Un tempo era abbastanza facile capire chi stava con chi nel senso di sapere da quale parte della barricata schierarsi; da qualche decennio a questa parte la questione è diventata molto complicata.
Un tempo era chiaro che a destra stavano coloro che, a diverso titolo, difendevano il capitalismo e che a sinistra stavano coloro che si schieravano a difesa delle classi sociali subalterne. Tra i due poli opposti si collocavano posizioni intermedie che comunque avevano come fine quello di rappresentare e tutelare gli interessi di una delle due parti. A volte, dal confronto politico e sociale, scaturivano mediazioni, compromessi ecc. ma le distinzioni di fondo restavano.
Il contesto attuale vede invece da una parte le elites, formate da imprenditori, giornalisti, alti burocrati, manager, esponenti del mondo della cultura che a seconda delle rispettive visioni del mondo si autodefiniscono di destra o di sinistra, dall’altra la massa, il popolo. Le elites, che si dichiarino di destra o di sinistra, hanno molte cose in comune: sono individualiste, globaliste, per il superamento delle barriere nazionali, per l’indistinzione, la fluidità identitaria, hanno frequentato le stesse università, gli stessi master, ecc .Chi si allontana da queste coordinate non lo fa per convinzioni ma per opportunismo. Lo fa perchè deve intercettare consenso elettorale o perchè deve vendere un prodotto commerciale.
Le elites sono sovrapponibili sul piano delle scelte di politica economica e finanziarie. Il mercato e il merito sono le fedi nelle quali credono. Ciò che in particolare le accomuna è il disprezzo per le masse popolari. Masse popolari un tempo riconducibili alla classe operaia e alla classe media. A formare la coscienza di questa massa contribuiscono personaggi dello spettacolo, dello sport, della cultura ecc. che pubblicizzano modelli culturali che hanno come unico scopo quello di legittimare lo status quo.
Costoro sono figure che occupano spazi pubblici, in particolare quelli televisivi e della rete, contribuendo ad annientare qualsiasi forma di identità e di senso di appartenenza. La categoria su cui questi personaggi fanno più presa è quella dei disperati, degli sfigati, persone impoverite economicamente e culturalmente o prossime ad esserlo. Considerato il contesto, al conflitto di classe proprio delle società industriali dovrebbe sostituirsi quello del popolo contro le elites. Purtroppo è questo un popolo privo di coscienza e di senso di appartenenza; mentre, al contrario, le elites hanno coscienza e identità. Sono consapevoli di ciò che sono e lo si evince da come esercitano il potere economico, politico, culturale e mediatico su masse liquefatte, spersonalizzate, solo carne da macello per battaglie funzionali all’occupazione di mercati elettorali e commerciali.
Omologazione, massificazione, perdita di identità e di senso di appartenenza portano alla solitudine. Il popolo è qualcosa di indistinto, un qualcosa da manovrare e indirizzare attraverso abili politiche comunicative e di marketing. Più il popolo viene trasformato in qualcosa di indistinto, in individui isolati e più è facile da manovrare. Precarietà, nomadismo, annullamento delle differenze sessuali, della coscienza di classe, di legami sociali duraturi diventano strumento di controllo delle elites sulle masse. La Democrazia sempre più identificabile con il mercato, la Democrazia sempre più identificabile con l’agorà televisiva e della rete, dove il senso critico viene stigmatizzato dalla nuova ideologia del politicamente corretto. Indignarsi o meglio incazzarsi non è politicamente corretto.
Se non bastasse stiamo assistendo ad una vera e propria riscrittura della Storia. La Storia , nel bene e nel male, definisce il senso del presente. Ciascuno di noi apprende la propria Storia dall’appartenenza ad un nucleo familiare, ad una comunità, sia essa la città e lo Stato nel quale è nato e cresciuto, nel quale i genitori e i nonni sono nati e cresciuti. Le Storie di ciascuno di noi si intrecciano con la Storia degli avvenimenti collettivi e di come essi si sono sviluppati definendo la nostra identità. Ebbene oggi stiamo assistendo alla riscrittura della Storia che non è altro che negazione della Storia stessa. La cancel culture è distruzione delle identità individuali e collettive. Le elites hanno bisogno di masse prive di Storia per poter meglio esercitare il proprio potere. Nella società industriale dell’800 e del 900 il conflitto sociale era tra classe operaia e capitalisti, la dico cosi semplificando al massimo, oggi il conflitto potrebbe essere tra elites e popolo se questo iniziasse con l’incazzarsi sul serio.
Fonte foto: Il Fendente – Altervista (da Google)