Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
A
destra si crede che il declino morale, sociale, culturale dipenda
dall’insorgere del «debole» femminismo, la cui colpa è di gruppi di potere specifici
dei quali la sinistra («i comunisti», per certa destra superficiale) è il
braccio armato ideologico. La questione è invece più complessa e il fatto che
il controverso pensiero progressista stia godendo di ampia fortuna è dovuto ad
una serie di cause che, sia pure molto sinteticamente, cercherò di spiegare:
–
genetiche: il capitalismo, nella sua declinazione liberista, permette
l’affermazione di gruppi antisociali il cui unico scopo è l’appropriazione di
risorse, perché il capitalismo stesso non è lungimirante e non ha una
connotazione politica: chi è più forte (chi ha le risorse) ha il diritto di
esercitare il potere, di gestire l’informazione e imporre la cultura. Il
progressismo riesce a fortificarsi in questo contesto con un’ottima capacità di
propaganda. A mio parere la “rottura” apportata dal progressismo è in realtà da
minimizzare in termini politici ed economici (e forse antropologici); è ovvio
che detta propaganda per funzionare abbia avuto bisogno di “rompere” con certe
strutture tradizionali, lavorando per modificare le nostre altrettanto
tradizionali categorie e i nostri rapporti sociali (cosa che ha prodotto anche
un conseguente processo di nevrotizzazione degli individui);
–
biologiche: il sistema mira a economizzare, a razionalizzare le risorse
materiali affinché queste siano il più possibile capitalizzate e meno
reinvestite. L’esito è dunque il seguente: davanti a problemi troppo complessi
da dissezionare è facile ed economico che il capitalismo ne individui la
responsabilità in un solo soggetto (capro espiatorio): nella nostra epoca è il
maschio bianco etero (personificazione del vetero-patriarcato), tesi a
cui (sono giunto a tali conclusioni anche grazie alla conversazione
illuminante con un amico che ringrazio, le mie posizioni sono anche frutto del
suo acume e competenza in ambito clinico-sanitario) si potrebbe contrapporre la
nozione che decenni fa fosse la donna il soggetto a rischio in alcune
operazioni di intervento sociale (non tutti abbiamo vissuto gli anni ’50, ma
dai dati che abbiamo sembra che i conflitti familiari fossero liquidati il più
delle volte come disturbo mentale della donna in questione, con conseguente
internamento; oggi, se siete informati sui nuovi trend, è più facile additare
la tossicità dell’uomo ancorato ad atavici schemi di stampo maschilista).
Riguardo
la distribuzione delle risorse, a ispirare la mia tesi è anche lo studio di un
gruppo di ricerca italiano esaminato dal cognitivista Scott B. Kaufman (noi
italiani abbiamo sempre saputo che gli ingranaggi del sistema vanno oliati
adeguatamente): secondo il cosiddetto “effetto Matthew” (che informa l’unica
forma di meritocrazia in forza in Occidente), è premiato con nuovi determinanti
incentivi solo chi ha già successi alle spalle. Capirete che da un sistema che
gestisce in questo modo i fattori di rischio non c’è da aspettarsi che vada a
fondo dei problemi che insorgono al suo interno;
– psicologiche, direi cognitivo-informative: secondo un
meccanismo secolarmente testato che potremmo definire di distrazione, il
sistema ha allestito o concesso una serie di problematiche «civili» a bassa
intensità di elaborazione critica (nonostante la mole di scritti sui temi) che
non ledono la sopravvivenza dello stesso disfunzionale sistema, hanno anzi il
compito di atrofizzare una possibile reazione critica alla sua legittimità.
Perché il sistema, in realtà, si fonda sull’impoverimento – strutturale,
ribadiamolo – di scaglioni sociali, e non sulle (attualmente) incidentali forme
di razzismo e discriminazione sessuale. Prendendo a modello la tesi di Walter
Benjamin, quel minimo di (apparente) cambiamento serve a mantenere gli stessi
rapporti di potere e di produzione: il sistema dà ai movimenti di massa un’espressione
invece di organizzarli (concede alle masse una propria espressione e non il
proprio diritto, ma oggi – Benjamin parlava del fascismo storico – le
instrada proprio sul concetto-grimaldello del diritto-rivalsa… e del “diritto
dei diritti”).
Sto
usando metafore che sfruttano le scienze per una spiegazione che sia più
semplice possibile. Ci sarebbe ancora da approfondire e, con particolare
riguardo all’ultimo punto (dove parlo dell’impoverimento sistemico) può
aiutarci la rilettura dei testi di Mario Perniola (penso ora al suo Berlusconi
o il ’68 realizzato).
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Fonte
(per la distribuzione degli incentivi): Scott B. Kaufman, The Role of Luck
in Life Success Is Far Greater Than We Realized (https://www.scientificamerican.com/blog/beautiful-minds/the-role-of-luck-in-life-success-is-far-greater-than-we-realized/)