Ho letto in queste ultime settimane molte riflessioni sui Brics+ che caricano il raggruppamento di Stati di contenuti ideologici che invece non ha.
I paesi Brics+ rappresentano quasi i due terzi dell’umanità e con un Pil che supera il 40 per cento di quello globale, ne detengono una quota maggiore di quella del G7. Ma è un raggruppamento di paesi molto composito, con sistemi politici ed economici tra loro molto diversi. Non è unito dalla volontà di mettere in discussione la globalizzazione in quanto tale, basata sul commercio e lo scambio di prodotti, sulla mobilità del capitale e della mano d’opera, possibilmente qualificata. Ciò che contesta è quella specifica forma di globalizzazione imperialistica e predatoria del capitale finanziario che domina l’Occidente.
Per affermare questo principio tutti i paesi che ne fanno parte sostengono fermamente la sovranità nazionale di ogni Stato e il suo ruolo decisivo nella crescita economica di ogni paese. Ne deriva pertanto che tutti gli scambi debbano avvenire nel reciproco interesse, anche nella circostanza che un paese sia molto più potente dell’altro con cui si relaziona. È in sostanza una anticipazione significativa e consistente di come dovrebbe essere un mondo multipolare. Dunque, uno schieramento assai composito, ma unito nella battaglia contro le oligarchie finanziarie dominanti nella sfera occidentale che impediscono lo sviluppo del Sud del mondo.
Che i Brics+ non possano trasformarsi nel blocco di un nuovo sistema bipolare, simile a quello che in passato è stato caratterizzato dalla contrapposizione Usa e Urss durante la guerra fredda, è scritto nelle cose. La Russia è una superpotenza militare e nucleare, ricchissima di materie prime e con capacità politiche e diplomatiche notevoli. Fornisce un ombrello protettivo a tutti i paesi Brics+ e svolge un ruolo decisivo in Africa, in Asia e in America Latina con la sua forte e tradizionale amicizia con paesi come Cuba, Nicaragua e Venezuela. Inoltre, media tra diverse spinte presenti nell’ambito dei Brics+, come ad esempio tra Cina e India, o Etiopia ed Egitto. La Cina forse oggi è la più grande potenza economica e tecnologica mondiale, ma è molto lontana dall’avere quell’immenso arsenale nucleare che ha la Russia. Per questa ragione affida la sua politica estera alla ricerca di accordi economici e commerciali in tutti i Continenti attraverso relazioni che sono in costante sviluppo.
Cina e Russia sono pertanto strategicamente tra loro complementari e nessuna delle due ha la forza, come nel passato l’Urss, di imporre un mondo bipolare, con due campi definiti, quello statunitense e quello sovietico. Entrambi i paesi sono consapevoli che la strada è quella di un ordine mondiale multipolare. Entrambi i paesi sono attestati su questa impostazione senza riserve o secondi fini. Anche tutti gli altri paesi Brics+ sono consapevoli di questa situazione. Per questo nel recente summit in Sud Africa hanno posto l’accento su una radicale riforma sia dell’Onu, con l’ingresso nel Consiglio di sicurezza di nuove potenze emergenti, come India e Brasile, sia del Wto, dominato oggi dall’Occidente. Insomma, non hanno discusso solo di come portare avanti, accelerandolo, il processo di dedollarizzazione e la conseguente creazione e potenziamento di strumenti alternativi al Fmi o ad altre istituzioni internazionali volte a facilitare l’espansione del commercio internazionale. Certamente è stato il punto su cui si è concentrato – e non poteva che essere così – il maggior interesse, ma la discussione e le conclusioni sono state molto più ampie, a partire dall’ingresso di sei nuovi paesi nel raggruppamento Brics+ (Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Emirati Arabi, Etiopia e Iran) e dalla richiesta di partecipazione di circa altri trenta paesi.
Per dirla in altre parole i Brics+ si caratterizzano sempre più come uno schieramento di paesi in lotta contro il dominio del capitale occidentale espressione dell’Occidente collettivo, che vorrebbe continuare a dettare le sue regole di rapina del resto del mondo in continuità con il colonialismo europeo degli ultimi 5 secoli e poi con le diverse centrali imperialistiche, prima di tutte quella americana. E non mi pare un caso che Putin insista molto su questo punto. Non è quindi un raggruppamento di Stati per il rilancio di una lotta per il socialismo su scala mondiale, dal momento che molti paesi che ne fanno parte sono capitalistici (monopolistici di Stato). Rappresenta invece una aggregazione di paesi in lotta contro il dominio del capitale finanziario di cui oggi la Nato è lo strumento politico e militare fondamentale che ha fagocitato anche l’Ue. Domani probabilmente gli Stati Uniti ripeteranno lo stesso schema, con la scusa di Taiwan, in Asia nei confronti del Giappone e della Corea del Sud. Non potendo più rapinare il Sud del mondo, gli USA si stanno mangiando un pezzo importante dell’Occidente. Germania e Francia, i due paesi strategici dell’Ue, sono stati messi in ginocchio, colpiti drammaticamente dall’inflazione e dalla recessione. Dal 2008, data della crisi finanziaria da cui l’Europa non si è mai sostanzialmente ripresa, vi è un continuo spostamento di capitali verso gli USA. E nell’ultimo anno, con la guerra in Ucraina, il flusso ha subito una notevole accelerata. Non cogliere questo aspetto, cioè che il capitale finanziario è un dominio che va oltre il sistema capitalistico porta a non comprendere la portata strategica della guerra in corso in Ucraina e conduce ad analisi e riflessioni vecchie, novecentesche, come quella della guerra inter-imperialistica o inter-capitalistica (come sostiene l’economista Brancaccio) o a un generico pacifismo che non si pone in termini adeguati sulla natura del conflitto.
Giustamente Bevilacqua, in un interessante articolo uscito recentemente sul “Fatto Quotidiano”, sostiene la necessità di una sconfitta della Nato in Ucraina, (cosa che tra l’altro sta avvenendo con la scelta della Russia di praticare una guerra localizzata e a bassa intensità). Senza tale sconfitta non si potrà mai ridiscutere in Europa la questione della sicurezza collettiva, dai Pirenei agli Urali. Concordo con questa sua affermazione e di conseguenza mi domando in che modo quelli che giustamente evidenziano l’importanza strategica dei Brics+, conciliano questo giusto aspetto con la condanna dell’aggressione russa, come ad esempio fa Ferrero? Dovrebbero spiegare come mai il raggruppamento dei Brics+ in 18 mesi di guerra in Ucraina ha avuto una possente accelerazione che negli anni addietro non aveva avuto? Per quale ragione, se il Cremlino è in mano a un assassino? Se è il Cremlino il suo principale motore politico e diplomatico? Poi c’è un codazzo di analisti di sinistra che avanza sottili analisi sul fatto che la Russia, e forse pure la Cina, si contrappongono nettamente all’Occidente mentre altri paesi come l’India e il Brasile sono per il dialogo, in modo particolare Lula che viene esaltato come grande leader di una sinistra democratica.
Analisi che durano lo spazio di un mattino, senza ovviamente togliere nulla a un grande statista come Lula. Nessun paese dei Brics+ si vuole contrapporre alla civiltà occidentale, a differenza di ciò che avviene in Europa dove la russofobia è dilagante. Sono le durissime (inutili) sanzioni occidentali, trasformatesi in auto sanzioni, che hanno determinato una rottura con la Russia. E come non vedere il continuo dialogo dei cinesi, a prescindere dai risultati concreti, con alcuni leader europei, tedeschi, francesi e ora italiani (il viaggio di Tajani ne è un esempio).
Attenzione allora! Non solo il mainstream ma anche alcuni canali cosiddetti alternativi non sempre la raccontano giusta. La realtà è che il gruppo dei Brics+ coglie la portata strategica dell’operazione militare di Putin in Ucraina per dare una spallata alla Nato, braccio armato del capitale finanziario. Insomma, come dice Bevilacqua, la sconfitta della Nato è la condizione non solo per la pace in Europa, ma anche per procedere un po’ più celermente alla creazione di un nuovo ordine mondiale in cui c’è posto anche per l’Occidente tutto, nessuno escluso, ma totalmente liberato dallo strapotere delle oligarchie finanziarie. Questo è il socialismo? Assolutamente no. Ma con questo nuovo ordine si riapre in Occidente la battaglia per il socialismo, ma pure – per dirla tutta – per politiche riformiste neokeynesiane. E tutto dipenderà dalle soggettività politiche che in questa parte del mondo si determineranno in ogni singolo paese.
Comunque, come afferma “Ottolina TV” (web TV dedicata alle attualità nazionali ed internazionali) le forze rivoluzionarie potranno ricominciare a giocare. Ora non toccano palla, sono permanentemente in panchina! Nel Sud del mondo la lotta in corso per un nuovo ordine mondiale invece apre, in diversi casi, anche prospettive politiche che vanno oltre il sistema capitalistico. Lo evidenziano le esperienze rivoluzionarie soprattutto in Africa e in alcuni paesi dell’America Latina. La ritrovata potenza militare della Russia e la sua alleanza strategica con la Cina sono un baluardo che dà coraggio a molti dei gruppi dirigenti di ultima generazione nel Sud del mondo. C’è determinazione e volontà di cambiamento, si ha molto meno timore di misurarsi con l’imperialismo americano ed europeo. Il mondo sta cambiando per davvero e la guerra in Ucraina ha dato una forte spinta con la volontà e il coraggio della Russia di sfidare gli Usa, la Nato e tutto l’Occidente.
Dunque, se non si colgono le trasformazioni del capitale in Occidente da sistema capitalistico tout court a una nuova forma molto più invasiva e subdola di dominio, che produce un sistema politico a-democratico e una nuova ideologia in cui però il capitale finanziario non appare mai, ma manda avanti sottoprodotti culturali e ideologici devianti che permeano il concetto di libertà, il rapporto di genere, la tutela ambientale, la formazione e la sanità, tanto per citare alcune tematiche care a questa ideologia, una vera forza di cambiamento, oso affermare rivoluzionaria nella accezione di Gramsci, non si formerà mai. Anche le lotte e i conflitti più sacrosanti rischiano di divenire corporativi. Il movimento pacifista non fa eccezione. Intanto sarebbe utile tornare all’idea del Movimento della Pace degli anni ’50, quello che ha inventato la bandiera arcobaleno, fortemente antimperialista e contro la Nato per distinguerlo dal movimento pacifista che ebbe invece una funzione verso la fine del secolo scorso con la sua strategia di equidistanza tra Usa e Unione Sovietica. Ma in quegli anni vi era un forte movimento di paesi non allineati, oltre 100. La situazione di oggi è profondamente diversa, Voler ricondurre Brasile e India in questo vecchio schema è aver capito poco e male ciò che sta avvenendo nel mondo. Per esemplificare tale affermazione sottolineo che questo straccio di movimento pacifista che c’è in Italia non ha speso una parola di sostegno alla Giunta militare rivoluzionaria in Niger, ma versa tante lacrime di coccodrillo quando nel Mediterraneo avviene una tragedia e tanta povera gente affoga. Il suo è il vano tentativo di riesumare qualche valore di sinistra che giustifichi il suo ruolo.
Non vorrei essere frainteso. Considero il movimento pacifista, pur con i suoi tanti limiti e insufficienze, tatticamente qualcosa comunque di importante. Per esempio, è da valorizzare la posizione di Papa Francesco. Se il movimento pacifista riesce a indebolire il potente schieramento oltranzista filo Nato e guerrafondaio ben venga. Ma una volontà rivoluzionaria nel sostenere questa battaglia deve fare molto di più, non rinunciando a ricollegarsi con le forze rivoluzionarie che operano in tutto il mondo. Vi è un solco profondo tra la sinistra europea e l’insieme di queste forze rivoluzionarie. Anche qui con poche eccezioni. Un dirigente stimato e amato come Lafontaine ha pubblicamente affermato che gli Usa, con la distruzione del Nord Stream che portava gas a basso costo dalla Russia, hanno dichiarato guerra alla Germania. Non so in Germania, ma in Italia nessun dirigente della nostrana sinistra ha ripreso, mi pare, tale pesante affermazione. Come mai?
Dei partitini non parlo. Meglio stendere un velo pietoso. Però vale la pena spendere qualche riga sul progetto di Santoro. Se intende dar vita con maggiore coerenza a un gruppo motore del movimento pacifista italiano, tatticamente – mi ripeto – può avere una sua utilità. Ma a Santoro neppure passa nell’anticamera del cervello l’idea di dar vita a un Movimento per la pace decisamente anti Nato. Se il suo progetto è invece quello di presentarsi con una lista alle elezioni europee allora non stiamo più a parlare di movimento pacifista ma appunto di progetto politico. Quale? Ce lo dica! Ma per ora tutte le sue affermazioni non sono radicalmente diverse da quelle delle nostrane schegge di sinistra. Inoltre, non sono lontane nemmeno dalla posizione dei 5 Stelle. Perché dunque la lista? Ognuno dia la sua risposta. Le mutazioni del capitale e l’ascesa di una élite e di una nuova borghesia che a questa fa riferimento hanno messo in crisi lo schema bipolare centrodestra contro centrosinistra. Anche per questo un numero sempre più grande di elettori non va votare.
La costruzione di una nuova forza rivoluzionaria che si ricolleghi attivamente alla lotta per un nuovo ordine mondiale non può assolutamente prescindere da questo dato. Nei paesi in cui domina il capitale finanziario, in Occidente insomma, le convergenze, quando sono possibili, devono essere realizzate con tutte quelle forze che contrastano le oligarchie della finanza per discutere invece di economia e politiche sociali. E in assenza di questo soggetto rivoluzionario bisogna fare politica nelle condizioni date, nel caso italiano puntare sui 5 Stelle che hanno una posizione non tanto diversa dal piccolo mondo frammentato della sinistra ma possono contare su una base di massa per incidere, sia pur parzialmente, sulla politica. Meriterebbero un sostegno per consolidare la loro autonomia dal Pd e farne il soggetto di smantellamento dell’attuale sistema politico, per tentare di imbrigliare il capitale finanziario. Nel dare questo sostegno non credo affatto che la ricostruzione di una forza rivoluzionaria in Italia passi attraverso una trasformazione di 5 Stelle in tale soggetto. Non sono così stolto da non comprenderlo. Solo chi è particolarmente cocciuto e ha i paraocchi non lo comprende. La formazione di un partito rivoluzionario è un processo di lunga lena e non recintabile in 5 Stelle o in uno dei tanti piccoli partiti che si dicono comunisti, ideologici ed evocatori di “un dover essere kantiano” molto poco leninista. È un processo che avviene tramite la costruzione di una rete di quadri che faccia politica ed elaborazione teorica. Senza teoria non c’è partito rivoluzionario. Essere pedantemente marxista-leninista può essere una cosa simpatica in un piccolo cerchio di amici, ma non dà impulso all’azione politica di massa e con tale ideologia non si compie un lavoro collettivo di ricerca teorica per un aggiornamento vero del marxismo.
Sono un revisionista? Certamente. Lo sono stati Lenin, Stalin, Gramsci, Togliatti, Mao e Castro. Gli ortodossi erano al tempo della II Internazionale i socialdemocratici! Queste considerazioni valgono pure per la Cgil. Conosco le sue drammatiche insufficienze dovute all’egemonia che il Pd ha su di essa. Allora vorrei dire a chi pensa di non partecipare alle attività di questa grande organizzazione di massa, quando invece di promuovere uno sciopero ripiega su una manifestazione, che non bisogna perdere nessuna occasione per una discussione che incalzi sul serio la Cgil e i suoi gruppi dirigenti coinvolgendo nel serrato confronto quanti più militanti e iscritti possibili. La politica non è fare testimonianza ma condurre una azione possibile avendo chiari i rapporti di forza, tenendo ferma la strategia, ma con grande flessibilità tattica. Analisi concreta di una situazione concreta. In conclusione, un nuovo partito rivoluzionario si forma riproponendo strategicamente già ora, tramite una durissima lotta, il ritorno alla sovranità nazionale, con uno Stato che abbia gli strumenti per programmare e indirizzare l’economia e la politica monetaria. Si tratta altresì, dopo 70 anni dalla conclusione della guerra, di uscire dalla condizione di essere un paese a sovranità limitata che ci ha ridotti a colonia anglosassone. Ci sono forze in campo in Italia con le quali è possibile realizzare tali convergenze. Basta volerlo e portare avanti questa strategia appunto nelle condizioni date. Il Movimento 5 Stelle può dare, lungo questo impervio e tortuoso percorso, un utile e importante e contributo. Perché allora non impegnarsi in questo lavoro politico, interpretando correttamente l’insegnamento di Lenin?