Netanyahu detta la linea ad Obama

La politica statunitense è caratterizzata da tre grandi lobby: (1) quella che fa riferimento al Partito Repubblicano ( AIPAC,  estrema destra, neofascismo e sionismo ) strettamente legata al Likud israeliano e che include strateghi, tecnici ed ideologi in larga parte di origine ebraica, (2) quella che fa riferimento al Partito Democratico ( CUFI, cristiani e sionisti ), molto vicina sia ad Israele che al complesso militare ed industriale Usa. Queste due lobby premono entrambe per una guerra all’Iran come anticamera per un conflitto di più ampia portata finalizzato a mettere nell’angolo la Russia e la Cina. Le famiglie Bush e Clinton sono i biglietti da visita di questi due grandi gruppi di potere.

La terza lobby è il Maat ( liberali, utilizzo della diplomazia con finalità imperiali ) a cui è affiliato Obama. La linea di Obama è quella del divide et impera ( dividere per governare ) , ovvero cercare il dialogo con le componenti moderate dei governi non proni agli interessi degli USA, fomentando lo scontro all’interno di questi Stati fra “radicali” e socialisti da una parte e “moderati” dall’altra. E’ con questa strategia che i liberali sperano di poter inglobare Cuba all’interno dell’ economia globalizzata mondiale, oppure isolare il Venezuela progressista dagli altri stati sudamericani guidati da forze di centrosinistra.

Discorso analogo per l’Iran: cercando l’accordo sul nucleare con il governo iraniano, Obama cerca di spezzare il cordone ombelicale fra la Repubblica Islamica dell’Iran e le Resistenze palestinese e libanese di Hamas e degli Hezbollah. Con quali conseguenze nella regione? Senz’altro un indebolimento dei movimenti antimperialisti (Hezbollah, Brigate al Qassam, comunisti e socialisti palestinesi e libanesi ) a vantaggio di moderati come Rohani ed Abu Mazen. In questo modo il Presidente Usa troverebbe anche una relativamente facile soluzione per la “questione palestinese”: creazione di uno Stato di Palestina dipendente e colonizzato (di fatto un bantustan) nei territori di Gaza e di ciò che resta della Cisgiordania, garantendo ampi margini di manovra all’alleato israeliano, in grado di controllare ed egemonizzare l’intera regione anche al fine di dare uno sbocco al mercato ed ai capitali ebraici. Per fare ciò, Obama punta sull’alleanza con i laburisti, mentre il Likud, come noto, punta ad un’ aggressione militare all’Iran.

Il Likud risponde alle dure leggi dell’accumulazione capitalista: la crisi economica si supera solo attraverso la guerra, l’industria bellica è tutto e la diplomazia è nulla. I laburisti, invece, cercano una penetrazione imperialistica morbida, tentando di conquistare gli stati non allineati sul lungo periodo. La loro linea è questa: un’ invasione di merci a basso costo è molto più efficace di una aggressione militare.

Il dilemma della diarchia imperiale Usa – Israele ruota attorno a queste due linee ed oggi, forse, siamo di fronte ad una svolta.

Annotiamo: il 3 marzo 2015 il Primo Ministro israeliano, il genocida ( così lo ha definito un autorevole analista ed esponente politico della sinistra democratica israeliana come Gideon Levy) Benjamin Netanyahu, chiede di fatto al Congresso Usa l’intervento militare contro la Repubblica Islamica dell’Iran. E’ una evidente prova di forza dell’AIPAC, cioè la lobby sionista che appoggia il Partito repubblicano, e del CUFI, che è dominante all’interno del Partito democratico. Questi centri di potere hanno permesso al leader di uno Stato estero ( Israele ) di dire agli Usa come si devono comportare in politica internazionale. La richiesta di Netanyahu andrà in portò? Vedremo, resta il fatto che il maggior candidato alla presidenza Usa, per il 2016, è Jeb Bush, un neoconservatore schierato su posizioni decisamente militariste. Insomma, l’AIPAC queste mosse se le era già studiate da tempo e non è un mistero che c’è una logica oscura nella successione dei vari governi americani (una logica che di democratico ha ben poco…).

L’era di Obama è forse giunta al capolinea? E’ probabile, del resto anche le sue resistenze non sono valse a nulla.

“Strategia del dialogo” e “scontro di civiltà” appaiono sempre più per quelle che sono: due finzioni ideologiche create ad arte per nascondere la realtà delle cose. L’egemonia dei mercati attraverso il controllo politico dei governi oppure attraverso la guerra.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.