La decadenza culturale, politica ed etica dell’Occidente non è scritta negli astri e non è un destino, è storicamente determinabile, ha un nome: il capitalismo nella sua espressione assoluta, ovvero è in atto un processo di abbattimento di ogni vincolo etico e di ogni katecon. La libertà delle merci e del valore di scambio è proporzionale alla libertà dei sudditi che servono il mercato e consentono al capitale di trasformarsi nel substrato che deforma la natura etica e solidale dell’essere umano. La verità della condizione del cliente-consumatore si svela nei gesti quotidiani. Non pochi sono stati i commenti e le polemiche sul selfie al funerale di Maurizio Costanzo della moglie con un fan. La morte sembra sia stata cancellata dal gesto del selfie che ha posto al centro lo spettacolo dei “narcisi” alla ricerca di un attimo di notorietà, mentre il mistero e la tragedia della morte sono state occultate dall’ego che ha invaso lo spazio pubblico cancellando ogni presenza altra. Il narcisismo è il sintomo della patologia del capitalismo, l’essere umano nella trappola del valore di scambio sviluppa una forma parossistica di narcisismo.
Cristopher Lasch ci è di ausilio per comprendere la genealogia del male di vivere. Smitizza il narcisismo al quale si associa l’ipertrofia dell’io sicuro di sé e dotato di un’armatura impenetrabile. Il sociologo americano dimostra che l’ipertrofia cela l’io minimo ridotto ad esoscheletro del logos. Il narcisismo non è affermazione dell’individuo, ma negazione della soggettività. Nel mondo delle ombre del capitale ciò che appare non è la verità, ma il traviamento della stessa.
La natura umana è etica e solidale, il soggetto si forma e si esprime nel riconoscimento dell’altro, nel disporsi verso l’alterità per ritornare su se stesso e conoscersi nella differenza vissuta e sperimentata. Il narcisista occupa lo spazio pubblico con i suoi bisogni immediati, non li media con il logos, pertanto è nella trappola dell’immaturità egoica. Necessario è ricostruire la regressione della soggettività a semplice parvenza di se stessa, ad immagine deformata dal narcisismo al punto da non riconoscersi come soggetto politico, ma come veloce consumatore di esperienze da postare alla spasmodica ricerca di un like di conferma, un velociraptor allevato dal capitale vorace e fragile nel contempo. La violenza ha la sua radice prima nell’ossessione della conferma, ogni smentita rischia di annichilire il narcisista che non riesce a far fronte ai dinieghi. Soggettività ridotte a maschere di se stesse sono il prodotto letale del modo di produzione capitalistico, sono gusci vuoti nel quale il potere nella forma del dominio astrae la personalità viva con le sue potenzialità per curvare la soggettività a semplice manichino del dominio. Il logos si ritrae per lasciare spazio ad una emotività irriflessa che permette la naturalizzazione del male quotidiano. Pur in tanta tragica condizione il soggetto cerca una via di uscita alla negazione di se stesso. Il narcisismo è la cattiva soluzione incoraggiata dal capitale. L’io minimo compensa il vuoto con forme di falso gigantismo. Si regredisce ad uno stadio minimale, non si ha personalità e non si ha autonomia, pertanto le negazioni trovano nel narcisismo l’analgesico alle sofferenze del soggetto. Il capitalismo sollecita la deformazione del logos in chiacchiera e simulacro, trasforma il logos in calcolo e tattica per neutralizzare la prassi critica e politica. La misologia è la cifra del capitale, in quanto il logos si concretizza nell’autonomia del soggetto razionale, per cui si favoriscono forme di dipendenza con cui necrotizzare lo sviluppo della soggettività: al suo posto vi è solo il suo simulacro con la sua nera disperazione:
“Il progressismo americano, che è riuscito facilmente a contrastare il radicalismo agrario, il movimento operaio e il movimento femminista realizzando aspetti parziali del loro programma, ha perso ormai quasi completamente ogni traccia della sua origine risalente al liberalismo dell’800. Ha ripudiato la concezione liberale, che presupponeva la superiorità dell’interesse personale razionale, e ha insediato al suo posto una concezione terapeutica che ammette gli impulsi irrazionali e cerca di dirottarli verso sbocchi socialmente costruttivi. Ha rifiutato lo stereotipo dell’uomo economico e ha tentato di sottoporre l’ “uomo totale” al controllo sociale. Invece di regolamentare solo le condizioni del lavoro, ora disciplina anche la vita privata, programmando il tempo libero sulla base di principi scientifici di profilassi personale e sociale. Ha esposto i più intimi segreti della psiche alla sorveglianza della medicina e ha in questo modo incoraggiato l’abitudine all’auto-sorveglianza, che rievoca vagamente l’introspezione religiosa, ma è alimentata dall’ansia piuttosto che dalla colpa — in una personalità di tipo narcisista piuttosto che coatto o isterico[1]”.
Il narcisismo è il modello del capitalismo. I narcisisti sono esaltati ed adulati, si coltiva una società di individui giustapposti, in cui nessuno vede l’altro. Ma ognuno cerca di occupare l’altrui spazio in una competizione che estranea e reifica dal proprio “io profondo” e dalla propria “indole”. Tutti si ritrovano omologati nell’apparire in una gara, in cui vince il peggiore “perdendo sempre”, poiché ci si aliena dal logos. I vincitori nel gioco del capitale “perdono se stessi” e pongono in atto forme di estraneità dalla vita vera premessa di guerre e violenze:
“La nostra società, dunque, è narcisista in due sensi. Gli individui che hanno una personalità narcisistica, per quanto non necessariamente più numerosi che in passato, occupano posizioni molto in vista nella vita contemporanea e spesso ricoprono cariche insigni. Mentre prosperano sull’adulazione delle masse, queste celebrità danno tono alla vita pubblica e insieme alla vita privata, poiché il meccanismo della celebrità non conosce confini tra pubblico e privato. Il bel mondo — per usare questa espressione significativa che comprende non solo i giramondo milionari, ma tutti coloro che, anche solo per un attimo, compaiono beati davanti alle telecamere alla luce dei riflettori — incarna la visione del successo narcisistico, che consiste nel desiderio, così poco essenziale, di essere immensamente ammirati, non per i propri risultati, ma unicamente per se stessi, acriticamente e senza riserve. La moderna società capitalista non soltanto innalza i narcisisti a posizioni di prestigio, ma suscita e rafforza in ciascuno i tratti narcisistici. Ottiene questo doppio effetto in diversi modi: esibendo il narcisismo in forme attraenti e prestigiose; minando l’autorità parentale e ostacolando in questo modo il processo di crescita dei bambini; ma soprattutto creando una serie infinita di varietà di dipendenza burocratica. Tale dipendenza, sempre più diffusa in una società che non è soltanto paternalista, ma almeno altrettanto maternalista, impedisce alle persone di superare le paure dell’infanzia o di godere delle consolazioni dell’età adulta[2]”.
Inferno
L’inferno è nella dipendenza del narcisista dai gusti e dai diktat del mondo, è nel suo adattamento sempiterno e dal timore di essere niente per il mondo, in quanto si sente un “nulla” in vetrina pronto ad essere sostituito da eguali. L’ansia si tinge di angoscia e viene respinta con l’accelerazione delle manifestazioni narcisiste. Per giungere a tale condizione il capitalismo ha destabilizzato famiglia, istituzioni educative e ogni autorità che con l’autorevolezza configurava la possibilità di strutturare il carattere in vista dell’autonomia. Abbattute le istituzioni nelle quali il soggetto si formava, il mercato con i suoi apparati gestisce le soggettività, le assume in carico, si offrono servizi per ogni problema anche “banale”. La medicalizzazione della vita è l’ultima frontiera della sorveglianza nella quale dominio ed affari coincidono. L’ansia rende le soggettività perennemente insicure, l’adulto diventa, in tale cornice, simile al fanciullo, nessuno osa essere se stesso, ma tutti si rivolgono agli specialisti per curare l’incomprensibile male di vivere. L’io frana sotto i colpi della dipendenza, il narcisismo resta l’unica via di fuga da una realtà disumana ed insostenibile:
“Egualitario e anti-autoritario in apparenza, il capitalismo americano ha ripudiato l’egemonia della chiesa e quella monarchica, ma solo per farle succedere l’egemonia dell’organizzazione commerciale, formata dalle classi dirigenziali e professionali che gestiscono il sistema delle “corporazioni” e hanno in mano lo stato che le rappresenta. E’ emersa una nuova classe dirigente composta di amministratori, burocrati, tecnici e specialisti, talmente priva degli attributi un tempo associati alla classe dominante — posizione elevata, “attitudine al comando”, disprezzo per il basso ceto — che la sua esistenza come classe spesso passa quasi inosservata[3]”.
La notte dell’anima
Il capitalismo assume le forme del “grande tentatore”, per spingere verso la dipendenza rende il percorso formativo semplice, elimina ogni difficoltà ed increspatura. Il soggetto non deve incontrare se stesso, non deve mettersi alla prova, non deve capire il quantum di razionalità e creatività che scorrono in lui. Le soluzioni sono preconfezionate come le personalità prodotte in serie. Rendere tutto semplice è la condizione per decretare la futura fragilità del soggetto che dinanzi ad ogni difficoltà, quindi, si rivolgerà all’esperto di turno. Tagliare la corda diventa la normalità e la sicurezza del capitalismo. Si insegna a fuggire dalle difficoltà, a cercare luoghi e condizioni in cui la vita è già preconfezionata con le sue formule. La lotta è sostituita con la fuga senza sosta. Per ogni evenienza il soggetto deve applicare le formule preconfezionate che il sistema “dona”. Il cavallo di Troia entra nelle case e nella mente, ha la forma dei “consigli” che il sistema elargisce alle fragili personalità dei sudditi che vivono all’ombra del capitale e dei suoi sacerdoti pronti a trasformare in affare sonante la pubblica fragilità:
“L’istruzione superiore non ottiene solo l’effetto di annientare le doti intellettuali degli studenti; li inibisce anche emotivamente, facendone degli sprovveduti che non riescono ad affrontare le diverse esperienze senza il supporto di libri di testo e opinioni preconfezionate. Lungi dal preparare gli studenti a vivere “in maniera autentica”, l’istruzione superiore delle università americane coltiva la loro incompetenza a svolgere anche le mansioni più elementari, come cucinare un pasto, partecipare a una festa o andare a letto con qualcuno del sesso opposto, a meno che non dispongano di elaborate istruzioni didattiche sull’argomento. L’unica cosa che viene affidata al caso è la cultura superiore[4]”.
L’autocontrollo è introiettato con le parole degli specialisti e dei media. La personalità è orfana di se stessa, non vi è logos, non vi è pensiero, ma solo la cieca obbedienza: credere, obbedire e soccombere. In tale quotidiana sofferenza i clienti-consumatori sono dei semplici “non nati”, non resta che il narcisismo con cui si finge di possedere una personalità proiettata verso l’esterno, e vuota di mondo. Il culto del corpo diviene adorazione dell’Es che ottunde con i suoi piaceri e miti la normale frustrazione di esistere. Il soggetto si sente “niente” per “sentire di esistere” si abbandona a forme irrazionali di narcisismo:
“Secondo l’opinione di Henry e di altri osservatori della cultura americana, al crollo dell’autorità parentale corrisponde il collasso dei “vecchi freni inibitori” e il passaggio “da una società dominata dai valori del Super-io (i valori dell’autocontrollo) a una società pervasa da una crescente esaltazione dei valori dell’Es (i valori dell’autocondiscendenza)[5]”.
Il narcisismo svela “la notte dell’anima” dell’Occidente. La fragile onnipotenza non è solo nell’occupazione dello spazio pubblico con una soggettività rumorosa e vuota, è anche dominio sulla natura, è lussuria del potere. L’inquietudine con cui la tecnica cerca il suo trionfo sulla natura è la spia ulteriore di un deficit di senso collettivo dell’anima dell’occidente. L’espansione spaziale è fuga dalla temporalità della coscienza. In assenza della mediazione razionale non vi è che dipendenza e violenza dell’affermazione egoica, per cui il soggetto collassa nella notte dell’anima. L’analisi di Christopher Lasch non ci lascia dubbi, dinanzi al progredire violento del male che avvolge la natura e le comunità bisogna lavorare per l’alternativa, il collasso del sistema potrebbe essere improvviso. “Socialismo o barbarie”, siamo ad un bivio, ciascuno di noi è chiamato alla scelta, le parole di Rosa Luxemburg risuonano in noi e nel nostro tempo, in quanto la menzogna liberale è svelata nella sua verità e su di essa dovremmo pensare per evitare la “barbarie antropologica ed ecologica” sempre più prossima:
“Non c’è alternativa al libero mercato per organizzare l’economia. La diffusione dell’economia di libero mercato condurrà gradualmente alla democrazia pluripartitica, perché coloro che hanno libertà di scelta in economia tendono a insistere per avere libertà di scelta anche in politica[6]”.
Alla propaganda del mainstream dobbiamo opporre spazi di riflessione e di comunità, in modo da preparare l’alternativa con la partecipazione corpuscolare che gradualmente può diventare uso pubblico della ragion politica che può salvarci dalla barbarie che è già tra di noi.
[1]Christopher Lasch, La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano, 1992, pag. 251
[2] Ibidem pp. 258 259
[3] Ibidem pag. 245
[4] Ibidem pag. 172
[5] Ibidem pag. 196
[6]The Economist”, 31 dicembre 1991, p.12.
Fonte foto: Neri Pozza Editore (da Google)