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I 5 Stelle sono la nuova espressione del sistema di potere. Come da sempre avviene nella storia del Paese, le nuove forze politiche che si candidano a rappresentare il sistema di potere devono modificare gli assetti politici attorno a loro, creare un ambiente politico idoneo al loro radicamento e sviluppo. Quindi i 5 Stelle hanno il problema centrale di smantellare ciò che resta del bipolarismo della Seconda Repubblica, ed in particolare il suo testimone vivente, ed il suo artefice, ovvero Silvio Berlusconi.
E come avviene sempre nel nostro Paese, i cambiamenti sistemici avvengono per mano giudiziaria: nel 1992 Tangentopoli affossò la Prima Repubblica, oggi la sentenza del processo di Palermo concentra, in modo storicamente discutibile, tutta la responsabilità politica della trattativa Stato-mafia sull’asse Dell’Utri/Berlusconi. Che la pubblica accusa di tale processo sia condotta da un PM politicamente vicino ai 5 Stelle non produce nessuna reazione di allerta nell’opinione pubblica, come invece dovrebbe essere, confermando il dato di un Paese narcotizzato ed alla mercé di chi di volta in volta ne assume la guida.
La Seconda Repubblica è di fatto vissuta in un bipolarismo apparente sinistra/destra che in realtà si declinava, nella sostanza, come berlusconismo/antiberlusconismo, laddove l’ago fondamentale della politica si attestava sui ceti centrali e liquidi della società. dove si annidava la grande pancia moderata ex democristiana ed ex craxiana, che si contrapponeva alla borghesia cattocomunista cresciuta dentro il vecchio PCI e l’ala dossettiana della Dc.
La crisi economica ha sprofondato verso il baratro quote rilevanti di questi ceti centrali della società, ripolarizzandola fra protetti e vittime. L’incapacità della sinistra di cogliere questo movimento, e la presenza di una forza dichiaratamente “oltre” i vecchi steccati destra/sinistra del bipolarismo della Seconda Repubblica, hanno ridisegnato il conflitto politico e sociale, da destra/sinistra a sistemici/non sistemici, con la sottovariante costituita dal binomio europeisti/sovranisti.
Adesso il 5 Stelle deve finire il lavoro: l’uccisione politica di Berlusconi corrisponde a ciò, perché con la sua eliminazione (che peraltro corrisponde anche a motivi geopolitici: i nostri alleati non amano troppo un centrodestra unito che strizza l’occhio a Putin) viene meno uno dei motivi fondanti del Pd,ovvero il suo rapporto complesso, conflittuale ed a tratti collusivo con Berlusconi stesso. A quel punto, perso per sempre il puntello dell’antiberlusconismo (o del puntello del Pdn renziano) il Pd può farsi riassorbire tranquillamente dentro il 5 Stelle, divenuto nuova forza di sistema, magari lasciando uno spazio piccolo ad un macronismo alla ribollita, che consenta a Renzi di sopravvivere politicamente ai margini, senza più rompere le scatole. Che l’ala renziana del Pd abbia annunciato un documento di parte nella riunione della Direzione Nazionale del 3 Maggio, in cui si discuterà di come avviare un confronto con i 5 Stelle, suona come un antipasto di una possibile scissione.
con un M5S oramai lanciato verso l’immagine di “forza di governo” (e non importa se non ci riuscirà a questo giro, le aperture fatte alla Lega e soprattutto al Pd ne cambiano strutturalmente l’immagine ed il posizionamento politico anche per il futuro) La Lega occuperà l’altra metà di questo panorama, diventando la forza antisistema, non più solo ed unicamente dichiaratamente di destra tradizionale, perché strizza l’occhio ad alcune battaglie tradizionali di sinistra. Salvini e Di Maio non hanno mai creduto veramente di poter e voler fare un Governo insieme, hanno fatto una sceneggiata utile per dividersi il campo.
In un campo così difficile, con riferimenti completamente diversi, le tematiche proprie della sinistra (giustizia sociale, equità, eguaglianza, liberazione dall’alienazione lavorativa) saranno declinate non più nei termini ideologici cui siamo abituati (destra-conservazione e sinistra-cambiamento, oppure destra-poteri forti, sinistra-tutela dei deboli) ma in termini tecnocratici, dove la tecnocrazia sostituirà l’ideologia: la tutela dei diversi interessi sociali in gioco sarà garantita da scelte tecniche: euro si o no, sistema di tassazione, opzioni diverse di intervento sul mercato del lavoro, ecc. Non più una visione del mondo radicalmente diversa, cui la politica dovrebbe dare risposte e prendere posizione, ma sfumature tecniche di funzionamento di un mondo che più nessuno mette in discussione.
La sopravvivenza stessa della sinistra come terzo polo, necessariamente minoritario per molti anni a venire, diventa estremamente problematica. Si tratta di lavorare per tentare di spezzare trasversalmente (o quantomeno di allentare) l’asse sistemici/antisistemici, con un gioco di sponda fra i due campi, che ne colga il meglio e lo rideclini in un linguaggio ed in un sistema di valori socialisti: un compromesso sociale e programmatico che offra una alternativa a questi due corni del problema, mostrando ai ceti popolari che schierarsi con il sistema o l’antisistema, per vari motivi, non conviene. Si tratta di un lavoro ciclopico, difficilissimo, di fioretto più che di spada, fatto di continui compromessi con le due posizioni dominanti, finalizzati a scioglierle in un brodo di cottura più ampio, di attenta analisi sociale, di forte capacità di dialogo (che presuppone credibilità, quindi presuppone che i ceti dirigenti attuali, che la credibilità l’hanno persa, si facciano da parte).
Ne sarà capace la sinistra? Attendo di essere smentito dai fatti, ma non ho affatto fiducia. Non vedo una consapevolezza di ciò che sta avvenendo. Vedo un trinceramento di un ceto politico plurisconfitto su posizioni di retroguardia, di nessun interesse per il Paese. Non vale la pena di fare comunicati di fuoco su una rievocazione storica della Seconda Guerra Mondiale in uno sperduto paesino della campagna pisana, non serve più attestarsi sulla linea dell’antifascismo militante che ha costruito l’assetto della nostra Repubblica, quando oramai gran parte della società non ricorda più questi fatti storici, ed è ingoiata dentro i problemi tragici della quotidianità. Non serve un pacifismo indifferenziato, che mette Assad e i salafiti sullo stesso piano, quando il mondo deriva verso un multipolarismo sempre meno governabile dalle grandi potenze. Non serve sbraitare sulla scarsa democraticità di Putin, senza capire che il suo consenso reale deriva dall’aver restituito orgoglio al suo Paese, dopo le devastazioni neoliberiste seguite alla caduta dell’Urss. Non serve un approccio buonista all’immigrazione, senza capire che la questione riveste problematiche laceranti, che l’obsoleto internazionalismo proletario non risolve più.
Non serve affrontare il tema dell’Europa con professioni di fede, senza rendersi conto di ciò che avviene, ovvero che la costruzione europea non è certo minata da chi chiede, giustamente, maggiore sovranità nazionale, ma dall’ehrardismo intrinseco della destra economica tedesca.
Non serve pensare alla società come ad un insieme di detriti sui quali si è persa egemonia culturale e che sono finiti per ignoranza in pasto a Salvini e Di Maio, senza nemmeno riconoscere che il capitalismo sta subendo una torsione strutturale, dentro la quale emergono nuovi ceti sociali, con nuove forme di sfruttamento e nuove domande sociali, più complesse e non inquadrabili nel dualismo di posizionamento rispetto al modo di produzione.
Per quanto mi riguarda, sono piuttosto stanco e deluso. Continuerò, però, a parlare di queste inadeguatezze, ovviamente inascoltato ma, si sa, ci si abitua a tutto.