Il presunto “conflitto di genere”, non esiste, è una categoria inventata da un po’ di anni a spregio di ogni legge naturale e di ogni teoria sociologica e psicologia seria. Però è una teoria che fa comodo al potere per deviare l’attenzione dai veri conflitti presenti nella società: conflitti di classe, ma anche i conflitti interni delle donne.
Ogni tipo di asservimento e di sfruttamento di un essere umano, donna o uomo, con qualunque mezzo venga attuato, deve essere combattuto, così come ogni tentativo di svilire i diritti già conquistati dalle donne e dagli uomini deve essere combattuto insieme. Le donne dovrebbero opporsi ad essere considerate come fauna che va protetta con leggi speciali. Per mia formazione, rifiuto la dicotomia femminismo-maschilismo (oggi, grazie ad una “sinistra” fallita politicamente, è stato riesumato il patriarcato), che sostituisce il conflitto sociale ed economico con quello di genere, su cui il liberismo lavora incessantemente, evitando il confronto di classe e che, tendenzialmente, equipara la badante, con la manager, solo perché donne.
Ma il femminismo non incita alla lotta contro il capitale, il femminismo non abolisce la condizione femminile in quanto condizione di inferiorità in ambito sociale, bensì ne mortifica le prospettive generali, tanto da incolpare il maschio per la disuguaglianza, la dominazione e la violenza di genere, senza distinzione individuale. Eppure, ci sono donne e donne: quelle che approvano che i propri figli combattano guerre che comportano omicidi ed infanticidi, quelle che difendono il figlio stupratore, quelle che proteggono il marito pedofilo, quelle che si accompagnano a killer mafiosi, quelle che inviano figli minori a spacciare…. Risolvere prima le loro contraddizioni può essere d’aiuto, il nemico non sempre è l’altro genere, ma il loro alter ego. L’omicidio di Giulia, con il seguito mediatico derivatone, ha fatto intendere che in Italia vi sia “un’emergenza “femminicidio”, grazie alla sequela di numeri che sono stati pubblicizzati. Premesso che TUTTI gli omicidi sono da condannare, la demagogia non dovrebbe avere cittadinanza, quando la si esplica per procurare acqua al proprio mulino.
Per avere un quadro obiettivo basta riferirsi ai reports dell’ISTAT e del Ministero degli Interni. Per inciso, va ricordato che il “femminicidio”, non previsto da nessun ordinamento giudiziario, non descrive l’omicidio di una donna in generale, ma è un sottoinsieme particolare e specifico di omicidio femminile. Se, ad esempio, nel 2019 si sono verificati 315 omicidi, di cui 111 donne e fra questi sono stati considerati “femminicidi” 101 casi, come possiamo parlare di emergenza, se nel 2023, stando al Ministero dell’Interno dal 1 gennaio 2023 al 19 novembre 2023 si sono verificati in Italia 295 omicidi totali, di cui 106 di donne, ma sono 87 quelle che rientrano in contesto familiare/affettivo e a causa di un partner o un ex partner. E’ macabro ridurre un omicidio (TUTTI) a mera statistica, ma è ancor più macabro utilizzare le vittime per i propri fini “ideologici” o politici. Però, aldilà della conferma dei dati che, in valore assoluto, indicano che il numero delle vittime di “femminicidio” è sceso negli anni (sempre troppi), non posso sentirmi colpevole di atti compiuti da altri, né possono bastarmi le riduttive spiegazioni “culturali”.
Fino a quando non riusciremo a sovvertire la logica della separazione, rimarremo tutti/e chiusi all’interno di criteri tendenti ad appropriarsi delle nostre identità, assecondando un modo di vivere centrato sull’appropriazione, sul dominio e sulla sottomissione, sulla sfiducia e sul controllo, sulla discriminazione e sulla guerra. La solfa è sempre quella, tra le menzogne dei media e gli eccessi della rete. Una verità fatta in casa, che diventa ancora più distante dalla realtà e terreno ideale per quelli che vogliono continuare ad estendere il proprio potere. E noi, piccole creature costernate, affaccendati nel quotidiano, non ci accorgiamo quanto “loro” ci manipolano facilmente, assecondando la narrazione che ci viene imposta, perseverando nell’accettazione della differenziazione sociale: italiano-straniero, giovane-anziano, precario-garantito, maschio-femmina…