Il referendum costituzionale turco viene seguito dai media occidentali, da giorni, con una attenzione a dir poco spasmodica. Non appare certo credibile la preoccupazione occidentale per una deriva dittatoriale in Turchia e per il rispetto dei diritti democratici e civili in quel Paese. Gli USA hanno per lunghissimo tempo sostenuto, in Turchia, governi a regia militare altrettanto dittatoriali e poco attenti ai diritti democratici di quanto sia Erdogan. Peraltro, si continua a fare affari con dittature altrettanto feroci, come a puro titolo di esempio quella saudita, senza strillare allo scandalo.
Lo stesso Erdogan, forte del consenso di cui gode in ampi strati della popolazione, in particolare nelle fasce più povere e rurali, ha dato ampia dimostrazione di saper fare il dittatore a Costituzione vigente. La repressione feroce della sinistra curda, la violenta reazione alle proteste del 2013 iniziate a piazza Taksim, lo sproporzionato stato di emergenza dichiarato dopo il tentato golpe, che ha portato all’annichilimento di tutte le strutture politiche, sindacali, giornalistiche considerate anche solo lontanamente ostili, e persino della magistratura, dimostrano come Erdogan non abbia affatto bisogno di una giustificazione costituzionale per instaurare una dittatura de facto.
Intendiamoci, il progetto di riforma costituzionale contiene più di un elemento di preoccupazione, consentendo al Presidente di diventare, tramite il potere di decretazione esecutiva e la nomina di quasi la metà dei componenti del CSM turco (fra componenti direttamente nominati e membri del suo Governo) una sorta di factotum che annulla la distinzione fra potere esecutivo, legislativo e giudiziario. Le maggioranze parlamentari necessarie per mettere il Presidente, o un membro del suo Governo, in stato di accusa, sono talmente alte da evitare qualsiasi effettiva capacità parlamentare di controllo. Le stesse modalità di eleggibilità di un candidato alla presidenza (che deve essere supportato da partiti aventi almeno il 5% della rappresentanza parlamentare nelle elezioni precedenti) tendono a congelare il quadro politico, evitando l’emersione di nuovi movimenti politici di massa.
Tuttavia, il punto vero per il quale si fa tanto battage mediatico su questo referendum non è questo. Il punto vero ha nome e cognome: si chiama TAP, ovvero il progetto di gasdotto che dovrebbe trasportare il gas azero, attraverso la Turchia, la Grecia e l’Albania, verso l’Italia e quindi la Ue, riducendo la dipendenza dai gasdotti russi che passano attraverso la incontrollabile Ucraina e la non allineata Bielorussia. Gasdotto che parte da un Paese, l’Azerbaijan, controllato da 25 anni da una dinastia, gli Aliyev, che si passa il potere di padre in figlio. Paese cui nessuno contesta la natura dittatoriale, tanto da essere membro del Consiglio d’Europa. Il regime azero, infatti, ospita una missione permanente della Commissione Europea, quindi è un regime sottomesso ed affidabile rispetto agli interessi europei.
Così non è, invece, per il tentennante Erdogan, che oscilla fra alleanza con gli USA e con la Russia di Putin, che è ora in forte conflitto con l’Unione Europea, tanto da aver di fatto azzerato il processo di convergenza della Turchia verso la Ue. Inaffidabile al punto di non controllare la frontiera dei profughi dalla Siria, nonostante i miliardi che l’Europa gli ha regalato. O fino al punto di lasciar transitare verso il Mediterraneo le navi della Flotta del Mar Nero russa, senza creare alcun problema, e senza svolgere quella funzione di filtro/sorveglianza che la Nato gli prescriverebbe. Ma anche inaffidabile per i motivi opposti, ovvero per le periodiche tensioni con Mosca, che trovano il loro fulcro nella guerra in Siria (si ricordi l’abbattimento di un jet russo effettuato dai ribelli filo-turchi). Quindi di fatto il Governo di Erdogan viene visto come un “mad dog”, alla ricerca di un ruolo autonomo di potenza regionale, in un quadrante geopolitico delicatissimo. La Turchia, vista sino a pochi anni fa come un modello virtuoso di “islamismo liberista” con il quale fare buoni affari, chiudendo gli occhi sulle manifeste violazioni dei diritti umani e democratici del suo sultano, è oggi un Paese inaffidabile, che crea numerosi problemi. Tramite il TAP, Erdogan e Putin hanno di fatto messo i loro uomini e le loro società (come documenta bene l’indagine dell’Espresso) dentro la realizzazione dell’opera, e quindi indirettamente nel controllo del gas che transiterà verso l’Europa. Europa ed USA, adesso, rimpiangono amaramente il sostegno dato agli islamismi presuntamente moderati e filo-occidentali, rendendosi conto che essi, semplicemente, non esistono, e che il modo migliore per garantire gli interessi occidentali in un Paese strategico come la Turchia erano i cari, vecchi, militari kemalisti (che peraltro ricevono, proprio dalla riforma costituzionale, un altro duro colpo, poiché i militari non possono candidarsi alla presidenza della Repubblica).
Fonte foto: Sputnik Italia (da Google)