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“Il tramonto dell’occidente…esprime un destino a cui non ci si può sottrarre.
Il sole non si può fermare. Il tramonto è inevitabile.
L’occidente è la terra destinata a ospitare questo tramonto”.
(Umberto Galimberti – Il tramonto dell’Occidente )
Il capitalismo post borghese e tecnocratico: fine delle ideologie?
Il paradosso del nostro tempo è che viviamo in un’epoca iper-ideologica caratterizzata nello stesso tempo dalla negazione della stessa ideologia, in quanto la nostra sarebbe l’epoca post-ideologica e della Fine della Storia, dominata e governata dalla Tecnica. I suoi attori non sarebbero più le classi sociali ma oscuri tecnocrati che amministrano l’economia e la finanza e le tutelano dalle ideologie che vi si oppongono e le criticano. In questa autorappresentazione non ci sarebbe più posto per la filosofia e la politica come ricerca della verità sociale, come pensiero che trasforma il mondo con l’azione consapevole, e non ci sarebbe più posto per l’autocoscienza come processo di apprendimento dialettico dalla storia.
L’Epoca borghese è così tramontata con il tramonto del suo soggetto storico e della dicotomia borghesia-proletariato, e con la fine della narrazione che ne aveva segnato l’ascesa come ideologia del progresso.
La Globalizzazione si presenta oggi come fatalità ineluttabile e come destino, e tutto ciò che si oppone ad essa è denunciato come ideologia e come nemico da combattere anche con le guerre camuffate da guerre di civiltà.
La sua guida è la Tecnica, la sua dittatura, legittimata dalla scienza ridotta a teologia scientista.
L’era della Tecnica come fine della Storia mentre decreta la fine delle ideologie, salva sé stessa come unica verità, provocando un rovesciamento dialettico: la negazione di ogni prassi trasformatrice della Storia umana, in quanto si autopropone come verità assoluta, non dialettica, che non può essere messa dialogicamente in discussione.
Secondo Marx le classi dominanti producono sempre ideologie che sono funzionali ai loro interessi, cioè servono a giustificare determinati rapporti sociali. Sono inganni e soprattutto autoinganni perché non sono concrete ma astratte. Le ideologie nascono dalla divisione del lavoro e da quelli che Marx e Engels chiamano rapporti di produzione. Gli uomini per sopravvivere devono lavorare e produrre, e nel fare ciò entrano in rapporto con i loro simili. Ma l’uomo oltre ad essere un animale comunitario si presenta anche come animale ideologico, portatore di una visione identitaria del mondo. Marx ed Engels nell’Ideologia tedesca affermano che “Gli uomini si sono sempre fatti idee false intorno a sé stessi, intorno a ciò che essi sono o devono essere. In base alle loro idee di Dio, dell’uomo normale, ecc. essi hanno regolato i loro rapporti. I parti della loro testa sono diventati più forti di loro. Essi, i creatori, si sono inchinati di fronte alle loro creature”.
(K. Marx-F. Engels – L’Ideologia tedesca). Possiamo affermare quindi che l’uomo è produttore e consumatore di ideologia come falsa coscienza, necessaria per la coesione sociale.
L’ideologia come categoria della modernità viene denunciata infatti da Marx come falsa coscienza, attraverso cui veniva deformata e autorappresentata la realtà sociale nella nuova società borghese che veniva affermandosi all’interno della dialettica borghesia- proletariato.
Il suo scopo era quello di coprire e nascondere la realtà dello sfruttamento di classe e i rapporti di dominio. Ha quindi sempre avuto la funzione di nascondimento e di camuffamento della realtà, quindi uno strumento formidabile al servizio delle classi dominanti; rappresenta la narrazione della legittimazione del Potere costituito e tende a produrre un sistema di pensiero conformista che nasconda la dura realtà dello sfruttamento.
Oggi più che mai l’apparato ideologico al servizio del capitalismo post-borghese e tecnocratico-finanziario diventa essenziale per legittimare un potere globale di sfruttamento e di dominio sul mondo e si serve delle moderne tecnologie di comunicazione e dei nuovi sacerdoti – intellettuali, apparati massmediatici, giornalisti, esperti vari – che fanno da intermediari nel propagandare il nuovo conformismo.
L’ideologia che lo dissimula maschera la nuda realtà della modernità, del progresso, del politicamente corretto come architravi di una narrazione falsa e mistificatoria del mondo di oggi da parte del Potere. Cela la natura reale del neo-liberismo come macchina oppressiva e totalizzante, costruita per il dominio globale di agguerrite minoranze che sfruttano le risorse dei popoli e del pianeta per accumulare ricchezze incommensurabili con il potere finanziario e con il potere delle armi, in nome del libero mercato: un sistema che produce ricchezza per una minoranza dell’Occidente – il miliardo d’oro – e riduce il resto del mondo alla marginalizzazione e all’esclusione, che il compianto Bruno Amoroso definiva come l’“Apartheid Globale”.
Il vecchio capitalismo industriale, egemonizzato dalla classe borghese urbana che ne aveva guidato la nascita e l’affermazione, è stato ormai sostituito in Occidente da un capitalismo post-borghese di natura finanziaria, guidato e dominato da un’oligarchia globale di rentiers e governato da tecnocrati intrecciati con l’apparato militare e industriale. Si tratta di un capitalismo predatorio senz’anima, popolato da sicari dell’economia che fanno affari e si arricchiscono a spese del 90% della popolazione mondiale.
La nuova oligarchia finanziaria globalizzata e apolide si fonda, infatti, sull’economia del libero mercato, l’economia dei rentiers “liberi” di estrarre la rendita finanziaria dalla ricchezza sociale globale, senza intervento e controllo pubblico: la chiamano democrazia liberale, la più grande mistificazione della “democrazia degli antichi”.
I principali filosofi greci con Aristotele (e le società asiatiche antiche con loro) condannavano, infatti, la crematistica come accumulazione smodata di ricchezza attraverso il denaro e la schiavitù del debito, perché minava la comunità e la coesione sociale della Polis. (Vedi https://michael-hudson.com/2022/07/the-end-of-western-civilization/ ). Il messaggio evangelico ne ripropone la condanna nella sua più bella preghiera, il Pater Noster, la più rivoluzionaria di tutte: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. L’ideologia “umanitaria” neo-liberale ci dice invece il contrario: tutela i creditori e l’accumulazione smodata di ricchezza di pochi oligarchi e rentiers attraverso la spoliazione coloniale d’interi popoli e stati con la schiavitù del debito.
Il destino del capitalismo occidentale finanziarizzato sembra quello di essere dominato e guidato da rentiers spregiudicati e dalla Tecnica – sempre più onnipotente e pervasiva – alleati in un Tecnopopulismo antidemocratico di cui vediamo le tracce nelle moderne forme di governance. Si presenta, infatti, come combinazione di tecnocrazie non elette, di appararti mediatici di manipolazione dell’opinione pubblica, di potenti lobby e minoranze “rumorose” della cosiddetta “società civile” che esautorano le istituzioni politiche della democrazia e che dettano norme, regole e comportamenti, anche etici – che riguardano la vita quotidiana dei popoli – a cui i legislatori devono uniformarsi. Le stesse decisioni che riguardano la pace e la guerra, che come in quella in corso in Ucraina mette a rischio il destino stesso dell’intera umanità, sono oggi sottratte alla decisione politica sovrana e affidate, di fatto, ad apparati militari e finanziari che obbediscono a disegni e strategie opache e non trasparenti, con i media che le legittimano e le propagandano con una comunicazione totalizzante e unilaterale. Cos’è se non “tecnopulismo” quello che abbiamo visto all’opera nell’incessante propaganda televisiva di guerra di questi mesi e con il tecnocrate Draghi che invita perentoriamente il Parlamento a sottomettersi al suo diktat in nome dell’Italia dei “duemila sindaci” e dell’associazionismo che si erano schierati a suo sostegno?
L’ideologia liberale rivela così la sua essenza antidemocratica mascherata dalla retorica della società civile e del governo degli esperti.
La sinistra new-liberal: l’ala culturale del neoliberismo
La guerra in corso ha rivelato anche la nuova natura politica e ideale della sinistra occidentale, schierata ideologicamente a difesa dell’occidente nella sua identità coloniale, razzista, guerrafondaia.
L’attuale scontro in Ucraina, che vede schierati “contro” fra loro la NATO e la Russia, colloca la sinistra occidentale liberal tra i più radicali sostenitori della guerra e dello scontro di civiltà tra Oriente e Occidente, e non in base ad un calcolo d’interesse di natura di classe o nazionale, ma fondamentalmente per una scelta “ideale”: l’appartenenza al campo occidentale portatore di una missione civilizzatrice e di progresso per l’intera umanità di cui sarebbe messaggero il mondo anglosassone. Una scelta culturale e servile che rompe definitivamente anche con la storia socialdemocratica del socialismo europeo, approdando definitivamente nel campo liberale, di cui diventa il braccio ideologico e culturale.
Il socialismo e il marxismo occidentali avevano già subito nel passato derive “positiviste” e si erano già compromessi con il colonialismo come portatore dei valori del progressismo occidentale verso i popoli senza storia, rinunciando alla prospettiva rivoluzionaria in nome della concezione del socialismo come progresso inevitabile e come naturale evoluzione del capitalismo. Si era comunque sempre dentro il quadro di una teoria e di una prassi che guardavano a una possibile transizione al socialismo.
La caduta del muro di Berlino e lo scioglimento dell’URSS accelerano la spinta della socialdemocrazia europea verso il definitivo approdo neoliberale, abbandonando la teoria e la pratica della critica dell’economia e dell’organizzazione capitalistica della produzione e della società. La sinistra occidentale, rinunciando alla prospettiva socialista, sposa così l’agenda progressista liberale diventando l’ala culturale del globalismo neoliberale esprimendone l’ideologia di fondo, ma tentando di coniugarlo, nella terza via bleriana, a un globalismo dei diritti, un globalismo dal volto umano, e con un’agenda sociale che temperasse l’aggressività delle politiche neoliberali di attacco e demolizione del Welfare e dei diritti del lavoro. In questo tentativo ha cercato di tenere insieme una grammatica dei “diritti civili”, con il sostegno ai rispettivi movimenti, con una visione depotenziata dei “diritti sociali” da rendere compatibili con l’affermazione e i “diritti” del mercato”; ha cercato di coniugare la concezione universale della democrazia liberale, con una teoria dei diritti umani da esportare nel mondo anche con il sostegno alle guerre di civiltà, moderna forma ideologica del vecchio colonialismo culturale occidentale. Lo abbiamo visto all’opera in questi anni con l’adesione alle guerre della NATO contro la Jugoslavia, l’Irak, la Libia, la Siria, l’Afghanistan, ecc., anche contro gli stessi interessi nazionali.
Questo “imbroglio” della terza via è via via caduto ed è stato definitivamente smascherato con la sua adesione militante alla guerra della NATO contro la Russia e contro il nascente multipolarismo, in cui si rivela come ala marciante del globalismo a guida anglosassone che ricorre alla guerra come strumento per affermare e confermare il suo predominio sul resto del mondo. Assume in definitiva un’identità più chiara aderendo all’ideologia aggressiva Neocons delle guerre di civiltà per riaffermare l’egemonia degli USA e la sua pretesa di rimanere il cardine dell’Ordine Mondiale e del suo governo.
Che cosa vuol dire per la sinistra occidentale proporsi come ala culturale del globalismo neoliberale? Fornire alla natura violenta e feroce del finanza-capitalismo una sovrastruttura ideologica che copra e giustifichi – con valori e partole d’ordine di “sinistra” – il ricorso alla violenza e alla guerra in nome di un superiore interesse: l’affermazione di una civiltà superiore che deriverebbe esclusivamente e unicamente dalla cultura e dalla storia dell’Occidente e dai suoi valori. E un Marx riverniciato viene riciclato all’uopo come teorico della globalizzazione e dell’estinzione dello Stato. Tutto torna.
Il “politicamente corretto” come forma ideologica del neoliberismo.
L’ontologia neo-liberale, post-classica, di matrice anglosassone, si auto-fonda sulla libertà assoluta, su un’antropologia secondo la quale l’individuo nascerebbe libero e sovrano, padrone del suo destino, libero da vincoli comunitari e dalle ingerenze delle autorità esterne e senza vincoli politici, statali e di appartenenza. La Libertà come affermazione dell’onnipotenza dell’Ego in tutte le sfere dell’esistenza e dell’essere: economico, culturale, ideologico, fino a interessare la stessa natura umana come terreno potenziale d’intervento e di manipolazione; si basa sul rapporto di scambio come unico rapporto normale della natura umana.
Tutta la sfera dell’agire e dell’essere viene così concepita come fluida e trasformabile, a partire dalla negazione della natura dell’uomo come essere sociale e comunitario, a fondamento invece del pensiero e della filosofia greca-occidentale.
La forma di questa ideologia è il Politicamente Corretto come naturalizzazione dei valori presunti universali e progressisti neoliberali in lotta eterna contro la conservazione, l’arretratezza, la reazione, da negare e combattere con tutti i mezzi.
Chi non si adegua rischia di esser ostracizzato e isolato. Lo vediamo all’opera nella propaganda mediatica sulla guerra nella sua forma di “americanismo”, come richiesta di adesione acritica alla sua missione nel mondo, comprese la guerra di civiltà contro la Russia e l’Oriente “autocratico e illiberale”. È operante nella forma dell’”antisemitismo” come religione della Shoah, che giustifica il ruolo coloniale di Israele in Palestina e l’oppressione di un popolo, come capro espiatorio per le colpe del mondo verso gli ebrei. Continua ad essere operante nell’“antifascismo” di maniera, vissuto e praticato anche come arma contundente con cui si delegittima e si scredita il pensiero divergente. Tutto quello che non è conforme a questa narrazione, è ostracizzato e ridotto al silenzio, compreso la follia della russofobia e dell’oscuramento della cultura e della storia russa: un vero e proprio obbrobrio, un attentato alla libertà di pensiero e un inno all’ignoranza dei processi della storia. Esso spinge a giudicare con i criteri dell’oggi gli eventi del passato nell’ambito di quella che è definita la cultura della cancellazione o dell’annullamento.
Il politicamente corretto si presenta così come la nuova forma del conformismo, come “Abitudinaria, piatta, acritica adesione e deferenza nei riguardi delle opinioni della maggioranza e delle direttive del potere.”
Un grande Giorgio Gaber in un pregevole testo del 1996, Il Conformista, aveva straordinariamente colto il profilo del nuovo conformismo politicamente corretto come antropologia dell’“Uomo Nuovo” liberal progressista, in versi qui sintetizzati:
“Io sono un uomo nuovo…non sono neanche più fascista, sono progressista. da un po’ di tempo ambientalista…Al tempo stesso liberista antirazzista, sono animalista…Non sono più assistenzialista…sono femminista…Son disponibile e ottimista europeista…sono pacifista…Ero marxista-leninista…
Rimbalza meglio di un pallone il conformista. Somiglia molto a tutti noi. S’allena a scivolare dentro il mare della maggioranza. E quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire…Sono un uomo nuovo. Sono il nuovo conformista”.
E non aveva un po’ ragione ancora l’indimenticato Gaber quando svelava ironicamente lo svuotamento della contrapposizione di “destra e sinistra” con la sua “…Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra…?”.
Per Costanzo Preve il Politicamente Corretto si manifesta oggi come sovrastruttura ideologica, la più adatta al capitalismo globalizzato: “Elementi di Politicamente Corretto”(https://www.sinistrainrete.info/teoria/6905-costanzo-preve-contro-il-politicamente-corretto.html ). Per Preve esso si è evoluto verso una forma in cui assume la valenza di un principio primario, un valore alla base della politica occidentale che, con l’aiuto dei media asserviti al potere finanziario, il capitalismo ha utilizzato come strumento per sostituire il conflitto sociale e di classe con una sorta di teologia dei diritti umani e civili intoccabili di cui sarebbe portatore l’Occidente.
Il politicamente corretto si presenta quindi come la religione dell’occidentalismo, come metafisica postmoderna e, se può consolare, estraneo al resto del mondo non occidentale – cioè al 90% circa della popolazione globale – che si fa senso comune da noi sotto gli effetti della propaganda gestita dall’apparato mediatico del nuovo clero che plasma il modo di pensare dell’opinione pubblica, presentato nella forma del pensiero unico, anti-dialettico e totalizzante giacché non ammette l’altro da sé.
Il suo cuore è l’etnocentrismo in cui al centro c’è l’occidente con attorno le sue periferie su cui esercita il suo potere economico, ideologico e tecnologico. Con i suoi paradossi: il suo antirazzismo proclamato che diventa razzista nei confronti dei popoli arretrati e colonizzati, i “popoli senza storia”; il suo antifascismo che usa il fascismo nella logica della sua geopolitica di domino; il suo liberalismo che diventa totalitario nel respingere ogni forma di contraddizione dialettica.
La sinistra occidentale new-liberal ha fatto propri questi valori coniugandoli con una certa visione universalista e colonialista del socialismo occidentale – estranea al socialismo e al marxismo orientale-arabo-africano-sudamericano – e con l’adesione all’agenda dei diritti umani universali che nasconde però la pretesa dell’occidente di dettare al resto del mondo i suoi valori e coprire ideologicamente le guerre di civiltà, in tutte le sue forme ibride: dalle sanzioni ai governi sgraditi, al boicottaggio finanziario, all’isolamento politico, fino alla guerra guerreggiata.
Afferma a ragion veduta Serge Latouche: “La riduzione dell’Occidente alla pura ideologia dei diritti umani è troppo mistificatoria…È difficile dissociare il versante emancipatore, quello dei diritti dell’uomo, dal versante spoliatore, quello della lotta per il profitto”. (S. Latouche – L’occidentalizzazione del mondo, Boringhieri 1992).
Il post-umano e la dittatura della Tecnica come destino dell’Occidente post-borghese?
L’Europa occidentale è in gran parte lo spazio storico dell’Europa “carolingia”. La sua cultura è erede della filosofia greca e classica, della grande metafisica cristiana medievale, del Rinascimento, dell’Illuminismo e della grande filosofia classica tedesca (da Kant a Ficht, da Hegel a Marx). È la cultura che ha elaborato e riflettuto sul destino dell’Uomo, delle sue libertà e dei suoi limiti, sulla natura umana e sulla antropologia filosofica dell’uomo come “essere comunitario”, sul rapporto tra libertà individuali e responsabilità sociale.
Oggi di questa storia e cultura rimangono tracce flebili nelle sue istituzioni e nei sui valori.
L’egemonia culturale in Europa è stata forgiata nel dopoguerra dall’americanismo, dall’individualismo proprietario, dall’ideologia neoliberale, dal consumismo, dal rifiuto delle forme di vita comunitarie, dal relativismo culturale e dal costruttivismo, che hanno implementato il senso di onnipotenza individuale e dei gruppi oligarchici di potere.
L’affermazione del neoliberalismo come ideologia del capitalismo totalitario postborghese, antidialettico e negatore dell’altro da sé, privo della hegeliana coscienza infelice borghese, ha accentuato la spinta dell’occidente verso un progressismo senza limiti che esalta la volontà di potenza del soggetto e la sua antropologia desiderante. Non a caso questi valori sono in testa all’agenda new-liberal di sinistra che hanno assunto una dimensione egemonica nei movimenti della società civile nelle loro battaglie per i diritti civili.
L’Occidente sembra destinato al suo annichilimento e al suo annullamento nella fase in cui ha riabilitato da una parte il nazismo in Europa in nome della guerra eterna all’“altro da sé ”, e in cui si presenta, dall’altro, sotto le vesti di un’ideologia cosmopolita e postumanista con la privazione delle persone di qualsiasi identità “solida”: identità nazionale, storica, di popolo, di classe, religiosa, culturale, di genere (il gender fluid), financo di un’identità umana sempre più dominata dall’Intelligenza Artificiale e dagli algoritmi, e con la pretesa di giudicare la storia anche retroattivamente, censurando e cancellando quanto non conforme al politicamente corretto e ai suoi valori, considerati eterni e immutabili nel tempo ( cancel culture).
L’obiettivo è l’individuo neutro, precario, assoluto, astorico, sciolto da ogni legame, perfino quello con il proprio corpo, consumatore e produttore fungibile secondo le necessità del mercato.
L’uomo può essere così sostituito da una macchina o da un algoritmo per operazioni e ragionamenti complessi, che sono una caratteristica esclusiva dell’essere umano. La morale, la filosofia, la politica come ricerca del bene comune non sarebbero più fonti della conoscenza ma attrezzi inutili e ingombranti. La post-umanità non avrebbe quindi alcun bisogno di discutere, di comprendere e di decidere il bene comune e poter scegliere tra il bene e il male.
In questo progetto antiumano, l’uomo si presenta come un individuo non dotato di natura ontologicamente definibile, ma come un essere soggetto a costruzione e a trasformazione non sulla base della sua natura, ma in base ad un progetto di ri-naturizzazione dell’umano derivante dall’antropologia liberale, dall’ingegneria genetica, dall’Intelligenza Artificiale, che porta alla alienazione dalla sua stessa natura; natura negata in nome di un Uomo Nuovo, frutto artificiale e culturale della sua volontà di potenza illimitata. Gli scienziati del Weizmann Institute in Israele possono così esultare: “Non ci sarà più bisogno di spermatozoi ed ovaie! “. Creati i primi embrioni sintetici al mondo! (Il Messaggero 4 agosto 2022). È questa la nuova prospettiva del progressismo post umanista che ci attende?
Secondo l’esperto d’intelligenza artificiale Robin Hanson le nuove tecnologie cambieranno il mondo a tal punto che i nostri discendenti non saranno più, per molti aspetti, umani. Afferma il futurista Ray Kurzweil: “la singolarità ci permetterà di superare i limiti dei nostri corpi biologici e del cervello. Nella post-singolarità non ci sarà alcuna distinzione tra uomo e macchina“ (Fabio Mazzocca, https://www.acronico.it/2016/09/28/il-lato-oscuro-della-singolarita-tecnologica/).
Del resto se l’uomo è il centro di tutto, se niente si può frapporre tra lui e ciò che ritiene il suo massimo bene, perché non tentare di sconfiggere anche la morte, inseguire tutti i desideri e volere acquisire un dominio totale sulla natura, compresa la nostra stessa biologia, in nome dell’autodeterminazione del proprio corpo?
L’essenza del “totalitarismo tecnocratico” (George Orwell) è che esso ritiene che i problemi della società possono essere affrontati solo attraverso un estremo controllo tecnologico della società. L’esempio più puro di un’ideologia tecnocratica è, ovviamente, l’ideologia transumanista, che crede che l’essere umano possa fondersi con tutti i tipi di dispositivi tecnologici e diventare, di fatto, simile a un dio. Non è certo un caso che il transumanesimo abbia trovato nella Silicon Valley il proprio centro di irradiazione, dove si finanziano i progetti più incredibili di interazione e di ibridazione uomo-macchina, per mostrare la “nuova frontiera” verso cui si incammina la “civiltà” capitalistica nella sua quarta rivoluzione industriale, in cui vengono a fondersi ideologia, scienza e tecnica applicata anche nella mente e nel corpo umano.
Nel libro inchiesta di Mark O’ Connell (Essere una macchina – Adelphi), Randal Koene, un neuroscienziato olandese fondatore di Carbon Copies, dichiara: «Ci sono persone ricche e influenti, da quelle parti ( Silicon Valley), convinte che un futuro in cui la mente umana sarà trasferibile su un computer merita di essere attivamente perseguito, con robuste iniezioni di liquidità». A tal proposito da leggere questo articolo di Fabio Mazzocca:
https://www.acronico.it/2018/11/30/essere-una-macchina/?fbclid=IwAR1t1lJahnThNRvjl_wGKEYlU-UCXxTxqQdQmneluiUNYU4EzBC0PKwikpQ .
Ritorna il mito prometeico di Faust nella fase declinante della civiltà occidentale e della sua decadenza nichilista. La Tecnica e la sua onnipotenza, assunta a nuova forza produttiva rivoluzionaria, diventa così, in questa filosofia antiumanista, la risorsa per traghettare l’umanità decadente occidentale verso un nuovo orizzonte postumano in nome del progresso che può oltrepassare gli stessi limiti della natura umana.
E’ quanto sostiene una filosofa neofemminista italiana, Rosi Braidotti ( https://ilmanifesto.it/rosi-braidotti-e-la-metamorfosi-del-postumano ), autrici di libri che si pongono al confine tra umano e postumano, oltrepassandolo, sostenendo sì la necessità di una etica pubblica del postumano ma senza mettere limiti alla ricerca scientifica e all’autodeterminazione del proprio corpo: (Il materialismo radicale, itinerari etici per cyborg e cattive ragazze – edizione Meltemi 2019 / Il Postumano, la vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte – Edizioni DeriveApprodi 2014) .
Si prospetta una nuova ideologia scientista e postumanista in risposta alla deriva nichilista dell’Occidente, per dominare l’uomo riprogettando la sua natura sociale e umana, e cancellandone la storia.
“Quando la conoscenza scientifica e tecnica si pone come conoscenza totale si rende possibile una pianificazione totale in cui l’uomo diventa per l’uomo un materiale conformabile e trasformabile secondo i propri scopi. La libertà infatti non si può produrre… La libertà proviene da una fonte diversa” (cit. di K. Jaspers tratta da Il tramonto dell’Occidente nella lettura di Heidegger e Jaspers di Umberto Galimberti). Il rischio di questo delirio scientista è che a perdersi sia proprio l’essenza umana dell’”essere”, sovrastato dalla” téchne”.
È possibile un’alternativa neo-umanista a questa deriva antiumanista dell’Occidente? Può essere un nuovo socialismo de-occidentalizzato e decolonizzato l’alternativa di civiltà che riconsegni il destino dell’umano nelle mani dell’uomo sottraendolo alla deriva della Tecnica come perversione della scienza, alla guerra come affermazione della sua volontà di potenza e al nichilismo dell’occidente decadente?
Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, il 19 novembre 2005, nel discorso alla Conferenza sul genoma umano afferma che “Occorre guardarsi dai rischi di una scienza e di una tecnologia che si pretendano completamente autonome nei confronti delle norme morali inscritte nella natura dell’essere umano”.
(https://www.vatican.va/content/benedictxvi/it/speeches/2005/november/documents/hf_ben_xvi_spe_20051119_pastorale-salute.html ). Parole “sante” che sottoscrivo in pieno!
Il progresso scientifico non può essere sottratto al controllo pubblico e a quella di un’etica condivisa e trasformato in mito scientista e tecnocratico.
Ma il dominio della Tecnica può rendere il mondo non trasformabile dall’azione umana?
È possibile recuperare il valore umanistico della Scienza, separata dalla Tecnica? Una scienza al servizio dell’umanità e non al servizio della tecnica? E di quale Etica efficace abbiamo bisogno per regolare anche i rapporti tra uomo e natura, tra uomo e natura umana?
Ha ragione il pessimismo di Heidegger sulla fine dell’Umanesimo e sulla dittatura della Tecnica o l’ottimismo di Marx con la filosofia della prassi trasformatrice?
Per dirla con Heidegger: un Dio (il Socialismo? Quale?) ci può salvare dalla deriva post umana e nichilista dell’Occidente e del suo tecno-capitalismo?
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