Un grande stato nella sponda sud del Mediterraneo, autore nel corso di venti anni di una prodigiosa crescita economica e sociale, punto di riferimento politico del continente africano, con un’enorme potenza finanziaria che avrebbe dato origine a tre banche decentrate funzionali allo sviluppo dell’Africa e soprattutto dato corso al dinaro d’oro libico che avrebbe posto fine alla dittatura del franco-africano e del FMI.
La stessa Banca Mondiale (2010) rilevava che “La Libia mantiene alti livelli di crescita economica con un aumento medio del PIL del 7,5% annuo, con alti indicatori di sviluppo umano di cui va ricordato l’accesso universale all’istruzione primaria e secondaria e il sistema sanitario gratuito”.
Un ostacolo da abbattere per il nuovo assalto dell’Occidente al Continente, un ostacolo che non favoriva una nuova e più pervasiva penetrazione, in particolare nelle regioni del centro-Africa. Non certo gradita una tale potenza da Stati Uniti e da Israele, nella colpevole incapacità diplomatica di Russia e Cina (che in seguito si autoflageranno per una così grave “distrazione”). I Sarkozy, i Napolitano, la Clinton riusciranno ad organizzare una coalizione internazionale, mediante una ben orchestrata campagna mediatica gestita, oltre che da pennivendoli, da ONG e da “pacifisti indecenti con l’elmetto” che blateravano di assassinii di massa mai avvenuti, a detta in seguito della stessa CIA.
Quella Libia di Gheddafi andava distrutta. Quella Libia oggi non esiste più. Permangono membra disperse in balia di avvoltoi provenienti da tutto il globo. Davanti a un tale succulento banchetto (la Libia era nostra alleata e doveva essere tutelata con estrema determinazione dal “nostro” governo che purtroppo era presieduto da molluschi che l’hanno venduta per un piatto di lenticchie) si sono formate e disfatte alleanze internazionali. Si è assistito a numerose capriole e a repentini capovolgimenti nella Libia iperbalcanizzata nel Fezzan, nella Cirenaica, nella Tripolitania. Ovviamente anche dai protagonisti locali.
Allo stato attuale il governo di accordo nazionale riconosciuto a livello internazionale di Fayez al Serraj è sotto attacco da parte del generale Khalifa Haftar, sostenuto dal Parlamento di Tobruk (Cirenaica) che non riconosce il governo di Tripoli ed è a sua volta riconosciuto dall’ONU.
L’Italia schiera nella regione di Tripoli 400 militari che sembra non siano impegnati in operazioni belliche affidate a milizie poco credibili, specializzate in traffici illeciti, in particolare di esseri umani. Il primo ministri Serraj dispone inoltre della collaborazione della città di Misurata.
L’accordo di Serraj con Erdogan sui confini marittimi che, violando il diritto internazionale, danneggiano gravemente Cipro e la Grecia, dividendo il Mediterraneo orientale in due parti distinte, mettono in enorme difficoltà il governo Conte, in quanto tale beffa sulle acque territoriali è propedeutica all’intervento militare massiccio della Turchia a difesa di Tripoli (già stanziati centinaia di tagliagole provenienti dalla Siria e a breve l’esercito regolare forte di migliaia di soldati addestrati e ben armati in nome della Fratellanza mussulmana).
Proprio una gran bella alleanza per il governo sostenuto dal Bel Paese che eredita le nefandezze dei governi precedenti, aggiungedovi di suo in imbecillagine.
Conte, che già si è fatto sfuggire la Conferenza internazionale che sarà gestita dalla Germania a Berlino, prospetta un disegno di pace con un cessate il fuoco e allo stesso tempo propone all’occcorrenza una no-fly.zone, non rendendosi conto, lui e i suoi ministri, della contraddizione tra le due proposte, una di pace e l’altra di guerra. La no-fly zone, sostenuta da Italia, Germania, Francia si troverebbe in opposizione bellica con l’armata di Haftar che, ricordo, sarà appoggiata dall’Egitto, dagli Emirati arabi, da Israele,da contractors russi e da migliaia di miliziani sudanesi…
Un pasticciaccio internazionale di cui non si vede la possibilità di uno sbocco positivo, le cui origini vanno ricercate nella criminale politica imperiale dell’Occidente.
In Libia come in Siria come in Jugoslavia…