Su proposta del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, il Principe Umberto, Luogotenente del Regno d’Italia, figlio ed erede al trono di Emanuele III, colui che aveva nominato il Cavaliere Benito Mussolini Capo del governo, istituì la Festa della liberazione per il 1946, con un decreto legislativo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia. L’articolo 1 del decreto era il seguente: “A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale”.
La liberazione dal nazifascismo era ormai un fatto storico. L’Italia libertaria e partigiana sceglieva di ricordare il giorno in cui il fascismo era stato vinto. Peccato che insieme all’istituzione di questa festa, si fosse dimenticato – si fosse dovuto dimenticare – che tanti italiani quella libertà non l’avrebbero voluta. Del resto, tutti i fascisti di prima divennero poi liberal-democratici – e qualcuno perfino socialista – apologeti della liberazione. Il 25 aprile del 1946, mi chiedo, dov’erano finiti coloro che solo qualche anno prima, sotto i balconi di Palazzo Venezia, inneggiavano al Duce e comprimevano la libertà di tutti in nome di un progetto di grandezza patetico, portato avanti con violenza repressiva sul piano interno e con una guerra autodistruttiva sul piano internazionale? Spariti come neve, sotto il sole che illuminava ormai le nuove bandiere. Io credo che la cosa più importante da rammemorare ogni 25 aprile, non sia (solo) l’avvenuta liberazione dalla barbarie nazi-fascista. Ciò che è importante in sommo grado, invece, è ricordare che il fascismo è fra noi, qui ed ora, e può annidarsi talvolta nel più profondo del nostro animo, oltre che nelle nostre presunte istituzioni democratiche. Liberarsi dal fascismo esterno è impresa ardua e meritoria. La più difficile fra tutte le imprese, tuttavia, è liberarsi dal fascismo dentro di noi. Il vuoto che la libertà apre è una dimensione troppo profonda per poter essere (sempre) sostenuta e quanti fa noi preferiscono servire in vista di qualche vantaggio, piuttosto che prendersi la responsabilità di perseguire con forza e dignità le proprie idee? L’uomo – ne sono sempre più convinto – è purtroppo un animale gregario, un essere che ha bisogno di un capo. Se deve affrontare qualcosa di doloroso o di impegnativo, sceglierà sempre chi rimuove quel suo dolore e quel suo impegno prendendolo su di sé – costi quel che costi. Posto davanti ad una scelta ultimativa, l’uomo medio, il volgo, e cioè la gran parte degli uomini, darà ascolto alla sua pancia, piuttosto che al suo cervello.
Quanti taboo, quanti pregiudizi, quanti abusi di potere, quante ingiustizie, quante lobby continuiamo ogni giorno a sostenere (soggettivamente o oggettivamente) grazie alla nostra indolenza o alla nostra inguaribile ottusità? E, diciamo la verità, che cos’è questo se non fascismo? E quanti fra coloro che affermano di combattere il fascismo sono davvero liberi dai metodi prevaricatori, violenti (anche verbalmente), arroganti con gli inferiori e servili con i superiori – in ogni caso accentratori e proni al potere? Se volessimo un esempio concreto preso dal mondo della comunicazione contemporaneo, si comprenderebbe che le comunità chiuse – che adottano prassi quotidiane evidentemente fasciste – esistono e sono chiuse sul serio. I cosiddetti social – ad esempio – brulicano di profili inavvicinabili e di gruppi blindati. Gente, cioè, che ha ritualizzato regole ben determinate: individui che si conoscono bene e si incensano amabilmente e teneramente, dalla mattina alla sera, anche in presenza di scemenze spaventose quanto inenarrabili. Quando una persona sconosciuta cerca di farsi spazio in posti simili, soprattutto quando si tratta di persone senza particolari meriti (ma anche prive di demeriti), viene accolto solitamente con una bordata di solenne indifferenza e, alla prima occasione in cui si dovesse incautamente mostrare un poco “audace” nelle sue dichiarazioni, di norma prende un sacco di legnate. A me, tutto questo non sembra normale. È ancor meno normale veder comportarsi in tal modo chi sostiene di essere di sinistra e libertario: gli stessi che annunciano ogni giorno – con sonori squilli di tromba – di essere paladini dell’apertura, dell’ospitalità, dell’uguaglianza e retoriche senza fine. Tutto ciò mi conferma che purtroppo è così: il fascismo, prima di essere un fenomeno storico-politico, è un’inclinazione dell’anima! Io spero davvero che l’uomo non sia un animale gregario; che non lo sia fino in fondo. Se non lo fosse, se non fosse gregario, l’operazione da compiere quotidianamente dovrebbe consistere in uno sforzo che non contempli affatto un giorno di liberazione già avvenuto, ma ormai lontano, ossia quel giorno in cui la guerra contro il nazifascismo fu dichiarata vittoriosamente conclusa, certamente non per merito dell’Italia, ma dovrebbe considerare la libertà una questione aperta: sempre in pericolo e sempre da fare.