L’Islam politico e la balcanizzazione dell’Asia

Le ideologie politiche che, al momento, sembrano dominare lo scenario mondiale sono il liberal-imperialismo ( sionista e pan-americanista ), il socialismo patriottico ( fortemente indebolito ) e l’Islam politico. Mentre le prime due ideologie hanno solidità e coerenza – colonialista e reazionaria la prima; progressista e legata agli ideali di giustizia sociale la seconda – l’Islam politico non può essere analizzato utilizzando le categorie occidentali.

L’Iran, che nella regione mediorientale si connota come uno stato rivoluzionario che sostiene le Resistenze antimperialistiche, non appena passiamo dal locale al globale, sostiene i tagliagole turchi e wahhabiti nel processo di disgregazione dell’ex Jugoslavia. Uno Stato indipendente, la Serbia, venne distrutto dai narcotrafficanti albanesi dell’UCK e dagli islamisti bosniaci. La NATO, per finire, rase al suolo il paese ed assassinò, dopo aver allestito un processo farsa, il presidente Milosevic. Da che parte stava l’Iran in quella circostanza? Purtroppo con i carnefici occidentali, gli assassini della Serbia antimperialista.

Lo stesso scenario rischia di ripetersi in Birmania (Myanmar). Facciamo il punto della situazione: l’esercito buddista birmano ( armato da Israele ) è impegnato in un duro scontro con le milizie wahhabite del Movimento della Fede il quale ha giurato fedeltà a Daesh. La geopolitica non ci aiuta molto: Israele e Casa Saud sono alleati contro i movimenti rivoluzionari del Medio Oriente ma, in Asia, lo scontro è innegabile. Gli interessi geopolitici compattano oppure portano a scontrarsi i regimi teocratici che, a differenza degli Stati laici, sono ambigui, non hanno un orientamento strategico preciso. Questo vale tanto per la dittatura wahhabita quanto per lo Stato razzista ‘’ebraico’’. La minoranza rohingya – che storicamente collaborò con l’imperialismo britannico – ed il popolo birmano sembrano essere le vittime di questa faida fra potenze.

Nel 2016 la premier birmana, fino a quel momento alleata degli Usa, Aung San Suu Kyi, spiegò all’ONU come intendeva ricostruire il suo paese avvicinandolo alla Cina e restituendogli sovranità ed indipendenza nazionale, in più espose un programma per l’integrazione della minoranza rohingya. Un’ amara sorpresa l’attendeva una volta ritornata in patria ‘’si rese conto che i suoi ex sostenitori statunitensi erano in realtà i nemici del suo paese. Il Movimento per la Fede ha lanciato una serie di attacchi terroristici, tra cui quello alla stazione di polizia di confine a Maungdaw, dove 400 terroristi saccheggiarono l’arsenale uccidendo 13 persone fra doganieri e soldati’’ 1. La repressione che ne seguì fu brutale e l’esercito birmano, infischiandosene delle direttive governative, non risparmiò i civili musulmani discriminati dagli altrettanto fanatici monaci buddisti. Gli Usa, non fidandosi della figlia di un rivoluzionario comunista ( il padre della Aung San Suu Kyi faceva parte della fazione patriottica del Partito comunista birmano ), decisero di scatenare una violenta guerra civile con l’obiettivo d’accusare il governo, democraticamente eletto, di ‘’genocidio’’. Aung San Suu Kyi è sul banco degli imputati. Il reato? Semplicissimo, l’aver cercato e trovato dialogo e scambi commerciali con la Russia e la Cina. Basta poco per scatenare le ire di Washington e mettere in moto una mostruosa macchina della propaganda.

La denuncia del ‘’genocidio rohingya’’ è arrivata dal sultano Erdogan, seguito dal monarca saudita Salman e dalla borghesia bazarista iraniana. La rottura tra le fazioni politiche iraniane sta assumendo un certo rilievo: i Guardiani della Rivoluzione stanno combattendo in Siria contro Daesh ed i mercenari sionisti, schierati in difesa di uno Stato plurale ed ispirato al socialismo baathista. Dall’altra parte l’esercito iraniano sta prendendo parte, per ordine di Rohani, ad esercitazioni congiunte, in Pakistan, con gli eserciti ( in altri contesti nemici ) turco e saudita. L’obiettivo dei bazaristi è quello di creare un esercito comune di tutti gli Stati islamici per salvare i ‘’fratelli rohingya’’ ma re Salman, ancora una volta, è uscito allo scoperto: ‘’Uscendo finalmente dall’ombra, l’Arabia Saudita ha affermato di sostenere discretamente i Rohingya da 70 anni e di aver già offerto loro 50 milioni di dollari di aiuti durante questo periodo. Il re Salman ha aggiunto una donazione di 15 milioni di dollari’’. Il giornalista Thierry Meyssan osserva che: ‘’Dimenticando le guerre che stanno conducendo in Iraq, Siria e Yemen, la Turchia, l’Iran e l’Arabia Saudita, ossia le tre principali potenze militari musulmane, si sono rinsaldate attraverso un semplice riflesso comunitario e si sono posizionate accanto ai Rohingya. Tutte e tre hanno designato il nemico comune: il governo della coalizione dell’esercito birmano e Aung San Suu Kyi’’. Domanda: chi altri vuole la testa di Aung San Suu Kyi? Soros, la Clinton o forse lo stesso esercito pro-Israele di cui, la presidentessa, farebbe bene a non fidarsi. Una crisi che piace molto a Soros ma anche all’imperialismo israeliano che, in un secondo momento, potrebbe spartirsi la torta con Casa Saud riallineando la Birmania all’occidente, privandola delle infrastrutture e sbudellando i movimenti popolari.

Le religioni si adattano facilmente agli interessi colonialistici. L’ebraismo coltivò delle correnti revisionistiche che partorirono il sion-imperialismo e da oltre un secolo scatenano guerre sanguinose. Come il sionismo revisionista collaborò con Hitler così il rabbino Ovadia Yosef ha schernito le vittime della Shoah, ponendosi sullo stesso livello dei neonazisti europei, definendole la reincarnazione delle anime dei peccatori.

I nazisti delle Waffen SS arruolarono, nei Balcani, diversi musulmani ed il cialtrone Hussein tradì la rivolta antimperialistica palestinese del 1936 facendo, in esilio, propaganda per il nazifascismo. La Bosnia, negli anni ’40, ospitò i campi di addestramento dei musulmani di Hitler così come, cinquant’anni dopo, fu il punto di riferimento della jihad ‘’made in Usa’’.

In Croazia, la dittatura clerico-fascista di Ante Pavelic, sostenuta dai nazisti, sterminò ben 800.000 serbi con la benedizione del Vaticano. La giornalista Jean Toschi Marazzani Visconti ha documentato come: ‘’120 frati cattolici croati che in nome di Dio, della chiesa cattolica e della Croazia, fra il 1941 e il 1945, partecipavano alle persecuzioni contro gli ortodossi e gli ebrei dimenticando il compito di carità della loro veste. Frate Miroslav Filipović Majstorović aveva ammesso durante il suo processo di aver mandato a morte quarantamila esseri umani durante il periodo in cui aveva comandato il campo di sterminio di Jasenovac. Tutto questo avveniva senza che l’arcivescovo della Croazia, Aloys Stepinac intervenisse o rifiutasse la benedizione agli ustascia di Ante Pavelić’’ 2. Insomma, i movimenti religiosi sono, quasi sempre, imprevedibili e sfuggono – così come gli Stati teocratici o teocentrici – alle categorie di antimperialismo e vassallaggio imperialistico. Domanda: l’Iran riuscirà a non ripetere l’errore commesso in Bosnia? Aung San Suu Kyi, se davvero vuole rompere con gli Usa, dovrà trovare il modo per epurare l’esercito dalle componenti filo-sioniste e, nonostante tutto, avere un certo dialogo con la Repubblica Islamica dell’Iran. Il rischio è che si vada verso la ‘’sirizzazione della Birmania’’ con una ex Premio Nobel messa alla gogna dalla borghesia statunitense (che ne aveva fatto in precedenza un’icona del liberalismo…); potentati ipocriti che, male che vada, non credo gli faranno mai fare una fine, anche solo lontanamente paragonabile, a quella riservata a Saddam. Una situazione complessa da analizzare con documenti alla mano.

Importanti analisti come Meyssan e Philippe Raggi ritengono che l’obiettivo degli Usa, perseguito attraverso l’Islam politico, sia la Cina: ‘’Gli altri mondialisti sono gli Stati Uniti, in una azione che non mira tanto a colpire Naypyidaw in quanto tale, ma piuttosto la Cina, la più importante sostenitrice del regime birmano, in un gioco da biliardo a più sponde. Ricordiamo che è stato costruito un oleodotto che collega lo Yunan (Kunming) alle rive del Golfo del Bengala (porto di Kyaukphyu, nella provincia dell’Arakan); un oleodotto finanziato dai Cinesi e che ha un gran valore per Pechino come mezzo di rifornimento energetico. E’ agevole capire che dei torbidi nella regione, un conflitto armato e un oleodotto danneggiato o reso non funzionante, e un paese (il Myanmar) messo al bando dalle nazioni per le sue violenze dirette o indirette su una parte della popolazione, creerebbe molti problemi alla Repubblica Popolare Cinese’’ 3. Ma l’alleanza con la Cina è fondamentale per gli antimperialisti iraniani come l’ex presidente Ahmadinejad. Domanda: il fondamentalismo religioso va ben oltre qualsiasi strategia politica? Purtroppo questo è il limite maggiore dello stato rivoluzionario ( ma antisocialista e anticomunista) che nel 1979 si mise alla testa della rivolta anticolonialistica musulmana contro l’arroganza statunitense. Khomeini, in quel frangente, ebbe certamente dei meriti indiscussi. L’Iran non può connotarsi – come Turchia ed Arabia Saudita – in quanto ‘’stato islamico’’ ma deve anteporre alla religione l’antimperialismo e la cooperazione con le Repubbliche popolari: da Cuba alla Cina. Altrimenti rischierebbe di indebolirsi cosa che, dati i conflitti regionali, non può e non deve accadere.

La Aung San Suu Kyi è stata per molto tempo un fantoccio degli Usa e l’Iran resta uno stato progressista (relativamente al contesto mediorientale), la complessità della situazione birmana non cambia le carte in tavolo per quanto riguarda la lotta al sionismo ed all’imperialismo Usa. Una cosa è necessario tenere a mente: la lotta di liberazione nazionale deve avere chiari connotati di classe e la religione, per sua natura interclassista, purtroppo si presta a molteplici manipolazioni. In Birmania, come in passato in Serbia (dove è stato distrutto un governo sostanzialmente socialdemocratico ostile agli Usa ), la liquidità dell’idea ambigua di ‘’fratellanza islamica’’ potrebbe costare cara all’Iran. Un errore che comprometterebbe il prestigio di un grande paese che esercita un ruolo molto importante nel quadrante mediorientale e non solo. La situazione iraniana, anche all’interno, con Rohani sempre più spostato a ‘’destra’’, diventa, giorno dopo giorno, più incerta.

La guerra in Siria sta finendo, Assad – con meriti indiscussi – ha vinto. Domanda: gli Usa apriranno nuovi scenari di guerra? E’ nella loro natura farlo. Gli schieramenti geopolitici, ben presto, potrebbero ricompattarsi in modo inedito. Ci sono dei grandi assenti: la classe operaia e le vecchie guerriglie anticolonialiste. Un loro ritorno (il maoismo in Asia ha dato contributi notevoli alla lotta dei popoli sottoposti a dominazione coloniale) – sarebbe auspicabile.

http://www.voltairenet.org/article198144.html

https://www.linterferenza.info/esteri/islam-politico-imperialismo/

http://www.ossin.org/uno-sguardo-al-mondo/analisi/2158-i-rohingya-in-myanmar-la-storia-vera

Risultati immagini per Aung San Suu Kyi immagini

Foto: L’Indro (da Google)

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.