Naturalmente Xi Ping non si è espresso con una frase così di effetto, così esplicativa dei reali processi non solo economici ma anche politici che percorrono inesorabilmente il continente asiatico con la sue propaggini europee.
Il suo agire verbale, accompagnato da un sorriso che vorrebbe trasmettere distensione ma anche inevitabilità, non si sarebbe permesso una perentorietà linguistica come chi ebbe a dire un giorno infausto “L’America agli americani”, volendo intendere chiaramente “A noi Yankee, dopo l’eliminazione degli indigeni, secondo la volontà del nostro Dio, ci tocca non solo il dominio delle terre cui abbiamo imposto il nome di Stati Uniti d’America, ma anche quelle del centro e del sud America, isole comprese”
Xi Ping, forte di una millenaria diplomazia, erede della filosofia confuciana e del libretto rosso di Mao, ha saputo nel suo discorso, appellarsi con serenità e con determinazione a popoli, umiliati da secoli dal “democratrico” Occidente ed indicare una via di uscita dall’imperialismo americano: Nessuna ingerenza, rispetto dell’indipendenza, tutela dell’integrità territoriale, crescita economica, lotta alla povertà in un contesto in cui sia garantita la sicurezza e la stabilità della regione, soprattutto tramite l’unità di intenti delle tre superpotenze asiatiche: Cina, Russia, India alle quali la dirigenza cinese sembra chiedere con le potenze minori relazioni non di dominio ma di uguaglianza.
Xi Ping, ovviamente è consapevole che non sono pochi gli Stati che temono che ad un padrone ne subentri un altro e che cioè dalle grinfie degli Stati Uniti si vada in pasto all’Impero Celeste. Ne sia esempio il Vietnam, devastato, a suo tempo, dalla macchina bellica americana, e che oggi cerca una sponda politica e diplomatica proprio nel suo antico nemico, dato il conflitto acceso di Hanoi con Pechino.
Che il Vietnam non stia “scherzando” viene evidenziato dalle installazioni missilisiche che ha saputo imporre nelle isole Spratli contese alla Cina.
Del resto, solo per rimanere in ambito mar cinese orientale, isole Spratli e Paracelso, la Cina deve affrontare l’ostilità di Brunei. Filippine, Malesia, Taiwan che non hanno “certo” gradito la costruzione di isole artificiali, di installazione di missili terra-aria, di missili da crociera che hanno permesso appunto alla Cina il controllo militare del Mar cinese orientale, soprattutto come strumento di deterrenza contro gli Stati Uniti.
L’intervento del leader cinese alla “Conferenza su cooperazione e rafforzamento della fiducia in Asia” fa seguito alle dichiarazioni e alle documentazioni del Pentagono che, giudicando estremamente pericoloso per l’egemonia degli States in Asia la penetrazione ideologica ed economica della Cina e della Russia, spronano i vertici della politica yankee a rafforzare i legami con gli Stati della regione asiatica, in quanto è in gioco non solo la supremazia in Asia ma anche quella globale, come aveva intuito in precedenza Barak Obama che aveva individuato proprio in Asia il pivot della politica statunitense e aveva sviluppato una rete di alleanze e di accordi economici al fine di isolare, senza successo, la Cina.
Globalizzazione, ci dice Xi Ping, ma non con una guida unipolare secondo direzioni imposte dagli Stati Uniti. Piuttosto con una partecipazione multipolare che veda protagonisti, assieme alle nascenti grandi Potenze, tutti gli stati del Pianeta. La “Via Della Seta” avrebbe come obiettivo il coinvolgimento di tutti i popoli della terra che scoprirebbero in tal modo un “mutuo vantaggio, attraverso la liberalizzazione degli scambi e dei capitali: una sorta di neoliberismo controllato dagli Stati, dalla politica.
Al prossimo G20 potremmo assistere a nuove ricomposizioni di alleanze e di ipotesi geopolitiche. L’incontro a tre tra Putin, Modi e Xi Ping potrebbe essere dirompente qualora Modi e l’India che non si sono mai sbilanciati in alleanze strategiche, facessero qualche passo in direzione di una maggiore partecipazione alle problematiche economico-sociali dell’Asia. alla “Via Della Seta”.
Qualora l’Occidente, in particolare States, UE ed Israele finalmente acquisissero la consapevolezza di non essere più il faro del mondo, l’unica grande civiltà alla quale tutti i popoli si debbono inchinare, e la multipolarità del potere e della civiltà nel prossimo futuro dovessero trionfare, il pericolo di una terza guerra mondiale potrebbe realmente decadere e, a mio giudizio, favorire un rilancio della lotta di classe in tutto il pianeta, unico vero motore perché, nella multipolarità impregnata ancora di neoliberismo, possa prendere avvio e corpo, attraverso il conflitto servi-padroni, l’uguaglianza dei diritti umani e sociali.