Nessuno ha l’autorità morale e la legittimità per interferire con i processi politici, anche aspri, di una diversa comunità nazionale. Non ci sono stati, o organizzazioni sovranazionali, che possono vantare una posizione terza, non compromessa con il colonialismo o il neo-colonialismo, o comunque, con la politica di potenza più o meno travestita, storicamente, da universalismo. Nessuno ha il diritto di imporre la democrazia, o qualsiasi altra forma di governo, alle forme politiche di altre nazioni. Le uniche procedure istituite, sia pure debolmente, passano per gli organi dell’Onu. Dimenticarlo porterà il mondo al baratro.
Ciò vale tanto più quanto ci stiamo, secondo molti e convergenti segnali, avvicinando ad una nuova guerra fredda che, questa volta, sembra riorientare il mondo tra potenze imperiali occidentali, ‘guardiane della democrazia’, e paesi a democrazia carente, o incerta, democrature, o populismi, dietro il quale profilo si intravede bene lo schema del conflitto mondiale per il controllo del mondo.
Cina e Russia, non a caso, si sono immediatamente orientate al sostegno del governo ‘populista’ di Maduro, e nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu hanno sconfitto, con il decisivo apporto dell’Indonesia, di Cuba, della Bolivia, del Messico e dell’Uruguay, tra gli altri, i sedici paesi che si sono schierati contro, tra i quali gli Usa, il Regno Unito, la Francia, la Germania, la Polonia, il Belgio, l’Argentina, il Brasile, il Canada.
Ci sono dunque tre piani diversi ed intrecciati in questo scontro: c’è l’allineamento di blocchi nel confronto Usa/Cina, con i primi che intendono brutalmente affermare la necessità di scegliere; c’é il vecchio risiko energetico (il Venezuela ha di gran lunga le maggiori riserve mondiali di petrolio); c’è lo scontro tra la destra liberale, che sostiene le ragioni delle élite economico-finanziarie del mondo, trasversali ai blocchi ed ai paesi, e le forze popolari, che rivendicano il diritto di tutti ad una vita dignitosa.
In Venezuela a maggio 2018 nuove elezioni presidenziali, mai seriamente contestate sino ad oggi, hanno rieletto in un clima di dura crisi economico-sociale, in parte provocata dal crollo del valore del petrolio e dunque dall’inaridirsi delle fonti di divisa estera con la quale pagare le importazioni, il Presidente chavista Maduro. Quel Presidente che l’Onu, con proprio voto a maggioranza, considera legittimo.
Il Parlamento venezuelano, era stato, invece, eletto del 2015 e doveva durare fino al 2020. Nelle elezioni aveva vinto il MUD (destra), mentre il PSUV aveva ottenuto il 40% dei seggi. Il presidente dell’Assemblea era stato quindi Julio Borges.
Con una decisione altamente contestata, e segno dell’erosione del clima costituzionale nel paese, il Tribunale Supremo di Giustizia ha annullato la cooptazione di tre nuovi membri (che avrebbero consentito all’opposizione di poter indire un referendum per la revoca del Presidente) ed ha revocato nel 2017 il Parlamento. Il vero luogo di contesa era però il potere del Parlamento, e dunque del’opposizione filoamericana, di controllare le imprese petrolifere, bloccando quindi la vendita in corso dei giacimenti.
Riassumendo: la situazione vede un organo costituzionale eletto nel maggio 2018 e in carica, ed un organo costituzionale eletto nel 2015 e revocato con atto di discutibile legittimità. E vede un conflitto sociale aspro tra un modello sociale ed economico che vede la lumpenborghesia (Andre Gunder Frank) venezuelana spingere per un modello di economia aperta, dipendente dall’estero e fondata sull’esportazione di materie prime, ed un modello sociale ed economico che vede i ceti popolari e l’alleanza sociale chavista rivendicare il diritto di dirigersi secondo i propri principi.
Il Presidente dell’Assemblea parlamentare revocata dal Tribunale, Juan Guaido, con atto unilaterale ha dichiarato decaduto il Presidente Maduro e se stesso in carica ad interim, in base ad una interpretazione molto forzata di un articolo costituzionale. Nove paesi lo hanno riconosciuto, tra questi gli Usa di Trump, ora campione della democrazia, ed i paesi europei, che non hanno raggiunto la prevista unanimità solo per il veto del governo italiano.
Non è facile filtrare le informazioni, come capita quando c’è un conflitto sociale così grande. Ma in casi del genere ci si riferisce ai principi, e tra questi il primo è la non ingerenza. Cosa che dovrebbe significare che non si chiedono elezioni non previste e non si appoggiano organi non costituzionali, entrando nella dinamica politica di uno stato sovrano.
Chiedere la decadenza o le dimissioni di una carica vigente e legittima è una inaccettabile ingerenza. Peraltro anche chiedere le elezioni di cariche o organi revocati e quindi non vigenti lo è, ma è molto più sostenibile come sollecitazione della comunità internazionale verso il rispetto della legalità e della democrazia nei termini e modi dell’ordinamento proprio del Venezuela (gli unici pretendibili). In questa seconda direzione va l’offerta di mediazione del Messico.
Nessuna deviazione dal principio di autodeterminazione.
Il Venezuela è solo dei venezuelani.