Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
In conclusione del suo diario di prigionia ‘Catene di libertà’, l’amico e confratello Pierluigi Maccalli invitava a ‘disarmare le parole’. Due anni da ostaggio nel deserto, tra pietre, sabbia, polvere e stelle, lo avevano convinto che il cammino della pace intesa come ‘convivialità delle differenze’ non potesse che germogliare da mani nude. Disarmare le parole implica, appunto, andare in giro con le mani nude, liberi da preconcetti, ideologie di morte e frontiere da usare per inventare nemici a piacimento.
Scriveva che, a parte le catene che mai l’avevano abbandonato, era stato in
genere rispettato dai rapitori che si avvicendavano nel deserto. Ciò che invece
l’aveva profondamente segnato e ferito erano state le parole dei rapitori.
Parole come pietre che feriscono mentendo, insultando, rendendo in definitiva
l’altro una ‘non persona’. Si sentiva un cosa indefinibile la cui esistenza è
utile solo per quanto potrà dare in termini monetari con prezzo del riscatto. Una
merce di scambio e nulla più.
Nell’introduzione a ‘ Il libro del potere’ di Simone Weil, Mauro Bonazzi
scrive…’L’unico modo per contrapporsi al dilagare della forza intesa come
violenza è la ricerca della verità…e ciò significa prima di tutto, prendersi
cura delle parole perchè esse sono lo strumento di cui ci serviamo per capire
noi stessi e il mondo. Ed è distorcendo le parole che ci creiamo, consapevoli o
no, delle comode barriere per proteggerci dagli altri’. Prendersi cura delle
parole e della loro verità significa ‘disarmarle’.
Dal Sahel, dove queste note sono scritte, siamo da anni assediati da gruppi
armati ‘terroristi’, interessi strategici, venditori d’armi, di ideologie
religiose e finanziamenti occulti. Gli sfollati e i rifugiati a causa dei
conflitti armati si contano a milioni mentre le sofferenze sono incalcolabili
anche per le cicatrici che lasceranno alle prossime generazioni. All’inizio di
tutto questo dramma, ancora prima delle divisioni etniche, religiose o
economiche stanno loro, le parole. Lo ricorda bene proprio Simone Weil.
Nel libro citato la Weil mette in evidenza che …’Mettiamo la maiuscola a
parole prive di significato e, alla prima occasione, gli uomini spargeranno
fiumi di sangue, a furia di ripeterle accumuleranno rovine su rovine…niente
di reale può davvero corrispondere a tali parole, poichè non significano niente.
Il successo coinciderà esclusivamente con l’annientamento di uomini che lottano
in nome di parole diverse’. La lista di parole con le ‘maiscole’ sarebbe interminabile,
così come le fosse comuni.
Mettere la maiuscola alle parole prive di significato che non sia quello
imposto da chi detiene il potere è quanto si industria a fare la propaganda e
soprattutto il silenzio complice ‘dei buoni e degli onesti’. Ogni comunità,
struttura educativa, mezzi di comunicazione, famiglie, organizzazione politiche
e religiose dovrebbe mettere come priorità quella di ‘prendersi cura delle
parole’. Avremmo allora, come auspicava Pierluigi, parole disarmate da affidare
al vento perchè sussurrino la pace al mondo.
Mauro Armanino, Niamey, 29 dicembre 2024
Fonte foto: da Google