La fine del 2016 ci portò due inattese buone notizie: la bocciatura referendaria della riforma costituzionale renziana e la sconfitta di Hillary Clinton alle presidenziali americane.
Il sospiro di sollievo tirato dopo l’elezione di Trump fu stigmatizzato in rete da molti “bravi compagni” (alcuni teneri e ingenui, altri in malafede), che scambiarono per esultanza una valutazione realistica: l’imprevedibile palazzinaro sarebbe rimasto un corpo estraneo al sistema di potere USA e pertanto – almeno all’estero – avrebbe fatto meno danni della ghignante e ben inserita signora Clinton. Gli avvenimenti ebbero la compiacenza di darmi ragione: Trump non scatenò alcuna guerra, anche se la sua corrività nei confronti di Israele e l’omicidio di stato del generale persiano Soleimani macchiano indelebilmente una presidenza extra ordinem.
La parentesi trumpiana si chiude nel 2021, con il subentro alla Casa Bianca dell’apparatchik Joe Biden, uomo benissimo introdotto nell’élite economico-militare statunitense, di cui è da molti lustri un’affidabile pedina. Sleepy Joe è invecchiato male: i numerosi lifting cui deve essersi sottoposto negli anni hanno tolto ogni espressività al suo sguardo e la tendenza a perdere il filo del discorso, oltre alle frequenti gaffe, suscita interrogativi sull’adeguatezza a ricoprire l’alta carica.
Nel marzo del 2021 il Presidente fresco di elezione stupisce il mondo definendo, in un’intervista televisiva, l’omologo russo Putin un “assassino” – lo stesso termine che sentiamo riecheggiare oggi. All’epoca, Donbass a parte, la contesa in Ucraina era ancora “fredda”, e qualcuno interpretò l’uscita di Biden come un segno di un progressivo decadimento cognitivo. Nulla di tutto questo perché, Trump a parte, i Presidenti USA sono costantemente seguiti e teleguidati da uno staff che suggerisce gesti, posture e parole: ben poco è lasciato all’iniziativa personale. Resta il fatto che si trattò di una dichiarazione gravissima, e in quel momento assolutamente gratuita: prima di essere una persona fisica con pregi e difetti Vladimir Putin è il Capo di Stato di una grande nazione, e un’offesa arrecata a lui in tempo di pace si estende all’intero popolo russo, alimentando tensioni internazionali. Se dunque la frase non era “dal sen fuggita” dobbiamo chiederci quale fosse il suo scopo (non necessariamente immediato).
Facciamo un salto a Fort Bragg, in North Carolina: qui ha sede il 4° Gruppo aviotrasportato operazioni psicologiche dell’esercito USA, il cui motto – esibito sull’insegna reggimentale – è “Persuade change influence”. Lo scopo delle c.d. psyops è più chiaramente esplicitato in una frase di impatto che troviamo su tutti i manuali dedicati all’argomento: “Capture their minds and their hearts and souls will follow”. L’imperativo può essere tradotto nei seguenti termini: monopolizza l’attenzione del tuo gruppo obiettivo per condurlo per mano nella direzione desiderata. Se un’operazione è ben impostata il target non si accorgerà di essere stato plagiato: penserà al contrario di essere approdato spontaneamente a una determinata posizione. Psyops è propaganda condotta però con metodi scientifici elaborati in decenni di pratica di marketing pubblicitario: per risultare efficace il messaggio dev’essere semplice, non equivocabile – in “bianco e nero” insomma – e suscitare una potente reazione emotiva. Prese in ostaggio le menti con una narrazione opinabile se non falsa, ma suggestiva, preoccupante e soprattutto coerente si propone poi una via d’uscita semplicistica contrabbandata per l’unica possibile e “corretta”: hearts and souls will follow.
Ecco allora che il presunto svarione di Joe Biden acquista un senso: è un messaggio nella bottiglia per l’opinione pubblica interna e internazionale (dei Paesi alleati, ma non solo!) che, semplificando la realtà all’eccesso, indica un cammino obbligato: quello che porta al conflitto con la Russia governata da un “killer”. In quest’ottica, fra l’altro, diviene pienamente comprensibile la crociata contro la “complessità” indetta dagli operatori psyops nostrani: in una situazione di dissimulata belligeranza le masse devono ubbidire perinde ac cadaver, il loro empito “democratico” non può essere frenato da dissensi e distinguo. Chi riflette e prova ad allargare la visuale è ipso facto un traditore, una quinta colonna dell’abominevole nemico.
Con l’avvio della presidenza Biden si apre una stagione di continue e sistematiche provocazioni nei confronti della Russia: accuse, sgarbi, manovre militari ai confini, progetti nient’affatto mascherati di allargamento a est della NATO. Il momento è giudicato propizio per una definitiva resa dei conti: l’emergenza Covid ha determinato una militarizzazione delle società occidentali, oltre a diffondere pessimismo, paura e incertezza sul futuro: inoltre l’esperimento di criminalizzazione della critica, equiparata a imperdonabile devianza, è andato a buon fine.
Arriviamo così al 2022, un altro anno funesto: l’auspicata crisi ucraina sta “finalmente” per scoppiare, l’establishment americano si frega le mani perché sa che, comunque vada, la Russia uscirà dal confronto indebolita (economicamente, militarmente, sotto il profilo reputazionale), nel migliore dei casi acefala e distrutta. Che la guerra sia gradita agli Stati Uniti lo attestano i fatti: gli unici a voler trattare sono i russi, palesemente sulla difensiva, che formulano e pubblicizzano una proposta di accordo ragionevole – riconoscimento della sovranità della Federazione sulla Crimea, ampia e garantita autonomia per il Donbass martoriato, l’impegno scritto (verba volant: Mosca lo sa bene, e un secolo e mezzo fa lo appresero a loro spese gli indiani d’America) che l’Ucraina sarebbe rimasta neutrale. Spalleggiato dagli americani, che pretendono il casus belli, Zelensky – un attore messo lì apposta – risponde con dichiarazioni sfrontate, quasi beffarde: dal canto loro gli USA rifiutano l’dea stessa di una trattativa, e con abile mossa (ostile) comunicativa fissano addirittura la data dell’attacco russo. E’ chiaro che le prolungate manovre dell’Armata alla frontiera orientale e in Bielorussia possono preludere a un’aggressione militare che, sebbene pianificata, rimane l’extrema ratio: la dimostrazione di forza serve anzitutto a convincere l’antagonista che la Russia fa sul serio, e in questa cornice va letta l’esercitazione missilistica che si svolge il giorno prima del 24 febbraio. E’ un estremo monito, ma l’Occidente finge di non coglierlo – e anzi i media embedded si scatenano, denunciando la “pazzia” del “dittatore” russo, disposto persino a usare l’atomica per raggiungere obiettivi che sono, ovviamente, “criminali”.
Il dialogo tra sordi non può più continuare e la tragedia incombe, ma è una tragedia che non si è inteso evitare – poiché era in votis. La rapidità e l’unanimismo con cui vengono adottati blocchi di sanzioni, la prontezza nel rifornire di armi (specie missili anticarro e stinger) chi già le riceveva da annorum palesano a chiunque ardisca vedere che ben prima dei russi è stata l’amministrazione USA a pianificare l’escalation e che la predizione abbastanza accurata dei tempi dell’invasione non è una prova dell’efficienza dei servizi segreti americani, ma va intesa come una profezia che si autoavvera. Anche la campagna di demonizzazione di tutto ciò che è russo è scattata troppo tempestivamente e sistematicamente per poter essere frutto di un’indignata “reazione emotiva”: il copione era già scritto da tempo, la propaganda di guerra bell’e pronta, e questo spiega le iniziali titubanze dell’«autocrate orientale», subito paragonato a Hitler, Sauron e al Diavolo in persona.
Mi chiedo: proporre una siffatta chiave di lettura equivale a scagionare Vladimir Putin dalla taccia di aver comunque dato il via a un sanguinoso conflitto, già costato migliaia di vittime ad ambo le parti? Onestamente non lo so, né mi importa saperlo; ritengo però che gli storici futuri (se ci sarà un futuro, visto che Biden ha adombrato ieri l’eventualità di un First strike nucleare… e nessuno mi risulta sia insorto!) ripartiranno le responsabilità di questa crisi con maggiore equilibrio di quello messo in mostra dagli agitprop mediatici, determinati a stanare e ostracizzare chiunque si azzardi a dubitare della veridicità del racconto propagandistico. Vi consiglio di guardare il video del confronto tv tra David Parenzo e il professor Cardini o della lite un diretta fra l’iperatlantista Nathalie Tocci e l’ormai vituperato Orsini: essendo quasi sempre culturalmente e intellettualmente inferiori all’antagonista ma ben allenati alla “lotta”, i bastonatori mediatici non entrano nel merito delle argomentazioni altrui, preferendo alla confutazione (attività complicata se si ha di fronte un Cardini, un Barbero o un Canfora) il richiamo retorico a democrazia, “giustizia” e altre sigle valoriali, generiche accuse di incompetenza, provocazioni verbali e colpi bassi. Devono inoltre – suppongo per contratto – rilanciare a ogni piè sospinto il messaggio-slogan: Putin “assassino”, “criminale”, “pazzo” ecc.
Il frenetico agitarsi di operatori psyops nelle vesti di politologi, opinionisti e direttori di giornali mainstream testimonia però, oltre a un’indiscussa “professionalità” e alla dedizione alla causa atlantista, l’insoddisfazione serpeggiante in seno al milieu politico-economico per l’adesione soltanto parziale dei cittadini-sudditi italiani a una campagna d’odio nei confronti di un popolo che molti di noi seguitano ad amare e sentire affine, Putin o non Putin.
In ogni caso, non in mio nome!
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