L’articolo di Michela Murgia uscito su L’espresso il 2 febbraio 2016 dal titolo “Non chiamatela maternità surrogata” si presta ad affrontare una serie di riflessioni sul tema della Gravidanza per Altri (Gpa) o Utero in Affitto. Il pezzo uscì in occasione della decisione della scrittrice di non firmare la petizione contro la Gpa proposta dall’associazione femminista Se non ora quando-Libere.
Chiariamo subito ciò che in questa sede sosteniamo: il fatto che lo scambio commerciale o sotto forma di dono di un bambino, non sia in alcuno modo accettabile. Mentre per l’autrice il bambino è letteralmente la parte meno problematica del discorso, per noi il suo benessere e i suoi diritti sono il nodo cruciale.
Dicevamo, lo scambio commerciale o sotto forma di dono di un bambino. La scrittrice però ci blocca subito, infatti secondo lei “proprio perché nessun essere umano è una merce, in nessun caso il denaro versato alla donna può essere considerato un corrispettivo per il bambino, ma sempre e soltanto una remunerazione per la sua gestazione”. Pecccato che dopo nove mesi ai genitori intenzionali non venga consegnata una ‘prestazione’ ma un essere umano in carne, ossa, psiche ed emozioni.
L’articolo prosegue con l’autrice che si spertica per convinverci che commissionare bambini possa essere una pratica socialmente ed eticamente accettabile. Sì, perché l’identificazione tra maternità e gravidanza non è che “mistica deterministica del sangue nel sangue”.
Forse la “mistica deterministica del sangue” a cui si riferisce non senza altezzosità è la comunicazione chimico-ormonale tra madre e bambino? La memoria intrauterina, l’apprendimento implicito del nascituro? Il circuito ossitocinico che nella donna ricompatta l’utero dopo il parto e nel bambino infonde calma e tranquillità? Quella fisiologia affettiva che integra madre e bambino come sistema unico?
La scrittrice non ha letto Bowlby e l’attaccamento? Gli studi di Spitz sulla deprivazione materna precoce? Non gli è giunta voce della dinamica dell’imprinting, presente già negli uccelli e nei mammiferi? E non è neppure aggiornata sulle nuove frontiere delle neuroscienze che confermano l’importanza capitale delle cure materne nella crescita cognitiva e creativa del neonato?
Un neonato appena dopo il parto riconosce l’odore dell’utero materno nel suo capezzolo e così si trascina sul corpo della mamma per arrivare al seno. Il latte cambia ad ogni poppata e perfino durante ciascuna poppata, per nutrire in modo efficace il bambino, fornendogli così anche anticorpi e rassicurazione emotiva per mezzo del contatto tattile e oculare.
E per essere pignoli, sangue di madre e feto durante la gestazione non si mescolano mai. Le ragioni dell’umano che nasce sono diritti ontologici, psicologici, affettivi ed etici non contrattabili.
Con quale diritto possiamo dunque decidere di privare un essere umano di questo imprinting, di questo attaccamento spontaneo e biologico, di questo prodigio della nostra specie?
Anche se lo sapesse pare che il bagaglio etologico e psicologico che pone le basi per l’attaccamento umano sia sacrificabile, infatti più avanti liquida così la questione: “Nelle riflessioni precedenti non ho detto nulla sul bambino, nonostante tutta la questione della Gpa ruoti intorno al desiderio di averlo. Non l’ho fatto perchè credo sia la parte meno problematica del discorso, giacché un bambino nato con una Gpa è esattamente uguale agli altri. Non ha né difetti né privilegi particolari a meno di non voler considerare un privilegio quello di essere stato desideratissimo”. Dunque la questione, lo afferma lei stessa, non ruota intorno al bambino, ma al desiderio di averlo. Ed è proprio questo l’abuso che vogliamo denunciare. Al piccolo basta essere stato “desideratissimo” insiste la Murgia.
Purtroppo questo tipo di considerazioni derivano da una concezione secondo la quale il bambino è un non-ancora-umano dal punto di vista psicologico ed emozionale perché non ha un album dei Beatles che adora o una preferenza elettorale. Il neonato, anche se non può verbalizzare il pensiero avverte più profondamente di noi il legame spezzato. Per il neonato la perdita della gestante è un’esperienza abbandonica a gravissimo rischio. Cosa dovrebbe interessargli del fatto di essere stato desideratissimo da dei perfetti sconosciuti? Sconosciuti che gli hanno inflitto l’esperienza dell’abbandono precoce, per giunta.
Il desiderio dei genitori adottivi risulta invece preziosissimo nei casi di adozione senza contrattazione, in cui il bambino perda i genitori accidentalmente o venga partorito e rifiutato. A differenza della Gpa l’adozione è un atto di riparazione non di contrattazione, e non è solo una questione terminologica.
Per il neonato la pelle della mamma non è la pelle di una gestante né di un genitore intenzionale. È ciò che lo accoglie, avvolge, orienta, accudisce, scalda, nutre. Nel silenzio verbale ma vivissimo della memoria neonatale dove non ci sono parole ma solo sensazioni, la gestante e il genitore intenzionale che la Murgia divide con il bisturi della sua retorica, coincidono. E nessuno potrà mai spiegare o consolare quel bambino dicendogli che “C’è un contratto da rispettare, ci sono dei genitori intenzionali amorevoli che ti attendono, perciò ora molla quel seno che rappresenta tutte le tue certezze sopravvivenziali e le tue consolazioni orali e andiamo da loro”.
Per la sensibilità del neonato visto dalla Murgia però, è indifferente il fatto che da un giorno all’altro chi lo prende in braccio avrà un altro tocco, un’altra presa, un altro odore, modo di muoversi, di rispondere al sorriso, di reagire al pianto, un diverso battito cardiaco, un volto differente.
Infatti prosegue “I problemi mi pare sorgano solo quando i genitori intenzionali hanno una percezione mercificata del bambino, e sono convinti di star attendendo, più che un figlio, un prodotto genetico con delle specifiche”. Se i genitori intuiscono l’alienazione di ciò che stanno compiendo (non nell’aver adottato ma nell’aver commissionato un figlio), la blogger gli dice che stanno farneticando. In fondo dopo che avrà pianto fino allo sfinimento per la separazione incomprensibilmente subita si farà forza su tutta la sua capacità di adattamento (come va di moda ‘resilienza’) e si addormenterà.
Non a torto l’autrice fa della Gpa soprattutto un discorso di possibilità economiche, ricordando come le differenza di risorse determini molte disparità intorno al costituire una famiglia. Secondo la Murgia la Gpa eviterebbe diversi aborti, ma vediamo come:
“Se in questo paese esiste una legge che consente l’interruzione di gravidanza perché non si hanno abbastanza sicurezze economiche, secondo quale logica non dovrebbe esistere una legge che per ottenere quelle sicurezze ne consenta invece l’inizio e il prosieguo? Quale sarebbe la ragione per cui si può impedire la nascita di un essere umano perché non si hanno abbastanza soldi, ma non si può ipotizzare una legge che permetta di realizzarla per ottenerli?”.
Quindi invece di fornire a una donna economicamente svantaggiata le risorse per accudire il figlio, si recide il loro legame perché qualcuno più ricco possa ottenere il bimbo? Lungi dall’essere un’opportunità per il bimbo, si configura come uno sfuttamento ancora maggiore ai danni di madre e neonato, a tutto vantaggio di persone molto più agiate. Invece di lavorare sulle opportunità di una madre indigente di crescere suo figlio, ci si adopera per sottrarglielo; non si punta a ridurre la disparità economica, ma essa diviene piuttosto il motivo per strapparle il figlio. L’abbaglio è davvero clamoroso.
Oltre al disconoscimento del neonato come essere umano senziente, a noi pare che l’argomento sul quale si regga il testo sia in fondo piuttosto debole, ed è quello giuridico del “meglio regolamentare che impedire” perché tanto qualcuno lo farà lo stesso. Ma di questo passo non finiremo per non sapere più cosa è regolabile per legge e cosa invece la legge semplicemente non può accettare in quanto incompatibile con i dirittti fondamentali dell’essere umano?
https://espresso.repubblica.it/attualita/2016/02/01/news/michela-murgia-non-chiamatela-maternita-surrogata-1.248420 Link all’articolo di Michela Murgia