L’Italia ha consegnato a Pechino la nota del mancato rinnovo del memorandum d’intesa (MoU) sulla Via della Seta, intesa sottoscritta nel 2019 e in scadenza nel marzo del prossimo anno.
Era quasi scontato che l’Italia non avrebbe rinnovato l’accordo con Pechino essendo stato anche il solo paese del G7 a farlo nonostante quasi 150 nazioni abbiano nel frattempo sottoscritto il medesimo Memorandum.
Scontato perchè il Governo Meloni è una sorta di carro, intendiamoci, vecchio e malandato, al traino della locomotiva statunitense e ogni decisione viene assunta, in politica estera e non, per compiacere Washington. La uscita dalla Via della Seta, il sostegno ad Israele, l’aumento delle spese militari in ambito nazionale e comunitario, sono le prime dimostrazioni della italica sudditanza.
Ci sono tuttavia alcuni aspetti di opportunità economica da prendere in esame anche se la decisione assunta viene spiegata all’opinione pubblica con motivazioni di carattere pseudo politico come quelle sopra evidenziate.
Il deficit commerciale dell’Italia verso la Cina nel 2022 ha raggiunto il massimo storico mentre numerosi investimenti italiani, ma perfino gli scambi universitari, sono stati in buona parte arrestati con l’avvento della pandemia. Se volessimo ricorrere alla metafora della bilancia potremmo dire che la stessa, a detta di molti analisti economici e non, pendeva soprattutto a favore di Pechino anche se non viene spesa una parola sulla presenza di capitali cinesi in alcune aziende italiane in crisi così come sui richiami pressanti Usa al nostro paese perchè non intraprendesse alcuna iniziativa commerciale con la Cina.
I MoU sono comunque accordi non vincolanti in un’ottica di cooperazione della quale beneficiano soprattutto i Brics e i paesi meno sviluppati, alcuni dell’Est Europeo che ancor prima dell’Italia avevano sottoscritto il Memorandum denominato la via della Seta
E tra le omissioni ritroviamo anche l’incremento dell’interscambio tra Italia e Cina cresciuto da 50 a 84 miliardi di dollari, da capire perchè i vantaggi siano stati soprattutto per la Cina e da indagare i ritardi italiani, stando ai numeri le esportazioni cinesi sono passate da 35 miliardi a 66 mentre quelle italiane hanno avuto solo un lieve incremento (da 14,5 a 18,6),
Ma l’aumento delle esportazioni cinesi in Italia arriva ben prima della firma del Memorandum e si spiega in parte con le delocalizzazioni produttive verso l’Asia e gli accordi stipulati dalle multinazionali e aziende italiane con imprese asiatiche per produrre varie merci a basso costo.
Con l’arrivo della pandemia i paesi a capitalismo avanzato hanno compreso quanto sia indispensabile salvaguardare i propri prodotti strategici caratterizzati da alto tasso di investimento tecnologico ed elevata reddittività senza dimenticare come il settore militare e la tecnologia dual use sia diventata strategica e per questo bisognosa di reinternalizzare o conservare dentro i confini nazionali alcune produzioni come droni, semiconduttori ecc.
Dietro all’uscita italiana dalla Via della Seta si celano ben altre ragioni da quelle sbandierate dal Governo italiano. Ad esempio la Cina risulta ancora dominante in alcuni settori determinanti per la transizione energetica, raffreddare gli scambi commerciali con il sud est asiatico è servito anche ad acquistare il gas liquefatto dagli Usa a costi decisamente maggiori del gas russo con ripercussioni negative sulla bilancia dei pagamenti.
Per avere un quadro esaustivo della situazione odierna tuttavia è indispensabile menzionare due accordi strategici per la Ue: il Critical Raw Materials Act e il Net Zero Industry Act.
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_23_1661
https://single-market-economy.ec.europa.eu/industry/sustainability/net-zero-industry-act_en
La Ue ha promosso recentemente una proposta di legge finalizzata all’approvigionamento di alcune materie prime indispensabili per la transizione, citiamo testualmente:
“Le materie prime critiche sono indispensabili per l’economia dell’UE e un’ampia gamma di tecnologie necessarie per settori strategici come l’energia rinnovabile, il digitale, lo spazio e la difesa. La legge sulle materie prime critiche (CRM Act) garantirà l’accesso dell’UE a un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime critiche, consentendo all’Europa di raggiungere i suoi obiettivi climatici e digitali per il 2030”.
https://single-market-economy.ec.europa.eu/sectors/raw-materials/areas-specific-interest/critical-raw-materials/critical-raw-materials-act_en
Sempre la commissione europea ha spiegato meglio gli obiettivi comunitari per i prossimi 20 anni alla luce degli accordi sopra menzionati
……Migliorerà in modo significativo la raffinazione, la lavorazione e il riciclaggio delle materie prime critiche qui in Europa. Le materie prime sono vitali per la produzione di tecnologie chiave per la nostra doppia transizione, come la generazione di energia eolica, lo stoccaggio dell’idrogeno o le batterie. Inoltre, stiamo rafforzando la nostra cooperazione con partner commerciali affidabili a livello globale per ridurre le attuali dipendenze dell’UE solo da uno o pochi paesi. È nel nostro reciproco interesse aumentare la produzione in modo sostenibile e allo stesso tempo garantire il massimo livello di diversificazione delle catene di approvvigionamento per le nostre imprese europee”.
Uscire allora dal Memorandum denominato la Via della Seta è stata una richiesta non solo degli Usa ma dei poteri economici e finanziari dominanti nella Ue (Francia e Germania) nell’ottica di conquistare una autonomia energetica e definire nuovi asset strategici.
Ovviamente non è scontato che questi obiettivi siano raggiungibili stante la sudditanza agli Usa che vedono nella Ue non solo un alleato strategico ma anche un potenziale concorrente che esce per altro fortemente indebolito dalla guerra in Ucraina e dal conflitto globale che il Congresso Usa ha di fatto “deliberato” nei giorni scorsi.
Fonte foto: Il Fatto Quotidiano (da Google)