Turchia e Pakistan preoccupano gli USA

L’aggressione atlantista all’Eurasia ha visto, nelle zone tempestose, la nascita dei blocchi egemonici alternativi musulmani contro la dottrina della ‘’guerra eterna’’. Non soltanto l’Iran, ma anche Pakistan e Turchia sono entrate in rotta di collisione con l’Impero americano cercando di rapportarsi con Russia e Cina nella costruzione di un mondo multipolare.

 

Turchia: Erdogan da islamista ‘’vendi patria’’ a musulmano-nazionalista

In Turchia, Erdogan dopo essere stato una pedina israeliana-statunitense in funzione anti-panaraba, si è trasformato in un musulmano-nazionalista semi-indipendente. Le elezioni turche contrappongono il laicismo filo-statunitense del Partito Popolare Repubblicano (CHP) all’islamismo post-ottomano del presidente uscente: un conflitto che nasce in seno alla classe dominante e contrappone la fazione filo-USA a chi vorrebbe perseguire un progetto sub-imperialista autonomo. Per anni Erdogan ha martirizzato la sinistra sindacale e di classe, alternando la ‘’geopolitica del serpente’’ con una sorta d’’’antisocialismo di stato’’ bianco.

L’ambasciatore statunitense, Jeffrey Flake, si è permesso di appoggiare pubblicamente il candidato dell’opposizione Kemal Kılıçdaroğlu. Flake è un neoconservatore vecchia scuola, amico di John McCain, il quale s’è riciclato come lustrascarpe della famiglia Biden. Ankara, governata da un ramo della Confraternita dei Fratelli Musulmani, sta fronteggiando – da una prospettiva borghese-capitalista – il Cavallo di Troia ‘’americano-sionista’’: il laicismo, rappresentato dal CHP e dal separatismo etnico curdo. Una battaglia che una parte della sinistra socialdemocratica o post-maoista (come il Partito Patriottico) si augura che Erdogan non perda.

Il Ministro dell’Interno turco, Süleyman Soylu dopo il terremoto ha accusato Washington d’aver sperimentato in Siria e Turchia un’arma di nuova generazione, intimando l’ambasciatore di togliere ‘’le sue sporche mani dalla Turchia’’. Per Soylu ‘’Tutti gli ambasciatori Usa hanno un problema: come nuocere alla Turchia. Da anni questa è una delle più grandi disgrazie della Turchia. Riuniscono ambasciatori di altri Paesi e cercano di indottrinarli. Fanno la stessa cosa in Europa; il risultato è che le ambasciate Usa governano l’Europa’’ 1. Il popolo turco è storicamente nazionalista e fedele alle parole di Ataturk ‘’pace in patria e pace nel mondo ‘’, con questa consapevolezza le recenti posizioni di Erdogan e Soylu vorrebbero cancellare le gravissime responsabilità di Ankara in Siria; tuttora membro della Nato, l’AKP non ha mai rinunciato alla repressione anticomunista assimilando erroneamente il socialismo al separatismo.

Per Soylu, la globalizzazione rappresenta il tentativo statunitense di distruggere le culture autoctone per far trionfare il puritanesimo anglosassone. Una posizione corretta ed indipendentista, nonostante ciò dei Fratelli Musulmani non c’è molto di cui fidarsi.

 

Pakistan: Imran Khan contro l’Impero americano

Imran Khan non è un politico musulmano come gli altri. Di fede sunnita, Khan ha una formazione politica molto simile a quella dell’ex presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad: nazionalista ed antimperialista. Il legittimo presidente pakistano si riconosce nel percorso di Mohamed Iqbal, padre spirituale del Pakistan; proveniente dal ramo paterno di una famiglia militare d’origine indiana mentre da quello materno da un maestro sufi, trovò definitivamente la propria via rivoluzionaria nella lettura del sociologo iraniano Ali Shariati, amico di Jean Paul Sartre e traduttore in persiano delle opere di Frantz Fanon ed Ernesto ‘’Che’’ Guevara.

Sunnita ed ammiratore di un filosofo sciita aperto al socialismo, Khan contrappose ai Fratelli Musulmani una concezione tollerante dell’Islam politico; attento alla dimensione sociale della religiosità, nazionalizzò il sistema sanitario ed istituì un programma di lotta sociale alla povertà. Nella prospettiva geopolitica di questo Resistente multipolare, i musulmani avrebbero dovuto ricoprire il ruolo d’avanguardia politica del Sud del Mondo, rilanciando nel XXI sec. la Rivoluzione degli Oppressi dell’Imam Khomeini. All’inizio dell’Operazione Militare Speciale Z contro il ‘’nazionalismo integralista’’ ucraino, il presidente pakistano si recò a Mosca ricordando la collaborazione dell’antisemita Stephan Bandera con la Confraternita dei Fratelli Musulmani, creata anni prima dall’intelligence britannica. Washington reagì organizzando un colpo di stato ‘’post-moderno’’, condotto dalla magistratura e preparato mediaticamente dal giornalismo comprato, ‘’pugilatori a pagamento’’ del deep state.

Scrive l’analista Thierry Meyssan:

‘’Il governo Sharif lancia oltre cento azioni giudiziarie contro l’uomo più popolare del Pakistan. Nessuna sembra fondata, ma sono sfide giudiziarie importanti, sicché Imran Khan non farà altro che rispondere a poliziotti e magistrati. Inoltre, uno degli uomini a lui fedeli, il senatore Azam Khan Swati, che ha criticato l’atteggiamento degli ufficiali superiori, è stato arrestato per insulto alle forze armate e incarcerato.
Ma Khan non reagisce come speravano gli avversari: denuncia la strumentalizzazione della giustizia ed esorta i propri sostenitori a farsi imprigionare volontariamente per saturare le carceri e screditare il sistema. Davanti a ogni prigione si radunano 500 membri del partito di Khan chiedendo di essere arrestati. Alcuni vengono fermati, ma il governo fiuta presto la trappola e tenta di disperderli.’’ 2

Quindi, su mandato di Washington, Sharif cercò di far assassinare l’uomo più popolare della nazione, macchiandosi di un crimine imperdonabile. La Resistenza dei militanti del Movimento per la Giustizia (PTI) salvò la vita allo statista musulmano. Il regime militare, accerchiato da un movimento popolare ed antimperialista, ha dovuto liberare Khan. L’impero americano, faccia a faccia con i lavoratori pakistani, ha dovuto riconoscere l’ennesima sconfitta.

https://www.voltairenet.org/article219208.html

https://www.voltairenet.org/article219308.html

Elezioni Turchia: la prospettiva di un ballottaggio tra Erdogan e  Kilicdaroglu con il 98% dei voti contati - PRIMAPRESS.IT

Fonte foto: da Google

1 commento per “Turchia e Pakistan preoccupano gli USA

  1. Lorenzo
    18 Maggio 2023 at 16:56

    1. Il titolo di voltairnet.org “La Turchia contro il governo americano” sembra assai ottimistico. La Turchia fa parte della Nato, collocazione strategica mai messa neanche minimamente in discussione. 2. Nell’ambito del multilateralismo americano, funzione dell’unipolarismo imperiale di Washington, la Turchia interpreta una parte sub-imperiale – con limitati spazi di autonomia – in Africa, Medio Oriente, Caucaso, Asia Centrale. 3. La sostanza di questo ruolo turco non è in discussione nello scontro tra la coalizione islamista-Lupi Grigi di Erdogan e quella socialdemocratico-kemalista con appoggio curdo del suo avversario. 4. In discussione sono solo dettagli, a partire da un atteggiamento più duro o più morbido verso i curdi. 5. Il Pakistan gioca su due tavoli, con gli USA dal punto di vista della collaborazione strategico-militare, e con la Cina dal punto di vista commerciale della via della seta e della contrapposizione con l’India. 6. Khan, oltre ai problemi interni, ha fatto l’errore di tentare il triangolo inserendovi la Russia, amica e fornitrice militare dell’India, storico avversario del Pakistan, con il risultato di rompere con i militari e farsi rovesciare in parlamento, invece di spostare gli equilibri sempre più verso la Cina nell’ambito del gioco dei due tavoli. 7. Il multipolarismo globale è un’idea, ma non esiste nella realtà nè attuale nè in tempi razionalmente prevedibil. 8. Nella realtà attuale, e soprattutto prospettica, esiste il bipolarismo di due superpotenze globali: USA-Cina. 9. Un bipolarismo geopolitico che ha anche una sovrastruttura ideologica liberalismo vs comunismo, sia pure con forti contraddizioni in ambo le parti. 10. La guerra in Ucraina ha affossato le illusioni dell’eurasiatismo terzaposizionista tradizionalista della destra russa ed europea. 11. Ha invece aggiunto all’hard power globale economico-commerciale cinese un soft power globale ottenuto con la posizione di difendere contro una “guerra ingiusta” i principi di integrità territoriale (per l’Ucraina con garanzie alla minoranza russofila, come per la Cina sul caso Taiwan) e di diritto alla sicurezza (per la Russia pressata ai confini dalla Nato) 12. Principi affermati come validi per tutti gli Stati, ottenendo su questa linea un crescente seguito nel Sud del mondo.

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