Conosco Fabrizio Marchi da una dozzina d’anni, ma ricordo ancora chiaramente il primo messaggio che lessi di lui, con il quale annunciava la nascita di un sito che si proponeva di rileggere, ovviamente da sinistra, la questione di genere. Una formula rivoluzionaria: era forse la prima volta che un intellettuale e un militante dichiaratamente di sinistra, firmandosi con nome e cognome, prendeva una posizione critica verso il must intoccabile di quell’area politica, il femminismo. C’era in quella scelta un coraggio che rasentava il masochismo. Non aveva niente da guadagnarci, molto, se non tutto, da perderci. In una società e in un’area politica che premia il conformismo e l’essere proni all’autorità di turno, l’eresia si sconta cara. Ma il tempo è, come si dice, galantuomo, e oggi alcuni dei migliori intellettuali di sinistra, penso a Formenti o a Zhok o a Visalli, sempre più spesso si avvicinano alle conclusioni che lui aveva anticipato insieme a pochi altri. Ed è facile prevedere che altre figure di spicco di quell’area politica si aggiungeranno a breve.
Quella formula si è poi ampliata, diversificata, arricchita con la nascita de L’Interferenza, una voce dell’informazione libera a tutto campo, aperta a tutti i contributi che non siano lesivi della dignità degli individui, uomini e donne, e di tutti i popoli, occidentali e non, con una predilezione ovviamente per i contributi autenticamente critici verso lo status quo e i suoi sostenitori.
Oggi dopo una prolungata e brillante riflessione sulla società contemporanea, sulla crisi della sinistra attuale, sulla sovrastruttura dell’odierna fase del capitalismo,ossia l’ideologia politicamente corretta, si propone agli elettori per dare un contributo non più prevalentemente teorico ma pratico, e lo fa nella sua città natale, da autentico romano de Roma, da profondo conoscitore della Capitale.
L’alternativa al coraggio, alla lucidità d’analisi, alla coerenza, alla sincera tensione ideale, che il percorso esistenziale di Marchi testimonia, è rappresentato da una schiera di personalità espressione di partiti che invece hanno già amministrato malamente la città o che hanno alle spalle scelte politiche fallimentari. Tra i primi Gualtieri e Michetti, a garanzia dei soliti interessi, verso i quali non si smarcano più i 5S che supportano la Raggi, tra i secondi il montiano Calenda, per citare i volti noti a livello mediatico e supportati più o meno esplicitamente dai padroni del vapore, che oramai sbanda da tutte le parti, ma che vuole mantenere saldamente il controllo delle operazioni, che non andranno, come sempre, a beneficio della maggioranza della cittadinanza romana e non solo.
Ma il voto a Marchi va oltre il programma politico del partito che lo candida, quel PC che ha legato il suo nome alla grande stagione di ricostruzione, sotto tutti i profili, dell’Europa devastata dalle guerre aristocratico-imperialiste della prima metà del Novecento, perché si oppone agli eccessi di un estremismo di genere che si nasconde ipocritamente dietro il volto rassicurante della retorica progressista, ma che a uno sguardo più profondo rivela un’indole fascista per la sua propensione a creare una nuova classe eletta e una subordinata, soffocando con la violenza verbale, ma anche materiale, il legittimo dissenso. E quindi un voto utile per quegli uomini, ma anche per quelle donne, che credono in un futuro di collaborazione e di rispetto reciproco.