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Il mio libro, pubblicato da Bandiera Rossa in Movimento, ripercorre sotto il profilo politico, militare ed economico la storia del conflitto fra Iran ed Iraq, dal 1980 al 1988. Cerco di esporre gli antefatti, lo svolgimento, i principali soggetti coinvolti, e le conseguenze di breve e medio periodo generate dalla più grande guerra mai svoltasi fra Paesi in via di sviluppo.
La convinzione che ha animato questo lavoro è partita dalla considerazione che tale conflitto è stato sostanzialmente dimenticato e riposto nella pattumiera della storia, pur avendo avuto conseguenze globali molto rilevanti, perlomeno sui seguenti aspetti:
- rispetto ai due Paesi direttamente coinvolti, nonostante il fatto che l’Iraq esca dal conflitto con un Esercito enorme, ben equipaggiato e temprato dal conflitto, e con uno Stato Maggiore professionalmente migliorato, le difficoltà economiche e sociali interne spingeranno Saddam ed il baathismo iracheno, che prima del 1980 è stato forse l’esperimento più avanzato di laicismo e socialismo arabo, verso una strada senza ritorno, che culminerà nell’invasione del Paese del 2003, e nell’attuale situazione di frantumazione territoriale e sociale e di guerra civile permanente, dalla quale l’Iraq non è più uscito, diventando, però, un vero e proprio protettorato occidentale a tutti gli effetti. In Iran, la morte di Khomeini il 3 giugno del 1989, e l’ascesa di Rafsanjani alla Presidenza della Repubblica il 2 agosto, comporterà una virata pro-occidentale della gestione economica del Paese, in contrasto con le posizioni più radicali e legate all’ideologia khomeinista di alcuni ayatollah. Nell’insieme, mentre l’Iraq, come effetto di lungo periodo del conflitto, è andato verso la sua disintegrazione come entità statuale autonoma e come esperimento di socialismo arabo, nonostante i grandi successi sociali conseguiti prima del conflitto, l’Iran ha rafforzato ulteriormente il suo già grande senso di unità nazionale;
- Le condizioni interne di dinamica nel mondo arabo e più in generale islamico verranno altresì cambiate radicalmente dalla guerra. Se, da un lato, gli ayatollah dovranno rinunciare al sogno khomeinista di esportazione del modello di Rivoluzione islamica, e negli anni successivi lo sciismo si attesterà su posizioni perlopiù difensive, d’altro canto con la mancata vittoria di Saddam tramonterà definitivamente il sogno panarabista, già fallito nelle mani del nasserismo e dell’Egitto, e da Saddam rilanciato come crociata antipersiana. Sebbene altri leader arabi continueranno a parlare di panarabismo (ad esempio Gheddafi, non a caso alleatosi con l’Iran, per contrastare l’ascesa di Saddam, da lui visto come rivale per lo scettro di leader panarabo) essi saranno perlopiù leader di Paesi relativamente marginali, e nessuno di essi avrà dalla sua parte la storia, la tradizione, il fascino religioso e spirituale, la forza ideologica e militare che l’Iraq di Saddam poteva versare sull’altare della causa panaraba;
- La guerra innescherà uno scenario di maggiore interventismo militare statunitense nello scenario mediorientale, inaugurato dalle operazioni navali mirate, formalmente, a proteggere il naviglio mercantile del Golfo Persico dagli attacchi iraniani, e nella sostanza ad assumere stabilmente un potere navale in quel quadrante marittimo strategico. Il coinvolgimento diretto statunitense, indotto dal conflitto, sarà quindi foriero di ulteriori sviluppi, dall’intervento per liberare il Kuwait dall’attacco iracheno (anche questo direttamente correlato con le conseguenze economiche e debitorie della guerra con l’Iran) fino all’Afghanistan ed alla Siria, quest’ultima esplosa come conseguenza indiretta della stessa guerra Iran-Iraq, in quanto focolaio di tensioni fra sunniti e sciiti irrimediabilmente avviate verso un incrudimento da ciò che è avvenuto fra Teheran e Baghdad;
- Gli scenari economici ed energetici sono stati fortemente influenzati dal conflitto, nella misura in cui la guerra, e le sue immediate conseguenze (ivi compresa la crescente ostilità fra Iraq e Kuwait) ha accelerato la riduzione di coesione interna nell’OPEC, per cui gli anni del conflitto e quelli immediatamente successivi sono stati, per l’Occidente, molto duri in termini di riduzione dei flussi di importazioni petrolifere (e di conseguente rialzo dei prezzi) da parte di due dei maggiori produttori mondiali (il che peraltro è stato moderato dall’ampliamento della ricerca di nuovi giacimenti in aree diverse del mondo, aumentando il numero di Paesi produttori ed esportatori di greggio). Il disgusto internazionale per una carneficina guidata chiaramente agli introiti petroliferi dei due Paesi può anche aver accelerato la presa di coscienza globale circa la necessità di andare oltre le fonti energetiche fossili, spingendo sulle rinnovabili. D’altro canto, l’immenso debito e la grande destrutturazione produttiva subiti dai due contendenti hanno aperto ulteriore spazio ai rimedi della Banca Mondiale, del FMI e del Washington Consensus, al punto che sia gli ayatollah che Saddam dovranno progressivamente abbandonare gli esperimenti di economia alternativa al neoliberismo condotti, ovviamente sotto diversa angolatura ideologica, per abbracciare il “pensiero unico” liberista.
- Due visioni politiche dell’Islam e del suo ruolo, a quel tempo estremamente radicali e rivoluzionarie, si sono scontrate, fra baathismo e teocrazia sciita, ed in un certo senso ne sono uscite fortemente ridimensionate, mentre al contempo l’interventismo occidentale nell’area ha iniziato la sua ascesa, che dura fino ad oggi (ascesa militare, ma anche politica e culturale, se si va a vedere come i precetti neoliberisti di gestione economica abbiano fatto presa crescente persino in Iran, ed in altri Paesi dell’area).
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- La diplomazia internazionale ha perfezionato i suoi modelli di intervento convenzionali (il rafforzamento della dottrina del peace keeping e dell’intervento di pacificazione dell’ONU che, sebbene già in atto dal 1948, riceve nuovo stimolo e vigore proprio dalla conclusione della guerra fra Iran ed Iraq) a quelli innovativi (il programma statunitense di protezione del naviglio mercantile) fino a quelli decisamente non convenzionali (lo scandalo Iran-Contras, di cui do conto in un capitolo specifico del libro, e che dimostra il livello di influenza degli apparati di intelligence sulle decisioni politiche). Il conflitto diventa lo scenario di un grande dinamismo politico e diplomatico, che finisce per dare ragione agli USA, nonostante il grave errore di valutazione commesso nel caso della vicenda Iran-Contras, ed ai loro alleati israeliani (nel loro intento di mantenere per lungo tempo i due contendenti in guerra, indebolendoli entrambi, e danneggiando il programma nucleare iraniano), rispetto alla diplomazia sovietica, che in quegli anni dimostra (anche attraverso l’operazione militare in Afghanistan) di non avere una dottrina politica chiara ed univoca da applicare in quella zona del mondo, e che, pur appoggiando l’Iraq nelle fase critiche del conflitto, più volte oscilla verso tentativi frustrati di apertura al governo degli ayatollah. E’ interessante anche il gioco di alcuni non allineati, come la Corea del Nord e la Libia, che, per ragioni diverse (autonomia da Pechino, che sostiene soprattutto, anche se non esclusivamente, l’Iraq e tentativo di procacciarsi petrolio, nel primo caso, e volontà di limitare le ambizioni di Saddam come potenziale leader panarabo nel secondo) saltano a piè pari l’embargo sull’Iran, fornendo armi a Teheran.
Gli otto anni del conflitto, quindi, se non hanno insegnato molto dal punto di vista strettamente militare, poiché alla fine i due contendenti si sono impantanati dentro schemi bellici classici, se non obsoleti, ed il confronto fra tecnologia militare occidentale e comunista è stato inficiato dal diverso livello di addestramento degli utilizzatori finali, sono stati un vero “turning point” nella storia del Medio Oriente (e quindi del mondo) e hanno messo in scena numerose dinamiche politiche, economiche e diplomatiche, che avranno grande impatto negli anni a venire, e che meritano quindi di essere ricordate e raccontate.
Spero quindi che questo volume, volutamente messo gratuitamente on line per poter raggiungere un consistente numero di lettori, possa adeguatamente rendere conto di questa vicenda storica così sanguinosa e complessa. E che possa anche contribuire a ricordare i tanti sconosciuti, da tutte e due le parti, strappati dal loro lavoro e dalla loro famiglia, spesso ancora bambini, e massacrati in uno dei conflitti più violenti degli ultimi cinquant’anni. Un racconto di Ahmad Dehgan narra di una giovane donna iraniana, che, dopo la fine della guerra, attende per anni, invano, il ritorno del marito morto in combattimento, fino a quando un giorno non si reca sui luoghi della battaglia, raccoglie delle ossa di soldati morti e insepolti, e le porta a casa sua, quelle ossa che potevano addirittura appartenere a soldati iracheni, scambiandole per il marito, disperso chissà dove. Ancora oggi, centinaia di iraniani vanno in pellegrinaggio sui vecchi campi di battaglia, fra carcasse arrugginite di carri armati, pezzi di cingoli o di batterie di artiglieria, a pregare i loro cari che non torneranno più, sepolti chissà dove fra le dune e la sabbia.
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