L’educazione è in pericolo, la minaccia arriva dallo Stato che la finanzia, poiché è oggetto degli interessi economici delle classi dirigenti. Si profila all’orizzonte un nuovo dogmatismo, differente rispetto al dogmatismo disciplinare tradizionale. La scuola è il luogo nel quale si formano “i consumatori di formazione”, secondo le ultime disposizioni ministeriali. Devono consumare formazione funzionale al mercato, devono imparare mediante le tecnologie, non a conoscere, ma a trasformare ogni informazione in spettacolo e specialmente, a scuola, si deve insegnare l’autopromozione imprenditoriale. Le parole ci parlano, per cui a scuola di capitale si impara a far tacere le parole per l’ipertrofia del prassismo tecnologico. La parola educazione deriva dal latino ex ducere, trarre fuori, educare nel suo autentico significato è il mettere in atto le potenzialità dell’allievo, educare, quindi, è atto maieutico, al punto che, come afferma Francisco Ferrer (10 gennaio 1859, Barcellona 13 ottobre 1909, Bacellona) il vero educatore protegge l’alunno da ogni postura ideologica condizionante, a partire da quella dello stesso educatore. Si può educare, se si è consapevoli delle dinamiche relazionali e dei loro pericolosi effetti nella formazione dell’alunno. L’agire educativo è emancipativo, perché non ha il fine di includere in un contesto, ma di emancipare l’alunno mediante la conoscenza di sé, l’inclusione è l’effetto di una comunità che accoglie le differenze riconoscendo la comune umanità:
“Io vorrei richiamare l’attenzione dei miei lettori su questa idea: che tutto il valore dell’educazione, consiste nel rispetto della volontà fisica, intellettuale e morale del fanciullo. Allo stesso modo che nella scienza non v’è dimostrazione possibile senza i fatti, così non v’è vera educazione, che laddove questa è esente da ogni dogmatismo, lascia al fanciullo stesso la direzione dei suoi sforzi, e non si propone che di secondarlo in questi sforzi. Ebbene, niente v’è di più facile che alterare questo concetto, e nulla di più difficile che conformarvisi. L’educatore odierno impone, viola, costringe sempre; mentre il vero educatore sarebbe colui che potesse meglio difendere il fanciullo contro le idee e la volontà dello stesso educatore e che meglio facesse appello alle energie proprie del fanciullo. Si giudichi da ciò con quale facilità l’educazione subisce l’impronta che si vuole darle e come sia facile l’ufficio di coloro che vogliono asservire la coscienza degli individui nel periodo del loro sviluppo. I migliori metodi che si possono immaginare, nelle mani loro diventano altrettanti strumenti più formidabili e perfetti di dominio. Il nostro ideale al contrario è certamente quello della scienza e noi gli chiederemo di darci il potere di educare il fanciullo, favorendo il suo sviluppo con la soddisfazione di tutti i suoi bisogni, man mano che si manifesteranno ed ingrandiranno[1]”.
Autoritarismi
Gli alunni per poter vivere il processo maieutico devono essere protetti da ogni forma di autoritarismo. I docenti, spesso, sono portatori inconsapevoli della cultura autoritaria. La contemporaneità ci offre “l’immagine di una scuola libera e contraria ad ogni forma di autoritarismo”, ma è solo ideologia, la nuova autorità è lasca, ed utilizza l’allentamento da ogni vincolo sociale e comunitario per imporre l’autoritarismo narcisistico e individualistico. L’autoritarismo ha innumerevoli volti e pratiche; la contemporaneità proclama la libertà individuale, l’alunno imprenditore per imporre a docenti ed alunni le logiche del mercato. Spesso i docenti e gli educatori non colgono la pervasività capillare delle nuove forme di autoritarismo che negano l’indole degli alunni per curvarla ai bisogni del mercato. La comunità scolastica per poter educare deve diventare consapevole delle metamorfosi del potere che si cela, anche, nei docenti, veicolo inconsapevole, a volte, dell’autorità nella forma del mercato:
“I maestri di scuola fin dalla più giovane età sono educati negli istituti a subire la disciplina dell’autorità; e ben rari sono quelli che sfuggono al suo dominio e quelli che ci riescono rimangono nell’impotenza, poichè la ferrea organizzazione scolastica li avvince in modo da rendere impossibile ogni cosciente disobbedienza. Io non voglio far qui il processo dell’attuale organizzazione scolastica. Essa è abbastanza conosciuta perché si possa caratterizzarla, senza timore di smentita, con una sola parola: coazione. La scuola imprigiona i fanciulli fisicamente, intellettualmente e moralmente, per dirigere lo sviluppo delle loro facoltà nel senso voluto; li priva del contatto della natura per poterli modellare a sua guisa. E qui sta la spiegazione di tutto ciò che ho detto fin qui, la preoccupazione dei governi di dirigere l’educazione dei popoli, in modo che siano frustrate le speranze degli uomini di libertà. L’educazione non è oggi che una formazione materiale d’istrumenti per un dato scopo. Non credo affatto che i sistemi impiegati a tal scopo siano stati combinati apposta con esatta conoscenza di cause, per ottenere i risultati voluti; ciò sarebbe troppo geniale, per quanto cattivo[1]”.
Governo ed educazione
I governi con la Rivoluzione industriale non combattono l’istruzione, ma la utilizzano per consolidare il loro potere. Sulla scuola si gioca il destino della democrazia e della libertà. Se per democrazia e libertà si intende la comunità, quale luogo topico della democrazia e della partecipazione politica, si constata l’ostilità del potere ad ogni forma di democratizzazione della comunità. Il potere teme che la scuola possa essere veicolo di emancipazione, per cui agisce su di essa non solo per utilizzarla a fini delle classi dirigenti, ma specialmente deve neutralizzarne lo spirito creativo e critico. La scuola dal potere è vissuta in modo ancipite, la sostiene per necessità contingenti, ma nel contempo la teme, e dunque entra nei suoi programmi e nelle sue attività per inibirne le potenzialità emancipative:
“Il pericolo per i governi consisteva nel risveglio dell’intelligenza umana alla vita intensa, nel risveglio in fondo delle coscienze della volontà di emanciparsi. Sarebbe stata pazzia lottare contro le forze in evoluzione; bisognava arginarle a modo proprio. Ed è per questo che, invece di ostinarsi nei vecchi metodi di governo ne adottarono dei nuovi d’una evidente efficacia. Non c’era bisogno d’un gran genio per trovare questa soluzione; la semplice spinta dei fatti fece capire agli uomini di governo come dovevano opporsi ai nuovi pericoli. Fondarono scuole, si affaticarono a diffondere l’istruzione, e se anche ci furono quelli che in principio resisterono a questo impulso, – perchè così volevano gl’interessi di qualche partito politico in antagonismo cogli altri, – pure anche questi ben presto si convinsero che meglio valeva cedere e che la miglior tattica era di assicurarsi con l’uso di questo nuovo mezzo la difesa dei propri privilegi. Si videro allora lotte terribili per la conquista della scuola, lotte che in tutti i paesi continuano con accanimento; qui trionfa la società borghese e repubblicana e là il clericalismo. Tutti i partiti sanno l’importanza della scuola e non risparmiano alcun sacrificio per assicurarsi il trionfo. Essi gridano su tutti i toni: «Tutto per la scuola e con la scuola!». Il buon popolo deve essere commosso da tanta sollecitudine, poichè tutti vogliono il suo elevamento per mezzo dell’istruzione, e il suo benessere per giunta[1]”.
Sulla scuola si gioca il destino della democrazia e specialmente dell’essere umano. Si può misurare la qualità della democrazia e la sua salute dalla scuola. La verità della nostra democrazia è oggi palese nei provvedimenti governativi con il loro taglio europeo che esigono ed ordinano l’allevamento di generazioni ai bisogni del mercato. Non più la persona deve formare la scuola, ma il suddito prono agli ordini ed ai dogmi del mercato. Per difendere la democrazia e la comunità bisogna partire da questa verità storica, ogni indifferenza, altrimenti non potrà essere che complicità silenziosa ai processi di disintegrazione autoritaria e tecnocratica dei valori democratici e costituzionali.
[1] Francisco Ferrer La Scuola moderna liberliber 2014 pp. 13 14
[2] Ibidem pp. 11 12
[3] Ibidem pp. 7 8
Fonte foto: Ampliamente’s blog (da Google)