Un tempo, esisteva qualcosa che si definiva censura. Ora no! Essendo riferibile a qualcosa che attiene ad una valutazione morale o ad una imposizione politica, e dato che la nostra è una società libera e niente affatto moralistica, la censura non esiste più. Il progressismo occidentale, laico e illuministico, ha vinto. L’oscurantismo dispotico, tipico di altri secoli, è stato abbandonato.
Un tempo, colui che veniva censurato si poneva come un antagonista, talvolta persino eroico, rispetto ad un potere che cercava con ogni mezzo di reprimerlo se non di sopprimerlo. Oggi no: non c’è nessuno che, in questo nostro tempo non produca la sua bella particina di rumore, al fine di manifestare a tutti la propria esistenza. Nessuno lo impedisce, nessuno lo censura. Piuttosto, si censura chi volesse incautamente stabilire la regola che non tutto è possibile. Insomma, la regola è che non ci debbono essere regole che non siano quelle ultraliberali della proprietà privata, dell’accumulazione di capitali e della compravendita generalizzata di cose. Il movimento illimitato di uomini e di merci, il senso di sradicamento universale, costituiscono l’unico principio previsto e contemplato da questa nostra visione del mondo.
Se qualcuno dovesse dissentire da questa società della libertà generalizzata, se qualcuno osasse cioè immaginare e proporre che no, che il mercato non è una divinità, che esista anche qualcosa che si chiama etica sociale, che per vivere occorrono inesorabilmente dei punti fermi: lavoro stabile, identità stabile, radici proprie ecc., ebbene, costui si troverebbe davanti a due situazioni – del resto strettamente compenetrate fra di loro. La società della libertà che, come abbiamo visto, ha abbandonato la censura, permetterebbe al dissidente di esprimere la sua opinione (siamo o non siamo in una democrazia?) ma sommergerebbe assai rapidamente quest’ultima, e il suo portatore, con una fittissima coltre di insignificanza. Nessuno verrà mai a conoscenza dell’idea, nessuno potrà discuterla, farla propria, assumerla come principio di vita. Se il dissidente dovesse insistere, superando la barriere del rumore di fondo che copre chiunque dica qualcosa di originale in un mondo fatto di libertà conformistica, allora si passerebbe alla seconda fase. Il dissidente verrebbe assai rapidamente posto come un nemico del progresso e della libertà. I media di regime opporrebbero il loro fuoco di sbarramento e il poveraccio tanto incauto da predicare cose tanto sconsiderate, sarebbe trattato come un prodotto di un passato abietto, un troglodita senza speranza, un nemico della libertà e della civiltà. Insomma, i valorosi storici della libertà non stenterebbero a far sfoggio di tutte le loro conoscenze e al dissidente verrebbero imposte le stigma del fascista medioevale o, il che è lo stesso, del medioevale fascista. È chiaro che in una situazione simile, è assai difficile che qualcuno riesca a portare avanti una lotta per una libertà diversa da quella (im)posta dalla visione del mondo contemporaneo. Il dissidente pertanto toglierà al potere il fastidio di censurarlo, mostrando una volta di più che la censura non esiste, e, reprimendo il proprio assurdo slancio ideale, correrà, come tutti, verso il centro della città, laddove cercherà con ogni mezzo (cinismo, arrivismo, disponibilità ad ammalarsi di patologie mentali, assoluta solitudine e disagio generalizzato) di farsi largo per ottenere una posizione che sia la più centrale di tutte.
Fonte foto: The Skill (da Google)