Marta ha 64 anni, ad anno
nuovo andrà in pensione non per sopraggiunti limiti di età, il suo fisico è
logorato da 35 anni di pulizie, troppi acciacchi e una condizione di salute
precaria. Sta facendo i conti della pensione, con quasi 40 anni di contributi
arriverà a meno di 1100 euro al mese, non abbastanza per vivere
dignitosamente, dovrà trovarsi almeno un lavoretto, al nero, per
incrementare l’esiguo assegno previdenziale.
Marta ha avuto, suo
malgrado una ventina di datori, ci racconta attraverso la sua esperienza
lavorativa i cambiamenti intervenuti nel mondo degli appalti.
Abbiamo raccolto la sua
testimonianza…
Dopo la separazione, il solo lavoro che trovavi, con la terza media, era nelle cooperative di pulizie, ormai sono una veterana del settore. All’inizio il contratto era full time con qualche ora di supplementare, avevi la tua postazione fissa, non esistevano controlli asfissianti, potevi scegliere di aumentare o ridurre i ritmi senza costrizione di sorta. Le pulizie negli Enti pubblici avvenivano al pomeriggio, l’orario era tra le 14 e le 20 e il sabato mattina mi spostavo a Ospedaletto negli uffici di commercialisti e periti che di solito lavoravano fino al venerdì nel tardo pomeriggio.
Poi gli appalti sono
cambiati, il materiale per le pulizie con il contagocce e ogni gara al
ribasso, peggior retribuzione, meno ore e contributi previdenziali.
Nell’arco del tempo sono
passata da 40 ore settimanali a 30, costretta a un secondo lavoro con pulizie a
domicilio sulle quali, mi preme dirlo, ho sempre pagato le tasse.
Non so dirvi la ragione
ma pur pulendo sempre gli stessi edifici il tempo assegnato è diminuito, le
igienizzazioni straordinarie scomparse, meno accuratezza, prodotti utilizzati
di dubbia qualità, un cellulare con cui timbrare entrata ed uscita ma anche per
quantificare i tempi impiegati per lo svolgimento delle varie mansioni.
Non esistono più i tempi morti, ridotta l’autonomia nella esecuzione dei servizi, devi rispettare la tabella di marcia come se fossimo alla catena di montaggio in fabbrica.
Gli orari sono cambiati,
ci dicono per evitare i rischi da interferenza, entriamo la mattina alle 4 fino
alle 8 e poi si torna al pomeriggio due ore tra le 18 e le 20, 5 giorni
la settimana. Al mattino vado da una famiglia di anziani, due ore di pulizia senza
mai fermarmi e poi a casa. Per fortuna abbiamo la maggiorazione notturna
ma è stata una impresa ottenerne il riconoscimento, una volta al mese ci
chiamano per qualche evento, tre ore per pulire 400 metri quadrati e sistemare
il salone, sono soldi e accettiamo la richiesta di straordinario io e la
mia amica.
Non incontro quasi mai i
dipendenti dell’Ente per cui facciamo le pulizie, non ci sono rapporti di
sorta, un lavoro in perfetta solitudine, nel migliore dei casi intravedo il
vigilante all’ingresso.
Inizio a non sopportare
il freddo e il caldo, dormo male, ho disturbi del sonno, vado a letto tra
le 14 e le 17 e la sera al massimo alle 11 mi addormento sul divano davanti
alla tv. Lombosciatalgie, un’operazione al menisco rinviata da anni che a primavera
potrò fare.
La movimentazione dei carichi è aumentata, prima prendevi i sacchi e li depositavi in una chiostra, oggi devi svolgere il corretto conferimento dell’immondizia direttamente nei cassonetti interrati, per arrivarci usi un carrello della spesa con le ruote consunte e il tempo impiegato è sottratto alle pulizie vere e proprie. Non abbiamo spogliatoio, si indossa la divisa spogliandoci in un ufficio, sembra che la scelta degli orari disagiati sia stata fatta apposta.
Negli anni del Covid
eravamo in FIS, poi con le igienizzazioni straordinarie siamo tornate in
servizio aumentando anche le ore settimanali. Non so se rimpiangere quei due
anni ma ero tornata a fare il tempo pieno, si lavorava decisamente meglio, le
pulizie erano accurate, le sanificazioni valorizzavano il nostro servizio
riconoscendone la grande utilità.
Avrei altri due anni di
lavoro ma non ce la faccio, sono stanca e con la pressione alta, un
braccio che non riesco a gestire al meglio dopo la caduta sul ghiaccio in
motorino per recarmi al lavoro.
Il clima lavorativo si è fatto insopportabile, ogni mese arriva un richiamo scritto per qualche lavoro non correttamente eseguito ma è impossibile fare bene con pochi minuti a disposizione. E un’ora di lavoro al mese la devi sacrificare con la classica sanzione, se hai lasciato fuori posto lo straccio o perchè qualcuno si lamenta della mancata igienizzazione della scrivania o per il cencio in terra non dato in una porzione microscopica di un certo ufficio. Se dovessi svolgere dei lavori accurati avrei bisogno di due ore in più al giorno, potrei pulire, sanificare ogni angolo come avveniva un tempo e resterebbe il tempo per una sigaretta e un caffè.
Alcuni uffici saranno
esternalizzati, ci è stato già detto che il calo delle superfici determinerà la
contrazione delle ore, aumenteranno i carichi di lavoro che sono già al limite.
Non oso pensare a una riduzione oraria e contrattuale, certo che un committente pubblico prima di fare certe scelte dovrebbe pensarci, siamo proprio dimenticate, anzi abbandonate. Vado in pensione ma penso a mia figlia che fa lo stesso lavoro, non è andata all’università perchè i soldi per mantenerla agli studi non c’erano, diventata madre troppo presto ha dovuto accettare gli impieghi disponibili. Poi passano dieci anni e ti accorgi di avere solo accettato un salario misero per andare avanti, le speranze di miglioramento si scontrano con il budget economico a disposizione della famiglia. Mia figlia ha 25 ore settimanali al mese, a 30 arrivano le anziane, i neo assunti nel migliore dei casi si fermano a 18, poche ore contrattuali ripartite su più teste con la massima flessibilità possibile.Le malattie professionali non ci vengono riconosciute anche se tante patologie derivano proprio dalla specificità del nostro lavoro, negli anni settanta mio padre operaio era visitato e controllato annualmente dalla Medicina del lavoro, gli era stata riconosciuta una piccola pensione di invalidità per avere respirato “merda” in fabbrica e una volta all’anno una settimana gratuita alle terme. Cosa è rimasto? Praticamente nulla, io vivo e lavoro in condizioni peggiori dei miei genitori e chi arriva ora nel mondo del lavoro sarà messo peggio di me. Se le colleghe giovani potessero fermare il tempo si accontenterebbero della situazione attuale, firmerebbero un patto con il diavolo per 560 euro al mese. Sia sufficiente questo per descrivere realtà e stati d’animo…
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