Torno brevemente sull’esito delle elezioni umbre, che a caldo definii “scontato e terrificante”. Confermo quel giudizio, evidenziando due dati: il primo é che i voti in fuga scomposta dai 5stelle non prendono la strada di una qualche “sinistra”, ma si rifugiano nell’astensione disfattista oppure nei recinti delle destre pugnaci (esclusa dunque FI, che non é né carne né pesce ed ha perso ogni residuo fascino: tempora mutantur, l’ottimismo berlusconiano non tira piú). Il secondo é che a risultare irrilevante non é solo la sinistra rosé, cioé quella che ammannisce muffite omelie inneggianti a un egualitarismo astratto, ad un pacifismo dolciastro e ai buoni sentimenti, ma pure le forze che, benché lontane mille miglia dall’opportunistica e ingannevole demagogia salviniana, osano sollevare temi – quali la difesa della sovranità, ad esempio – che un’opinione preconfezionata consegna gratis alla “destra”.
Per PC e FSI non ha manco senso parlare di “sconfitta”, perché per essere sconfitti bisogna prima avere la capacitá e l’opportunità di lottare: le due formazioni, al contrario, si sono perse nelle nebbie di un’elezione che non le ha viste protagoniste né comprimarie.
Certo i media avevano riservato loro frattaglie di spazio, tuttavia i messaggi non erano ambigui né incomprensibili – in una regione tradizionalmente “rossa” il popolo avrebbe potuto prenderle in considerazione, dar loro un non usurpato credito.
Invece il nipote ternano del vecchio operaio massa sceglie senz’ombra di incertezza Salvini, o al massimo si lascia tentare dalle sirene di una destra sociale, quella della Meloni, che di sociale non ha proprio nulla (a parte un certo efficace “plebeismo”).
Perché? A mio modesto avviso perché la c.d. gente comune é oppressa oggi da una snervante insicurezza, da una paura del presente e del futuro radicatasi talmente nel profondo da esigere, per momentaneamente quietarsi, ricette semplici, rozze ma di facile “implementazione” (perlomeno in apparenza). Non importa che il Matteo verde continui a piroettare fregandosene della coerenza (e cacciandosi in piú di qualche scandalo, che peró non gli nuoce): il suo messaggio cattura le menti perché é “salvifico”, di immediata comprensione, espresso “alla buona” e chiaro nell’individuare responsabili e nemici. Concetti semplici e semplificati come chiacchiere da bar – e promesse di soluzioni facilmente attuabili nell’immediato, hic et nunc.
L’elettore medio non pretende tutto nel medio/lungo termine: agogna, impetra qualcosa adesso, qualcosa cui aggrapparsi, anche se la vantata concretezza del “prodotto” si rivelerà presto fatta d’aria.
Ma rispetto all’elettorato Lega e affini puntano a un traguardo ancor piú a breve termine: elezioni a febbraio-marzo 2020 in cui fare il pieno, onde occupare poi – e in forze – il Parlamento per un lustro. Se le cose andassero cosí l’azzardo agostano di Salvini si rivelerebbe, a posteriori, una scelta vincente e “oggettivamente” geniale.
Più per nostro merito che per demerito “noi” di sinistra non possiamo competere con simili demagoghi, ma dobbiamo renderci conto che le proposte che siamo in grado di avanzare non fanno né faranno breccia in un corpo elettorale che, in preda all’isteria, chiede di essere “salvato” con un incantesimo: dalla crisi, dalle élite fameliche, dal babau musulmano ecc.
Afflitti da un panico febbrile e abbandonati a se stessi, gli individui manco sentono voci dai toni troppo “alti” e quanti raggiungono un maggiore livello di consapevolezza possono anche apprezzare (in astratto) i ragionamenti fatti dai “nostri”, ma derubricandoli a ipotesi di lavoro inutili nell’immediato, a seducenti e impalpabili fantasie. La trasformazione della società é percepita come inattuabile in questo disastrato presente, e le suggestioni di un cambiamento radicale (di un superamento del Capitalismo, persino di una sua “riforma”, peraltro impossibile…) si rarefanno fino a svanire man mano che l’elettore si approssima alla fatidica cabina: con le utopie non si mangia, sembrano dirci l’operaio, il pensionato al minimo, il precario a vita.
Accordarci a Salvini & co. é d’altro canto improponibile: se questa é l’etá dei demagoghi copiarne mezzi e tattica é vano, in primis perché scenderemmo al loro livello rinnegando noi stessi, in secondo luogo perché la dubbia virtù del demagogo di successo é il cinismo. I leader della nuova destra italiana ed europea ne dispongono in abbondanza: se anche provassimo ad imitarli falliremmo miseramente.
Tocca arrendersi quindi? Direi proprio di no: dobbiamo impegnarci piú che in passato per elaborare una prospettiva aggiornata e credibile di “fuoriuscita dall’esistente”, assistiti peró dalla consapevolezza – alquanto amara – che solo sconvolgimenti oggigiorno imprevedibili potrebbero rimetterci in gioco a breve e consentire alle generazioni attuali di cogliere i frutti di un’opera da svolgere con pazienza e senza soverchie illusioni.
Fonte foto: Corriere (da Google)