Gli ultimi due anni segnano uno spartiacque con il prima, con il mondo che abbiamo conosciuto. Qualcuno potrebbe obiettare, a ragione, che il movimento della storia è un processo in cui i cambiamenti sono spesso lenti e contraddittori, in cui le accelerazioni e i salti di qualità sono rari, sono l’eccezione che conferma la regola. La storia si muove attraverso tendenze, alcune principali e strategiche, che rispondono alle contraddizioni profonde che muovono le relazioni sociali tra gli uomini e altre e molteplici concause, spesso contingenti nel tempo e nello spazio.
A mio avviso, nonostante il mainstream anglosassone abbia fin dagli anni novanta raccontato con varie pubblicazioni e centri di orientamento culturale che il movimento storico fosse finito in una sintesi definitiva e pacificata, in quanto il regno del male, il comunismo, era stato seppellito dalla forza di attrazione del bene personificato dal modello capitalistico occidentale; nonostante una gigantesca manovra di diversione, falsificazione e revisione della storia a partire, guarda caso, proprio dalla lettura della Rivoluzione francese, oggi la storia si rimette in marcia e anche a passi veloci. Alla fine si dimostra una legge generale della storia umana che i fatti sono più duri della testa. Questo lo dico senza alcun credenza assoluta nell’oggettività matematica dei fatti che sono soggetti anche essi a un campo specifico della lotta di classe, la lotta delle idee, delle ideologie, delle narrazioni, delle interpretazioni. Certo la storia non si ferma e questo, è chiaro, e non porta con sé inevitabilità e necessità, ma solo possibilità. In questo, forse, dobbiamo iniziare a fare pulizia con un certo positivismo che ha albergato per molti anni anche nelle fila del movimento marxista occidentale. La lezione dell’89 ci dice che non c’è una fideistica strada che ci conduce alla risoluzione delle contraddizioni capitalistiche, ma c’è anche la vittoria, forse temporanea, della barbarie. Abbiamo bisogno di comprendere meglio il nostro tempo che non è univoco e omogeneo a qualsiasi latitudine. Sono uno di quelli convinto che negli ultimi due anni è avvenuta non solo un’accelerazione importante dello scontro imperialista, ma che questo scontro vede il mondo occidentale e in particolare l’élite anglosassone in crisi, una crisi non verticale, ancora con molti spazi e riserve strategiche per contro reagire a un altro mondo che in forme diverse, e anche spesso contradditorie, si contrappone all’egemonia occidentale. Il 24 febbraio 2022 è una di quelle date che segnano una svolta, i posteri forse avranno maggiore consapevolezza del passaggio storico che ha introdotto. Lungi da me pensare che la lotta imperialista sia una fotocopia delle tesi leniniste del 1915-1916, per cui oggi si ripete lo schema della prima grande guerra, e che quella di oggi non sia altro che la seconda parte di un film già visto. Le analogie nella storia possono essere efficaci in alcuni casi come spunto, stimolo, artificio propagandistico, ma raramente riescono a dare una profondità di analisi.
Chiariamoci: il socialismo non è all’orizzonte, men che meno nel “giardino” occidentale, ma la guerra mondiale che si va dispiegando a puntate e in spazi diversi vede due grandi assi che si confrontano: l’asse russo cinese, che non è solo pura convenienza geopolitica, tatticismo dettato dal comune nemico, ma anche una concordanza di vedute sulle relazioni internazionali, in parte sul rapporto stato-mercato, in opposizione a una visione e una gestione del mondo unilaterale e neocolonialista del mondo occidentale identificabile nel formato dei paesi G7. E’ questo il centro che muoverà la storia dei prossimi anni e decenni. Intanto, possiamo iniziare a fare un primo bilancio di alcuni processi che si sono prodotti, che erano probabilmente in nuce da tempo, ma che il 24 febbraio ha accelerato, modificato e resi possibili, cambiamenti fino a poco tempo fa improbabili.
La guerra mondiale che si va dispiegando, con profili inediti nella forma rispetto alle due guerre mondiali del novecento, vede per la prima volta dal 1945, l’Europa dell’est terreno di confronto militare convenzionale in una guerra simmetrica con potenziale minaccia di utilizzo di armi atomiche tattiche.
In questo senso lo scontro tra il blocco occidentale trainato dagli anglosassoni e il mondo russo è totale, investe ogni campo: da quello economico con le sanzioni utilizzate come arma (spuntata) di disarticolazione del nemico, a quello politico con la rottura di ogni forma di mediazione, organismi di confronto e scambio di informazioni, a quello militare, su cui andrebbe aperto un capitolo a parte, perché la forma del confronto non ha precedenti nella storia militare.
Partiamo dal fatto principale: La Nato è in guerra non dichiarata con la Russia. L’utilizzo dell’intelligence sul campo, dei “mercenari” occidentali nella Legione straniera Internazionale, e in altri formazioni, che altro non sono in realtà che corpi speciali delle forze americane, inglesi e polacche, che dismettono le uniformi del proprio esercito per vestire quelle fittizie dell’armata mercenaria, i numerosi alti ufficiali anglosassoni che sul campo dirigono le operazioni militari dell’esercito ucraino, l’utilizzo delle decine di satelliti militari per dare informazioni costanti in tempo reale sulle posizioni, la logistica, e i centri di commando del nemico, il terrorismo interno alla Russia, il sorvolo costante degli aerei radar Awacs e delle numerose tipologie di droni di osservazione sul mar Nero, ci dicono quanto siamo (come occidentali) in una situazione di piena guerra non dichiarata, nel format della guerra di procura. Nelle precedenti guerre mondiali, per molto meno, le potenze sarebbero entrate in guerra diretta dichiarata. In questo caso, quindi assistiamo a un inedito assoluto. Senza parlare delle nuove forme della guerra ibrida che si intersecano con quella convenzionale altamente tecnologica (l’uso massivo dei droni), ma che rivede anche l’utilizzo massiccio delle trincee della grande guerra.
Altro capitolo è la guerra culturale, nella forma della più pervasiva e brutale russofobia, è anche essa un inedito per alcuni versi. L’ostilità del mondo occidentale verso l’est è in parte una costante storica. Ai tempi dell’Unione Sovietica si è caratterizzata con la crociata politica, culturale anticomunista e a tratti anche militare, con vari tentativi di sabotaggio e colpi di stato e interferenze. La guerra culturale toccava principalmente l’orso sovietico e non l’orso russo, anche se la pubblicistica più reazionaria e fascista anche all’epoca dipingeva il cosacco come il male e la civiltà cristiana occidentale in lotta contro la barbarie asiatica. Ora questa narrazione è diventata diffusa, alimentata a spron battuto dal “cerchio magico” dell’élite intellettuale, giornalistica e politica, spesso di “sinistra” del giardino occidentale. La rimozione dei canali di informazione russi, le liste di censura dei presunti filoputiniani, il boicottaggio degli artisti e degli atleti russi sono solo la punta dell’iceberg di una dissennata e pervasiva campagna di disinformazione che rimuove sistematicamente la drammatica condizione a cui è sottoposta la popolazione di lingua russa, non solo sotto il regime nazista ucraino, ma anche in molte regioni dell’est Europa a partire dai paesi baltici, con campagne di discriminazione linguistica ed etnica delle minoranze russe, con la rimozione di tutti i riferimenti alla liberazione dell’Armata Rossa dall’occupazione nazista. Senza parlare della distruzione sistematica in Ucraina, nel silenzio generale, del patrimonio bibliotecario della letteratura russa e sovietica lì conservata, le rimozioni delle statue dei grandi letterati, personaggi storici russi nelle città e l’innalzamento di monumenti e targhe a esponenti del nazionalismo estremo ucraino antisemita e filonazista.
Ad oggi la guerra contro la Russia a quasi due anni, vede l’avvicinarsi della sconfitta sul campo del regime ucraino, che sembra destinato ad entrare in una crisi sempre più profonda. Quali sono le conseguenze possibili di questa sconfitta per l’Ucraina e i suoi curatori occidentali? Lo scenario è in continuo movimento e possiamo andare solo per approssimazioni partendo da alcuni punti abbastanza chiari, sapendo che la partita dello scontro mondiale comunque ormai è aperta e non si fermerà all’Ucraina. Il primo punto chiaro è che la guerra per procura alimentata, promossa, finanziata dalla Nato e in parte dall’UE almeno dal 2013-2014, che si era data un obiettivo strategico principale e due obiettivi operativi, è al momento fallita. La finalità strategica era già stata ben descritta da Zbigniew Brzenzinski alla fine degli anni ’90 e messa per iscritto nelle pagine del best-seller geopolitico “La grande scacchiera”: disarticolare la Russia nel XXI secolo in una potenza regionale, scomporre la sua federazione in vari regioni indipendenti, essenzialmente in tre macro aree, decentrare e ridimensionare il suo arsenale militare tattico e strategico ed eliminare il suo status di potenza nucleare mondiale. Le Giunte succedutesi dopo il colpo di stato di EuroMaidan sono state finanziate e armate dagli anglosassoni per raggiungere due obiettivi operativi: sferrare l’offensiva nel Donbass e soprattutto riprendere la Crimea, obiettivo di primo piano per il controllo geostrategico del Mar Nero e unico accesso diretto della Russia al Mediterraneo. Ora possiamo dire che la Nato si sta rendendo conto che questi due obiettivi al momento non sono stati raggiunti, e al contrario invece si fa probabile che il regime fallimentare e corrotto di Kiev, che si regge esclusivamente sui fondi economici americani e dell’UE, possa spaccarsi in più pezzi, in una lotta fratricida interna dalle conseguenze imprevedibili.
Un altro nodo è la Germania e complessivamente l’Europa. La macchina tecnocratica e burocratica dell’UE mai come oggi ha evidenziato la sua totale sudditanza alle scelte imposte dalle élites anglosassoni. Questo ha provocato per le dirigenze sia dell’UE che dei paesi traino della stessa, Germania e Francia in particolare, un progressivo e totale scollamento dalla realtà economica e geopolitica. Sembra sempre più evidente che questi signori chiusi nelle loro torri di cristallo abbiano maturato un rapporto alterato con la realtà e siano in qualche modo in una fase di strisciante impotenza. Il caso tedesco meriterebbe un lavoro a parte. In questo caso mi interessa solo accennare alcuni chiari aspetti che si profilano all’orizzonte non in un futuro remoto, ma molto prossimo e in parte presente. Perché parlo di un caso tedesco, cosa che non si può dire della Francia e men che meno dell’Italietta senza né arte né parte. Un giorno forse un gruppo di studiosi o storici saranno in grado di spiegare “l’enigma” tedesco. Partiamo da prima del 2022. Non è certo un segreto che l’impalcatura economica e politica dell’UE è figlia del fatto più importante avvenuto contestualmente al disfacimento del blocco socialista sovietico: la riunificazione della grande Germania. La grande espansione economica, finanziaria e commerciale di Berlino è stata resa possibile principalmente da una condizione essenziale: l’acquisto del gas russo a prezzi a dir poco stracciati. Questo ha permesso a una nazione priva di alcune materie prime ma grande produttrice di manufatti di medio e alto valore aggiunto, di diventare negli ultimi trenta anni una delle più grandi economie del mondo, trainata dall’enorme surplus commerciale accumulato, che ha investito questo surplus, colonizzando economicamente intere regioni dell’est balcanico e danubiano. Tutto questo è di fatto saltato, non soltanto con il più imponente regime sanzionatorio della storia imposto dall’Occidente alla Russia, ma anche con il clamoroso atto di guerra attraverso la distruzione del Nord Stream 1 e 2 del settembre 2022. Sembra ormai molto probabile, visti i numerosi indizi emersi, che la regia del sabotaggio sia opera degli alti vertici anglosassoni, ma la Germania che è parte offesa di uno dei più gravi sabotaggi industriali della storia moderna, non ha fatto altro che rimuovere questo evento, anzi si fa apparentemente incrollabile sostenitrice della difesa del regime ucraino e della coalizione occidentale antirussa.
La domanda che sorge spontanea, a cui ancora oggi manca una risposta, è come sia possibile che la classe politica di questo paese sia disposta al ridimensionamento della propria forza industriale e a sottoporsi a una scelta dolorosa di evirazione dei propri interessi economici, e se sarà in grado di mantenere stabile la situazione sociale nelle regioni più deboli e depresse, principalmente nell’est.
Ci troviamo di fronte a un caso storico di mera vigliaccheria e sudditanza da repubblica delle banane o invece l’élite tedesca è sottoposta a un ricatto duro da parte degli americani? O invece gli americani all’inizio di questa partita hanno garantito alla Germania un pezzo della spartizione economica dell’Ucraina scommettendo sul fallimento economico della federazione russa?
E’ ancora presto per dire che cosa succederà in Germania. Una cosa però è certa: se è vero, come riportano alcune inchieste e una vasta pubblicistica anche filo occidentale, che quest’anno vi sono 100 distretti a rischio deindustrializzazione, se è vero che l’industria chimica e i grandi gruppi industriali stanno lasciando il paese verso altre zone del mondo più remunerative, se è vero che l’invidiato Welfare e compromesso sociale che si basava su una potenza economica che era parzialmente in grado di redistribuire il surplus commerciale, sta entrando in crisi per un combinato disposto di scelte sbagliate e tragiche sul piano internazionale e interno, allora prepariamoci a vedere uno scenario di radicali cambiamenti nel presunto “giardino” europeo.
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