Foto: critica24.com (da Google)
Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
La nostra società è plasmata dall’ideologia mercatista, che ha sfruttato il pensiero di Darwin per infondere nella gente l’acquiescenza a una mentalità predatoria. Vediamo come.
Da dove viene l’ispirazione…
All’inizio, di evoluzione si occuparono solo economisti. Contemporaneamente a Darwin, l’idea di una “teoria dell’evoluzione” venne a Wallace leggendo Malthus, secondo il quale i deboli devono soccombere: su ispirazione delle idee malthusiane fu vietata l’assistenza ai poveri. Non a caso oggi sentiamo gli stessi discorsi. All’epoca vigeva del resto la convinzione che il lavoratore dovesse ricevere il minimo indispensabile alla sopravvivenza, altrimenti si sarebbe viziato. I grandi ricchi che disponevano di parchi privati con tanto di caprioli invece no.
La Scienza non era democratica neanche allora: già allora la Royal Society, voluta dalla Corona, aveva il monopolio di fatto del pensiero e della divulgazione scientifica.
…e a cosa serve
Le masse impoverite e oppresse cominciavano a rappresentare un pericolo perché rischiavano di rivoltarsi. Occorreva una “rivoluzione culturale” per scongiurare l’eventualità. E qui entra in gioco la teoria dell’evoluzione, che cercò di convincere che le leggi della società inglese dell’epoca erano uno specchio della natura rapace e predatoria, “rossa nel dente e nell’artiglio” come scrisse il cantore dell’impero britannico Kipling.
L’idea fu di immettere nella natura le leggi della società vittoriana, che ancora dominano il nostro orizzonte cognitivo in pieno 21° secolo: la competizione opera per il meglio e le vittime sono inevitabili. A pochi venne in mente che la società si regge sulla cooperazione, molto più vantaggiosa del Libro della Giungla che veniva loro propinato.
Questo infuse nelle masse una sorta di acquiescenza: poiché la società segue le leggi di una natura che migliora con la competizione rapace, non può essere che il migliore dei mondi possibili, o quantomeno un mondo inevitabile perché natura non si può forzare. Se quindi non hai successo è colpa tua, non di chi ti sfrutta e ti esclude in favore della mediocrità asservita, perché sei “meno adatto” alla competizione, è la natura che ti seleziona (en passant, la parola selezione aveva un preciso sinistro significato nei campi di concentramento).
Le élites sfruttatrici ebbero così la loro legittimazione “scientifica”. Si convalidava anche il razzismo, onde distruggere le “superate” società delle colonie in nome dell’inglese.
Come vendere l’illusione alla classe operaia
Ora come far digerire tutto questo all’operaio, senza il consenso del quale l’ideologia non sarebbe servita? Semplice: si fondò un partito laburista in linea con le idee evoluzioniste (la Fabian Society), che elaborò un mostruoso ibrido, oggi in via di ulteriore perfezionamento, tra il grande capitale e il “collettivismo”. Era in germe il “socialismo delle multinazionali” decantato poi da Galbraith e… dai Beatles (fonte: The Sound of the City di C. Gillett), che persuasero le classi povere ad amare la loro alienazione.
Presentarono la vita dei ceti sfavoriti come più reale, interessante e onesta, vendendo loro l’illusione di una gioventù libera e disinvolta, felice di mostrarsi, senza timore di scansare ogni pretesa, facilmente capace di trovare un posto comodo nel mondo.
Rassegnazione in scatola
La gente è oggi persuasa che se il mondo andava così era inevitabile, ottenendo la voluta rassegnazione, anzi ancora di più: se l’uomo si trovava in difficoltà, non accusava più il sistema ma sé stesso. L’idea sembra passata in diverse correnti di opinione maschili secondo le quali, la condizione maschile sarebbe una sorta di colpa collettiva degli stessi uomini.
Ancora oggi si cerca di convincere la gente che se le cose vanno male è perché non è all’altezza – del mercato. La competizione sarebbe la cosa migliore sempre e per tutti, se poi ci sono vittime è giusta legge di natura. Tralasciando però che se l’Homo Sapiens è sopravvissuto all’estinto Neanderthal, è proprio in virtù della sua capacità di linguaggio simbolico, indispensabile per la cooperazione tra individui e testimoniato dalla sua arte e dai suoi manufatti, sconosciuti alle specie che l’hanno preceduto.
L’attuale degrado di questo prezioso strumento, confermato dallo stato dell’arte contemporanea e dalle pseudomitologie che affollano i media, è un segnale di regresso alla condizione del Neanderthal di cui la specie umana se non cambia rotta potrebbe condividere il destino.
L’antropologia del consumatore
Malgrado l’infondatezza scientifica, tutto questo fa gioco nel creare un consumatore alla giornata, uno sradicato: il tuo sentirti essere umano è una impressione che ti sei costruito da solo. Per cui limitati a consumare e diventa semplicemente quel che sei chiamato ad essere: un ingranaggio in un sistema competitivo, che il massimo che può chiedere è di fare la sua parte in un meccanismo senza senso e nel quale vivere alla giornata. Questo vivere senza direzione è lo spirito antimaschile per eccellenza, l’identità maschile si basa proprio sull’avere uno scopo e un progetto. Non per nulla lo spirito della società dei consumi è quella dell’asilo globale femminilizzato.
Un giorno Darwin verrà ricordato come il più grande economista della storia
L’ideologia darwinista fa il paio con quella neoliberista del libero mercato, per cui dalla competizione si origina non solo il bene massimo possibile, ma anche l’unico destino possibile per l’umanità. Si toglie di torno l’idea che ci possa essere una direzione da impartire. Il capitale ormai smaterializzato della società liquida contemporanea si sposa benissimo con quest’idea, che gli dà la massima libertà di azione sulle nostre vite.
La stessa politica è dominata dai mercati, che non deve scontentare – non sia mai che i capitali fuggano, sarebbe il disastro. Quindi ti taglio la pensione e lo stipendio altrimenti il capitale, che è il nuovo padrone, fugge. Ecco perché i politici non li elegge più il popolo ma “i mercati”. Se non puoi accettare tutto questo come la migliore delle soluzioni, è comunque “inevitabile”, perché la “natura” funziona così come ci dice la “scienza”.
La migliore delle dittature è quella nella quale non ti accorgi di esserci
Questo meccanismo è ormai interiorizzato. La migliore delle dittature è quella nella quale non ti accorgi di esserci, in cui sei anzi convinto che sia la migliore situazione per te. E sta funzionando benissimo. Tutti accettano la teoria darwinista come reale e indiscutibile, e più passa il tempo più diventa indiscutibile. Ha fatto talmente presa nella coscienza collettiva che provare a metterla in dubbio provoca reazioni viscerali.
Il darwinismo serve a veicolare una visione sociale. La globalizzazione è l’espansione di quei principi sviluppatisi nell’Inghilterra dell’800 e imposti al mondo, al punto che se c’è qualche cultura che non accetta le regole del libero mercato diventa uno Stato-canaglia. Attenzione a quando sentiamo: “Questo o quel Paese è indietro”. Indietro rispetto a chi o cosa?
La visione neoimperialista è invece la negazione del valore alle differenze, che dal punto di vista evoluzionistico sono “indietro”, e in un’ottica di selezione naturale, prima o poi, con le buone o le cattive, dovranno sparire.
Questo spiega anche i meccanismi che regolano i rapporti fra Stati. Tra l’altro secondo i principi della selezione naturale le differenze culturali migliori dovrebbero essere adottate, ma il darwinismo, come si sa, vede ogni cosa in termini competizione e non di cooperazione, come un duello western.
Cambiare la narrativa
Per cambiare la narrativa è necessario innanzitutto trattare il darwnismo come una teoria scientifica e non come un assioma inconfutabile, favorendo così un sano dibattito scientifico; ed evidenziare il suo sostrato e le sue implicazioni ideologiche. Già questo sarà una liberazione per l’umanità, le cui conseguenze non resteranno nell’ambito delle idee. Affrancati dalle tetraggini del pensiero evoluzionista-malthusiano, potremo dare inizio a un’epoca di reciproca comprensione e collaborazione tra gli uomini.