Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
“Il conformismo dilagante silenzia coloro che hanno avuto la forza etica di osservare le derive della contemporaneità e di pensarle emancipandosi da schemi preconcetti o dal desiderio di “piacere alle moltitudini per ricevere un veloce applauso”.
Marguerite Yourcenar scrittrice e pensatrice nota per le Memorie di Adriano è stata una donna libera. La libertà non è nel seguire la corrente, ma nel vivere il venerdì speculativo come affermava Hegel. La libertà non è schierarsi con l’opinione generale, ma dare forma critica ad essa mediante il logos. Uscire dal coro non è semplice, in quanto si va incontro a fraintendimenti e al rischio di isolamento, ciò malgrado non vi è progresso politico e sociale senza il rischio dell’isolamento.
Marguerite Yourcenar ha vissuto in pieno l’esperienza del femminismo, ma non si è schierata con i dogmi e con le liturgie del femminismo e ha ricercato la verità, ha posto domande che attendono risposte.
Ella ha riflettuto criticamente sulle degenerazioni del femminismo, in quanto non si è mai pensata primariamente come “donna” ma come essere umano. Pensarsi come essere umano incarnato in un genere e in un periodo storico consente di emanciparsi dalle logiche annientatrici dell’appartenenza per poter esercitare il pensiero in difesa dell’umanità tutta. Il femminismo che si contrappone sic et simpliciter contro gli uomini non ha come fine la liberazione, ma ha l’ambizione di sovvertire un presunto ordine oppressivo per inaugurare nuove forme di marginalizzazione, malgrado le migliori intenzioni dichiarate. Vi è una ambiguità in talune forme di femminismo che la scrittrice solleva allo scopo di difendere l’uguaglianza di tutti gli esseri umani.
In un’intervista presente su Youtube[1] in lingua francese con sottotitoli in italiano etradotta da Bianca Moretti[2] in un agile documento, la scrittrice palesa che vi sono due livelli non sufficientemente valutati nella storia della discriminazione delle donne: le leggi scritte e il quotidiano. La storia descritta come un lungo e piatto inferno in cui le donne sono state perennemente vittime del maschio privilegiato per legge, ci mostra una realtà più complessa e di cui bisogna tener conto per descrivere in modo più obiettivo la condizione femminile. Spesso l’inferiorità legale delle donne non corrispondeva alla realtà di fatto: le donne comandavano e sceglievano, benché la legge in teoria dichiarasse altro. Gli uomini rappresentati come oppressori nella narrazione attuale, nell’effettualità della storia erano spesso detentori di un potere solo legale, poiché era naturalmente gestito dalle mogli e dalle amanti.
Vi erano equilibri che sfuggono alle logiche contemporanee e che dovrebbero essere oggetto di conoscenza e riflessione. I pregiudizi contemporanei sono proiettati nel passato oscurando la verità.
Nell’intervista la scrittrice afferma che, a ben guardare, anche nel suo tempo si osserva normalmente che i mariti sono trattati come garzoni dalle mogli nella gestione di piccole attività commerciali:“E ci dimentichiamo spesso per esempio che parliamo di quella che era la condizione femminile in passato: si dice che le donne fossero svantaggiate dalle leggi, ed era così in effetti (…) non poter redigere da sole il proprio testamento, non poter gestire il proprio denaro, etc.
Mi pare però che di solito tutto questo è vero sulla carta. Prendiamo per esempio le donne della piccola borghesia che dirigono un negozio: spesso il loro marito ha l’aria del ragazzo delle consegne, ed è la signora seduta alla cassa che prende tutte le decisioni”.
“Nei tempi bui della condizione femminile”, le donne non potevano essere elette ufficialmente ministro o capo di Stato, ma innumerevoli sono gli esempi di donne che “facevano e disfacevano” i governi. Ancora una volta la Yourcenar sottolinea l’ambiguità che tanti non vogliono considerare nelle proprie valutazioni: le donne nei secoli XVII e XVI nei fatti detenevano il potere che formalmente era dei soli uomini. Se si valuta tale ambiguità la ricostruzione della storia nei termini di dominio incontrastato degli uomini e sudditanza generalizzata dimostra le sue “fragilità”. La realtà è sempre più complessa delle ricostruzioni ideologiche e di parte. Gli uomini appaiono privilegiati da un punto di vista legale, ma nella verità storica spesso sono i dominati:
“Ci dimentichiamo sempre che, se è vero che le donne del XVII e del XVI secolo non erano ministri né presidenti, avevano comunque un ruolo fondamentale nella politica, e che facevano e disfacevano i ministri e i membri dell’Accademia. Io stessa, quando sono entrata all’Académie Française, in quanto prima donna ad accedere all’Académie (doveva pur essercene una prima), ho avuto il compito di consolare questi signori sostenendo che non erano loro a essere particolarmente retrogradi, ma che semplicemente si adeguavano ai costumi del tempo, e che una volta le donne venivano poste sul piedistallo molto più di oggi, e che le si metteva talmente in alto che l’idea di offrire loro una poltrona non veniva neppure minimamente considerata. E io credo che sia vero da un certo punto di vista. Ciò non toglie che questa gente disprezzava le donne molto più di quanto accade oggi”.
Femminismo e nuovi ghetti
La scrittrice non rinnega l’uguaglianza dei diritti ma l’uso ideologico del femminismo, il quale ha abdicato alla liberazione di tutti gli individui per diventare una ricostruzione dubbia e semplicistica della storia del genere femminile.
Il potere delle donne sembra riaffermarsi nel tempo contemporaneo mediante il femminismo e l’uso parziale della storia. L’uguaglianza e le rivendicazioni sociali del femminismo si venano di nuove e pericolose forme di ghettizzazione. Vi è un femminismo che lavora per separare il genere umano e innalza barriere. I nuovi ghetti sono i ristoranti, le librerie o le discoteche al femminile, vere forme di esclusione degli uomini che inaugurano nuovi ghetti, mentre si afferma l’uguaglianza e si accusano gli uomini di aver ghettizzato le donne:
“E ciò che spaventa del femminismo dei nostri giorni (con il quale io mi trovo assolutamente d’accordo finché si tratta di uguaglianza dei salari, di meriti uguali, della libertà della donna nelle sue peculiarità femminili, come ad esempio la limitazione delle nascite, in tutte le sue forme, etc naturalmente), un elemento piuttosto fastidioso, è la rivendicazione contro l’uomo; è questo che non mi sembra naturale, che non mi sembra necessario, e che contribuisce a creare dei ghetti.
Di ghetti ce ne sono già abbastanza, ne abbiamo troppi. E allora quando vedo le donne aprire delle case editrici per sole donne, o dei locali per sole donne, etc… pur non essendo contraria, mi dico che sono dei nuovi ghetti, e che mi sarei molto arrabbiata 30 anni fa se mi avessero detto “lei ha il diritto di entrare solo in un ristorante per donne”, come quando le ferrovie avevano scompartimenti esclusivamente femminili; e pensare che stiano ricostruendo questo mi pare un vero peccato. E soprattutto che non si stia facendo niente invece per facilitare una maggiore comprensione, collaborazione e simpatia fra uomini e donne”.
Uguaglianza astratta
Il rifiuto della specificità del ruolo delle donne nella storia finisce con l’abbracciare una astratta uguaglianza, perché costruita sui “paradigmi degli uomini”. Anche la storia degli uomini diviene astratta, essi sono vissuti e percepiti mediante una storia spoglia della struttura economica.
Le donne per cultura o natura si sono occupate dei più deboli e della vita nei momenti di massima fragilità. Le donne non devono essere obbligate a vivere l’esperienza del dono, ma il rifiuto preconcetto, l’ostilità verso gli uomini e i nuovi ghetti non innalzano l’albero della libertà, ma producono dolorose negazioni e lacerazioni, le quali sono la premessa inconsapevole di nuove forme di razzismo non riconosciute:
“Fermo restando che la donna era considerata inferiore all’uomo, che era in una condizione svantaggiata, rappresentava comunque la creatura che metteva al mondo i bambini. Era la creatura che lavava, cresceva, nutriva e vestiva i bambini, dando loro la prima lezione d’umanità, in un certo senso. Era la persona che spesso si prendeva cura dei malati, che preparava i morti, etc… ed era molto più vicina alla realtà di base di quanto lo fossero molti uomini. La donna potrebbe portare questo senso profondo di realtà, fisica, carnale e fisiologica che manca tantissimo nella nostra società. Ed ecco come dovrebbe entrare in gioco la figura femminile: mostrando l’importanza e la sacralità di tutto ciò. E se la donna facesse questo, immediatamente giocherebbe un grande ruolo dal punto di vista del pacifismo, della libertà, del diritto civico, etc., perché comprenderemmo maggiormente i meccanismi della vita e della morte, a cui la donna è per forza di cose, poverina, estremamente vicina da secoli”.
Assistere gli esseri umani nei momenti di passaggio cruciali per l’esistenza: la vita e la morte, o semplicemente cucinare per gli altri, sono attività nobilissime, in quanto rendono visibile in quei gesti la sacralità materiale della vita. A tali comportamenti le donne non devono essere obbligate, ma giudicare negativamente le donne che vogliono dedicarsi a tali gesti è sbagliato e fuorviante:
“Quanto a occuparsi della cucina, come dicono spesso gli psicologi, si tratta di una forma d’amore. Nutrire gli altri è la maniera di provare loro che li amiamo: noi dimentichiamo la parte sacra di questa cosa. Ai giorni nostri questo aspetto sussiste forse più spesso negli uomini, che a un certo punto iniziano a lavare i piatti, a cucinare, mentre la donna se ne va in ufficio.
E sono loro che ereditano questo grande sentimento umano, mentre a me piacerebbe che restasse non dico privilegio delle donne, ma almeno che non si sentissero sminuite nel ricoprire il proprio ruolo femminile, per il quale sono perfettamente adatte.
Idem per l’argomento figli: adesso gli psicologi ci vengono a dire, forse un po’ in ritardo visto che hanno detto il contrario per 30 anni, che un figlio può tranquillamente vivere molto bene senza un padre, come senza una madre, e che non è una questione di sesso, ma è una questione di cura, di tenerezza, etc., e non è il caso che questo sentimento di cura e di tenerezza si sacrifichi per la carriera”.
Marguerite Yourcenar si è spenta il 17 dicembre 1987, le sue parole ci parlano del nostro presente in cui in nome dell’uguaglianza astratta si annichiliscono le differenze e si innalzano nuovi muri in cui rinchiudere le differenze. L’individualismo carrieristico modellato sul modello anglosassone e capitalistico non porta all’uguaglianza ma a nuove forme di sudditanza non riconosciute.
Alla menzogna e all’uguaglianza astratta che mortifica e umilia le differenze bisogna opporre il coraggio della verità senza la quale non vi è dignità per nessuno ma solo una innaturale e irrazionale uguaglianza.
[1]https://www.youtube.com/watch?v=3ZWD7c7gggo&t=270s&pp=ygUUbWFyZ3Vlcml0ZSB5b3VyY2VuYXI%3D
[2]https://www.minimaetmoralia.it/wp/interviste/la-condizione-femminile-intervista-marguerite-yourcenar/