lo sfruttamento del popolo si manifesra anche nella forma dell’occupazione dello sguardo il quale è passivizzato dal traffico veicolare, si introietta l’acquisto e l’uso delle auto come una necessità irrinunciabile. Lo spazio si deforma, in quanto la vista, l’udito e il tatto diventano i canali con cui la merce penetra nel corpo vissuto conquistandolo.
Ci si abitua alla normalità del rumore come dei gas di scarico, si naturalizza l’artificiale. Il traffico occupa lo spazio come l’aria, anche quest’ultima è al servizio degli esiziali interessi privati, è “occupata” dai gas come dall’inquinamento sonoro, il pensiero è inibito da un ambiente programmaticamente ostile al logos.
False soluzioni
Si possono denunciare gli effetti del traffico, come spesso avviene, ma tali critiche non colgono la profondità del problema, restano all’interno dell’empirico, registrano i dati dell’inquinamento, ma non colgono la verità del fenomeno traffico, ovvero gli interessi privati che si celano dietro l’occupazione del suolo pubblico:
”Un po’ tutti si lamentano del cosiddetto traffico, sia pure a livelli diversi, corrispondenti a diversi gradi di sensibilità. Le persone di più consistente spessore umano non sopportano il sequestro allucinante di tutte le strade in tutte le ore alla socialità comunicativa, ad opera dei veicoli che invadono ogni spazio, lo percorrono spesso in modo pericoloso, lo ammorbano di gas, lo rendono costantemente pericoloso[3]”.
Le critiche e le lamentale non turbano i poteri, in quanto esse non elaborano alternative, anzi le critiche impotenti sono sollecitate, perché sono l’orpello della democrazia formale.
Si cerca di risolvere il problema senza cambiare gli equilibri sociali, senza mettere in discussione la struttura economica e la sovrastruttura culturale. Si sposta il traffico in altri quartieri della città, si libera una parte minuscola della stessa e la si rappresenta come svolta green, per lasciare, in realtà, tutto inalterato, anzi si ammorbano maggiormente altri quartieri della città, spesso abitati dai ceti meno abbienti, i quali subiscono gli effetti del dirottamento ecologico. Si propongono zone a velocità limitata, al punto da scoraggiare l’uso dell’auto per coloro che vivono nelle periferie e non possono che temere le multe che inciderebbero sui loro magri stipendi. La svolta green è pagata dal popolo, mentre l’aristocrazia del denaro può vivere al di là del bene e del male.
Accade anche che l’inurbamento di aree sempre più ampie, in presenza di calo demografico, comporti la costruzione di strade su cui percorrere distanze sempre più ampie; un intero sistema spaziale è a disposizione dei ceti più abbienti, si costruisce nelle periferie per favorire gli imprenditori del cemento e delle auto:
”Succede, però, che l’ampliamento degli spazi a disposizione delle automobili attira nuove automobili, ed i problemi di scorrevolezza si riproducono con il passare del tempo identici, ma con quantità maggiori di veicoli, e quindi con più devastanti effetti ecologici[4]”.
Dove lo spazio è liberato dal traffico, esso è diversamento sussunto alle logiche acquisitive: si eliminano le auto per sostituirle con il traffico dei consumatori dediti unicamente allo shopping.
Città senza cittadinanza
Le soluzioni propagandate come ecologiche ed innovative riproducono la struttura gerarchica dell’integralismo economico; la città è divisa in due strati: la superficie per gli automobilisti, i pedoni sono relegati nelle metropolitane sotto il livello stradale. La divisione degli spazi spesso coincide con la subalternità dei pedoni all’automobilista, si gerarchizzano gli spazi secondo la logica castale: le auto sempre più costose per il loro mantenimento sono dei più ricchi, mentre i pedoni chiusi nel buio orizzonte nella caverna della metropolita giudicano naturale la propria condizione:
”Per migliorare la circolazione urbana, si sono costruite metropolitane, ma in questo modo, dirottando i pedoni sotto terra, si è resa più forte l’idea che le città appartengono agli automobilisti, e si sono creati nuovi flussi di traffico da e per le stazioni delle metropolitane[5]”.
Il traffico educa all’isolamento, gli automobilisti rinchiusi nell’abitacolo del veicolo imparano l’atomistica delle solitudini; i pedoni subiscono l’occupazione dello spazio pubblico e si abituano alla privatizzazione dello stesso. La città curvata al solo valore di scambio, è città senza agorà, poiché lo spazio non è per gli esseri umani, ma è finalizzato allo scambio mercantile e alla violenza del plusvalore.
Le violenze che attraversano le città contemporanee sono l’epifenomeno della negazione della città come convivialità e comunità, al suo posto non vi è che la violenza sulle ruote e del cemento. Il cittadino non è parte della comunità cittadina, ma serve la bestia selvaggia del mercato.
La verità del traffico
L’auto è la cinghia di trasmissione della privatizzazione. L’automobilista occupa lo spazio pubblico in modo diretto, ma ne è separato dalla corazza dell’auto. È chiuso e racchiuso in un abitacolo che gli impedisce il contatto percettivo con il mondo esterno, lo guarda velocemente alla ricerca della sua meta, la quale è sempre funzionale ai suoi calcoli privati. Il mondo intero è cancellato in nome dei personalissimi intendimenti privati:
”L’automobile, invece, essendo un abitacolo chiuso, sposta l’individuo attraverso lo spazio pubblico mantenendolo estraneo. Essa, cioè non è soltanto un mezzo privato di circolazione nello spazio pubblico, ma è anche uno spazio privato nello spazio pubblico, come fosse una piccola casa semimovente, o una stanza distaccata della casa spostabile nelle strade.(… ). L’automobile, quindi, determina la privatizzazione dello spazio pubblico non in quanto è un mezzo di proprietà privata, ma in quanto è uno spazio privato che si mantiene tale nello spazio pubblico. La privatizzazione dello spazio pubblico determinata dall’automobile ha creato modelli di comportamento collettivo che sono aberranti, e tuttavia generalmente accettati come normali[6]”.
Lo spazio sotto l’effetto del traffico manifesta la verità della città nel tempo del capitalismo assoluto: la città non è più abitata, non ha più storia, ma è solo un immenso spazio espositivo per consumatori senza speranza.
Il gigantismo delle auto, inoltre, è l’espressione dell’onnipotenza del privato sul pubblico, auto dall’aspetto sempre più minaccioso palesano la potenza del privato. Il corazzamento veicolare causa l’espulsione dalla strada del pedone, che si ritrae dinanzi alla possibilità d’essere fisicamente eliminato dalla potenza automobilistica. La minaccia è anche nel rumore assordante, vero strumento di inibizione del pensiero libero. Le città si estendono divorando suolo e spingendo folle umane verso la marginalità urbana. La violenza del sistema capitale si svela e nel contempo si struttura come abitudine intrascendibile.
La funzione “educativa” del traffico veicolare
L’automobilista rappresenta il microcosmo del capitalismo assoluto, egli è astratto dalla realtà concreta e sfrutta la strada, bene pubblico, per fini privati. Gli automobilisti sono il “mezzo” con cui il capitalismo insegna le sue logiche in modo impercettibile:
”L’automobilista, in realtà, è una figura la cui logica di comportamento replica su scala di massima quella dell’imprenditore capitalistico, caratterizzata dall’uso privato di risorse pubbliche (nel caso dell’automobilista dello spazio stradale), e dell’esternalizzazione dei costi della sua attività (nel caso dell’automobilista la circolazione), che diventano così da privati costi sociali[7]”.
La privatizzazione della vita negli ultimi anni si è estesa con le tecnologie, si pensi ai telefoni cellulari, allo sguardo perennemente rapito da immagini e messaggi, che corrono sulla rete informatica, anche il pedone non guarda la strada, ma è costantemente separato dalla collettività per mezzo del suo smartphone.
Le nuove catene invisibili si moltiplicano, in esse ci si avvolge con la stessa normalità con cui si respira. L’auto prepara l’imprenditore, poiché forma all’occupazione del suolo pubblico e al suo sfruttamento, mentre il pedone prepara il precario, poiché formato alla passività ed alla naturalizzazione delle gerarchie sociali.
Riforma del paradigma privatistico
Risolvere il problema del traffico è possibile solo se si cambia paradigma di lettura del reale. Le soluzioni messe in atto, in nome della svolta ambientale, hanno il fine solo di perpetuare il capitalismo.
Il paradigma può cambiare solo se la consapevolezza comunitaria diviene motore di cambiamento della struttura e della sovrastruttura. Massimo Bontempelli propone, così, la sostituzione del traffico con il rafforzamento dei mezzi pubblici espressione di un senso della comunità ritrovata. Reimparare a condividere mezzi veicolari e spazi pubblici può essere il cominciamento per una nuova prospettiva politica:
”I problemi creati dall’automobile non possono essere sensatamente affrontati se non con nuovo paradigma di pensiero che legittimi livelli progressivi di interdizione e penalizzazione del mezzo automobilistico. Occorre, in primo luogo, contrariamente, a quanto suppone il senso comune, smettere subito di potenziare la rete stradale, e sviluppare invece il trasporto su rotaia. (…). Alle crescenti difficoltà di usare le automobili si dovrebbe rispondere con l’offerta di migliori e più convenienti trasporti pubblici[8]”.
Conclusione
L’analisi del traffico veicolare denota e connota il capitalismo assoluto il quale produce ricchezza e nel contempo distrugge con la sua irrazionale razionalità l’ambiente e la socialità. Il capitalismo è segnato dalla contraddizione, produce ricchezza e nel contempo distrugge i corpi e le menti. Le ricchezze sono sempre speculari a vecchie e nuove forme di miseria che debbono essere comprese e decriptate:
”1. Il modo di produzione capitalistico ha ormai storicamente svelato la sua natura spaventosamente distruttiva su molteplici piani. Esso ha creato ricchezza economica ad un livello mai raggiunto da alcun sistema precedente. Ma la creazione capitalistica di nuova ricchezza ha dimostrato di essere, allo stesso tempo, creazione di nuove povertà, distruzione della socialità degli esseri umani, della loro sanità psichica, dell’ambiente naturale adatto alla loro vita biologica, delle risorse per il loro futuro. Esso è ormai la maledizione del genere umano, che è condannato, per creare e distribuire ricchezza secondo i rapporti di produzione capitalistici, in maniera sufficiente a mantenere un minimo di equilibrio sociale, a vivere in modo sempre più distruttivo nei confronti della natura e di se stesso[9]”.
Il breve scritto di Bontempelli, dunque, non è solo una riflessione sul traffico, ma insegna a filosofare e ad assumere un comportamento antidogmatico. L’attività filosofica consiste nell’interrogare il noto, per scoprire che è sconosciuto.
Se i tempi paiono lontani dalla rivoluzione del paradigma, i testi di Bontempelli consentono la sopravvivenza qualitativa di idee che possono ritrovarsi e fiorire, in quanto ciò che ora “appare come intrasmutabile”, in realtà è eroso dalla talpa hegeliana della storia. Nessun sistema è eterno, le parole fendono la muraglia della storia che sembra immutabile e preparano una nuova realtà sociale ed economica. Dobbiamo imparare a guardare con occhi deversi il “noto” per elaborare parole che ci conducono verso un nuovo “esserci”.
[1]Massimo Bontempelli (Pisa 1946 – Pisa 2011) è stato un filosofo, storico, saggista e docente nelle scuole superiori. E’ stato studioso di Hegel e di Marx.
[2] Massimo Bontempelli, L’arbitrarismo della circolazione autoveicolare C.R.T. Pistoia 2001, pag. 7
[3] Ibidem pag. 5
[4] Ibidem pag. 6
[5] Ibidem pag. 6
[6] Ibidem pp. 9 10
[7] Ibidem pp. 11
[8] Ibidem pp. 12 13
[9] Massimo Bontempelli Marino Badiale Per salvare la vita. 28 tesi contro la barbarie
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