L’arresto di Lula è l’atto politico che chiude il cerchio del “golpe bianco” avvenuto in Brasile da parte della borghesia e delle classi dirigenti di quel paese sostenute apertamente dagli Stati Uniti. Ci fosse stata la Clinton alla Casa Bianca invece che Trump non sarebbe cambiato nulla, anzi, il processo di destabilizzazione era già cominciato con Obama.
Il rovesciamento del governo progressista di Dilma Rousseff (e di Lula) fa parte del processo di riconquista dell’egemonia politica parzialmente perduta nel continente latinoamericano da parte delle superpotenza imperialista USA negli ultimi vent’anni, diciamo dalla “rivoluzione bolivariana” di Chavez in Venezuela che ha dato una spinta enorme ai movimenti progressisti e socialisti di tutto il continente latinoamericano. Non a caso, dopo i reiterati e falliti tentativi di golpe per destituire Chavez stanno cercando da anni di far fuori Maduro, sia con i ricatti e lo strangolamento economico che con la violenza e il terrorismo delle bande eversive foraggiate dalla “borghesia compradora” locale e dalla CIA.
Brasile e Venezuela sono i due paesi più importanti in America latina, quelli che hanno una funzione strategica per varie ragioni, e quindi sono quelli che devono essere “riconquistati” a qualsiasi costo alla “causa” dell’imperialismo. Il crollo dei governi progressisti e socialisti brasiliano (già avvenuto) e venezuelano rappresenta e rappresenterebbe (qualora anche il processo di destabilizzazione del governo Maduro dovesse disgraziatamente andare in porto) un colpo durissimo anche per gli altri governi di Sinistra e per tutti i movimenti socialisti e antimperialisti latinoamericani.
Questo non significa, ovviamente, sottacere le contraddizioni e i limiti strutturali dei governi di Lula e Roussef, e tanto meno i gravi errori nell’amministrazione e i fenomeni di malcostume di cui sono resi responsabili (ben diversa, ovviamente, la natura e la sostanza politica e anche ideologica della Rivoluzione Bolivariana guidata da Chavez…) e che hanno contribuito a indebolirli e a fargli perdere il favore di larghi settori popolari che pure avevano riposto in loro grandi speranze di cambiamento.
Nondimeno e al netto di tutto ciò, quanto sta avvenendo è comunque una vittoria per la borghesia brasiliana e per gli USA e una sconfitta per le classi popolari brasiliane.
Se anche il Venezuela non riuscirà a reggere l’urto dell’offensiva della destra liberista e filo americana, il processo politico avviato dalla Rivoluzione bolivariana e da Chavez, che ha dato una spinta fondamentale a tutta la Sinistra latinoamericana (Morales, Correa, Mujica, Bachelet, ecc.) al di là delle rispettive diversità, rischia di naufragare. E questo sarebbe un colpo tremendo per un continente che fino ad una ventina di anni fa era schiacciato sotto il tallone di dittature militari che definire sanguinarie è un eufemismo, al servizio di Washington, delle multinazionali nord-americane e delle borghesie golpiste locali.
Non possono quindi esserci, pur nelle critiche dovute, tentennamenti o perplessità rispetto a quanto sta avvenendo in Brasile. Il più grande e popoloso paese del contenente sta tornando ed è già tornato sotto il pieno controllo degli USA e di una delle borghesie più corrotte e senza un margine sia pur minimo di credibilità. E questa è comunque una sconfitta.
Foto: La Repubblica (da Google)