Come il diario di Winston Smith, ci sono cose che vanno scritte solo per ricordare il presente, in vista di un futuro in cui la storia sarà cancellata e riscritta, trasformata nel contrario di se stessa. Riassumiamo: pare che a Colonia, nella notte di Capodanno, durante i festeggiamenti di fronte al Duomo, un gruppo di mille profughi abbia stuprato un’ottantina di ragazze tedesche. Dico “pare”, perché quasi subito l’accusa di stupro è stata derubricata sulla stampa e nelle dichiarazioni pubbliche delle autorità tedesche prima a palpeggiamenti, poi a molestie verbali, poi – secondo la nostra Presidenta della Camera – a semplice “mancanza di rispetto” (curiosa inversione della tipica escalation nostrana da questionario ISTAT, dove la critica del marito al taglio di capelli della moglie è considerata violenza domestica). Quindi in molti hanno gridato alla bufala. Non c’è stato nessuno stupro, anzi ce n’è stato uno, ma non ottanta: tutto allarmismo ingiustificato di chi vuole fomentare odio (curiosa inversione della retorica nostrana da centro antiviolenza, dove anche un solo stupro è emergenza nazionale).
In seguito i colpevoli, prima mille rifugiati, diventano una ventina di rifugiati; bufala doppia. Poi però lo stupro c’è stato eccome: responsabile è la popolazione tedesca. Infine scopriamo la realtà: lo stupro c’è stato eccome, e responsabili sono gli uomini. Tutti. Almeno secondo il gruppo “Nuovo Maschile – Uomini liberi dalla violenza”, che in un comunicato sulla sua pagina Facebook scrive: “I fatti di Colonia riguardano tutti noi come uomini; la violenza non è una questione legata allo straniero […] ma è una questione maschile […]. Il silenzio degli uomini nel non riconoscerlo è estremamente allarmante.” Non c’è bisogno di una laurea per prevedere che questa diventerà presto la posizione ideologica preponderante anche tra * femminist* tutt* quant*, visti precedenti illustri come per esempio un articolo di Lea Melandri sul Manifesto. Giuliana Sgrena, sempre sul Manifesto, ribadisce: Inciviltà di genere“. State tranquilli, è solo l’inizio. L’agitarsi frenetico, il boccheggiare in cerca di giustificazioni, puntualizzazioni, distinguo e precisazioni, si calmerà presto per lasciare spazio all’unica versione accettabile degli eventi, che salva capra e cavoli ideologici: quella della colpa maschile generalizzata.
I fatti di Colonia stanno portando alla luce contraddizioni, dissonanze cognitive, false coscienze e ipocrisie da tutte le parti: nessuna esclusa. È evidente che le considerazioni in merito – sul fenomeno dell’immigrazione, sulla politica interna ed estera europea, sull’economia mondiale – sarebbero complesse e riguarderebbero l’intera organizzazione del nostro pianeta. In questa sede, però, parliamo di uno spazio molto più vasto: la Psicosfera. La Psicosfera è il territorio simbolico in cui viene affermato, o negato, il senso della persona. È anche (fra l’altro) il territorio delle accuse da cui non ci si può difendere, della vergogna non emendabile, dei doppi vincoli. Come quelli che da decenni vengono scaricati sugli uomini occidentali: Devi mostrare le tue emozioni, ma se le mostri sei un insicuro e quindi sei indesiderabile. Devi essere libero di piangere, ma se piangi non sei un vero uomo e quindi sei indesiderabile.
Devi difendere le tue donne, ma le donne non sono tue e non hanno bisogno di essere difese da te.
Il giornalista Pietrangelo Buttafuoco è stato il primo a porsi la fatidica domanda: “Perché gli uomini di Colonia non hanno difeso le loro donne?” Altri si sono accodati, come un deputato di Scelta Civica che, dall’alto della sua onniscienza e del suo fisico da sergente istruttore di pratiche automobilistiche, ha definito gli uomini tedeschi “non razza ariana ma razza di conigli”. Altri cavalieri senza macchia si sono uniti al coro sui social media, accompagnati da quelle che per l’occasione rivendicano di essere le loro donne. Tutti d’accordo: se gli uomini non difendono le loro donne, non sono uomini. Sentimento che potrebbe essere condivisibile, se a questi difensori che per le loro donne rischiano la vita o quantomeno l’ospedale si offrisse in cambio rispetto, o anche solo un grazie. Ma subito, nello stesso respiro, gli stessi uomini che hanno il dovere di difendere le “loro” donne vengono chiamati stupratori, pedofili e assassini di donne (in quanto donne, chiaramente). Gli italiani, poi, godono di un particolare disprezzo all’interno della categoria: non si perde occasione per puntualizzare che sono i più grandi consumatori di turismo sessuale del mondo, che sono violenti, ignoranti e maschilisti. Scrive una commentatrice su Facebook: “Come tutte le donne, pure io ho avuto la mia dose di molestie… e tutte le volte sono stati schifosissimi masculi italiani.” Tanto per dare un’idea della lieta atmosfera che rasserena le conversazioni.
Altri specialisti del politicamente corretto – spesso uomini in cerca di consenso – spiegano che gli orrendi bigotti fautori della “famiglia tradizionale” (anche questa è ormai una definizione con mille sottintesi, sempre offensivi) parlano delle “loro donne”, ma le donne NON sono “loro”. Con ciò travisando in malafede il senso di quel possessivo: molti dicono “mio figlio” o “mia figlia”, ma solo un imbecille starebbe a precisare che i figli non sono <i>loro</i>. Il dovere morale degli uomini è quindi di difendere chi sputa loro addosso. Le stesse persone che chiedono protezione, un secondo dopo aggiungono che “la cultura dello stupro è comune a tutti gli uomini”.
Per quanto riguarda ciò che è successo a Colonia, o forse no, ma forse sì ma anche no, tutti dicono che non bisogna generalizzare. E ci mancherebbe. Però dei colpevoli di un reato ci sono. Secondo il principio della responsabilità personale, e senza criminalizzare intere fasce di umanità, sarebbe il caso quantomeno di punire i colpevoli. Invece no. Da più parti ci viene spiegato, sempre perché non bisogna generalizzare, che “la cultura dello stupro è comune a tutti gli uomini”. Anche in questo caso, come molti altri, la vergogna morale è diretta contro gli incolpevoli, facili da umiliare perché sono in grado di provare vergogna. I veri colpevoli, invece, non hanno di queste debolezze, e infatti di fronte a loro le orde furiose delle accusatrici abbassano la testolina e stanno zitte e buone. Chi sono i conigli?
Viene da chiedersi come mai si chieda protezione proprio a coloro che tutto il resto dell’anno sono chiamati violenti, pedofili, stupratori, razzisti, omofobi, misogini, ignoranti, analfabeti. È evidente, o forse no, che questo doppio vincolo – È tuo dovere difendermi, ma io ti disprezzo – ha la funzione di conservare un’onorabilità ideologica. Si esige protezione dai pericoli; la protezione è evidentemente richiesta al più forte dal più debole; il disprezzo verso il più forte evita l’umiliazione di doversi mostrare più deboli.
In sottofondo a tutto questo vi è un principio tacito, ma ben compreso: la forza fisica, quella che viene chiamata “forza bruta”, è implicitamente posta come base delle relazioni nel momento stesso in cui la si definisce inutile, stupida, primitiva. La violenza – naturalmente quella maschile – è al tempo stesso respinta e pretesa. Pretesa, perché riconosciuta come risolutiva e unica fonte efficace di protezione; respinta, perché la sgradevole ma innegabile superiorità della violenza cancella la Grande Narrazione della perfetta eguaglianza dei generi. Una giornalista canadese della rivista online Feminist Current propone di istituire un coprifuoco per gli uomini. Per impedire molestie come quelle di Colonia (ma ci sono state o no, allora?) occorre proibire a tutti gli uomini di uscire la sera. La giornalista non si pone minimamente il dubbio di chi possa avere l’incarico di far rispettare questo coprifuoco immaginario, perché nella mente da vispa Teresa anche della femminista più agguerrita regna la totale incapacità di collegare cause ed effetti secondo logica: il mondo delle favole piove magicamente dal cielo, porci maschilisti. Per chiunque altro, la risposta è evidente: altri uomini. Chi, se non gli uomini, può proteggere le donne dagli uomini? E ovviamente proteggerle dalla violenza con la violenza.
I Paladini d’Altri Tempi che urlano “Difendiamo le nostre Donne” (con la maiuscola d’ordinanza) sostengono che è una legge naturale, fa parte dell’evoluzione umana, bisogna proteggere le madri. La vecchia storia del prima le donne e i bambini, insomma. Eppure bisognerebbe chiedersi cosa è “naturale”. Spesso quelli che invocano la “legge naturale” non si rendono conto di quanto poco “naturale” sia lo stato pacifico, civile e ordinato in cui vivono. La stessa nostra democrazia è tutt’altro che un istituto “naturale”. Spesso chi parla di “legge naturale” non si rende conto di quanti dettagli sgradevoli siano inclusi a corredo del concetto. Come tutti i dogmi, anche questo non si può invocare solo per le parti che fanno comodo.
Pretendere la forza fisica degli uomini come riparo di fronte al pericolo, per deridere quella stessa forza fisica appena il pericolo cessa, o lamentarsi che quella forza fisica “opprime”; allo stesso tempo, incentivare a parole la vulnerabilità e disprezzarla non appena emerge. Questo il risultato di un’offensiva pluridecennale nel territorio della Psicosfera. La violenza non è mai cosa su cui scherzare. Ma oggi è abolita perfino la possibilità di razionalizzarla. L’uso della violenza da parte degli uomini è stato giustificato nei secoli facendo appello a ideali più o meno sinceri, più o meno condivisi. I feticci della conquista, le divinità a cui offrire se stessi o altri in sacrificio: la patria, la famiglia, Dio, i propri cari, “le proprie donne”. Oggi agli uomini viene ordinato di commettere o subire violenza, e fin qui tutto normale, se vi pare normale; ma stavolta, e questa è la differenza, l’ordine arriva con l’implicito che non vi sarà alcuna gratitudine per la protezione ricevuta, né un ricordo dopo il sacrificio. E chi non accetta questo non è un “vero uomo”.
Buon anno, stupratori difensori. Ricordatevi che siete sacrificabili come al solito, ma da oggi siete anche schifosissimi.