La dottrina Putin nella transizione verso il mondo multipolare


La caduta della Siria baathista, una sorta di 1989 del nazionalismo panarabo, non rallenterà la transizione al mondo multipolare, ma, nella fase transitoria, cambierà diverse alleanze tattiche. Partiamo da un presupposto: il multipolarismo con la diversificazione degli scambi economici teorizzata dai Brics non rappresenta la transizione al socialismo o l’”abbandono dell’imperialismo” (per dirla con Hosea Jaffe), ciononostante connota un cambio di fase che, in assenza di una potenza super-imperialista (prima la Gran Bretagna ed ora gli USA), potrebbe facilitare nuove Rivoluzione democratiche ed antimperialiste.

Chiariamo – appoggiandoci all’analisi di Andrew Korybko, giornalista di Russia Today – la posizione di Putin su Turchia e Siria, premettendo come il presidente Putin abbia sempre considerato l’alleanza con l’Asse della Resistenza, una coalizione antimperialista, “tattica” e mai “strategica”. Scrive Korybko:

“Putin ha poi difeso la condotta delle sue forze armate durante gli eventi recenti affermando che la Russia non aveva più truppe di terra in Siria. Inoltre, le circa 30.000 unità siriane e “filo-iraniane” che difendevano Aleppo hanno consegnato la città a soli 350 militanti, dopodiché hanno ceduto loro anche il resto del paese, con poche eccezioni. Ha anche rivelato che la Russia ha evacuato 4.000 combattenti iraniani a Teheran, mentre altre unità alleate sono fuggite in Libano (un riferimento a Hezbollah) e Iraq senza combattere.

Quanto al futuro dell’influenza russa in Siria, Putin ha affermato che “la stragrande maggioranza [dei gruppi che controllano la situazione lì] ci dice che sarebbe interessata a far rimanere le nostre basi militari”. Ha poi proposto che potrebbero essere utilizzate per consegnare aiuti umanitari. Il principale beneficiario degli ultimi eventi è Israele, secondo lui, poiché ha praticamente smilitarizzato la Siria e ampliato la sua zona di occupazione nel paese. Ha condannato queste mosse e ha sperato che se ne andassero un giorno.

Putin ha anche colto l’occasione per condannare gli insediamenti illegali di Israele in Palestina e la sua operazione militare in corso a Gaza. Queste sono tutte posizioni coerenti con la Russia e non sono una novità. Gli osservatori potrebbero essere rimasti sorpresi dal fatto che non abbia condannato anche Turkiye. Invece, ha spiegato che “la Turchia sta facendo di tutto per garantire la sua sicurezza sui suoi confini meridionali mentre la situazione in Siria si sviluppa”, che ha detto è finalizzata al rimpatrio dei rifugiati e “respingere indietro le formazioni curde al confine”.” 1

All’interno di una concezione “di mercato” del multipolarismo, Putin ha abdicato l’Asse della Resistenza, accettando la cooperazione economica e militare (quest’ultimo aspetto andrebbe valutato in futuro) con la nuova polarità islamica. Turchia, Azerbaijan, Arabia Saudita ed ipoteticamente l’Iran della borghesia del bazar configurerebbero una polarità egemonica alternativa all’imperialismo occidentale, ma anche a discapito delle Resistenze antimperialiste, svendute agli eserciti di mercenari sunniti. Domanda: Teheran abbandonerà la dottrina Soleimani, per diventare un Paese capitalista integrato nelle dinamiche neoliberali, con tutto ciò che ne consegue: corruzione, sfruttamento e guerra? Se così fosse, il multipolarismo sarebbe alle porte, mentre il socialismo quanto mai distante.

Ankara persegue un progetto semi-indipendente di ricostruzione dell’impero ottomano; la dottrina Erdogan presuppone il neutralismo economico e l’unipolarismo militare. Quest’approccio nazional-islamista ha trasformato il presidente Erdogan nel Califfo della CIA, un alleato comunque inaffidabile, perché strategicamente confligge con la geopolitica sionista della costruzione del Grande Israele, una sorta di riedificazione dell’impero assiro. Le borghesie turca, israeliana e persiana contemplano tre sogni imperiali geopoliticamente sconnessi: la rinascita degli imperi (a) ottomano, (b) assiro e (c) persiano, un conflitto inter-egemonico che potrebbe portare all’alleanza tattica di Ankara con Teheran in funzione anti-sionista. Hamas e la Fratellanza Musulmana trasformerebbero, in questa circostanza, la causa palestinese in una protesi ideologica della nuova borghesia islamica, abdicando a qualsiasi principio di Rivoluzione anticoloniale. All’interno di uno scenario del genere, gli Oppressi dovranno riorganizzarsi per dare vita a nuovi Partiti comunisti e movimenti rivoluzionari.

In Siria, gli Stati Uniti hanno foraggiato contro il Partito Baath i separatisti etnici dell’YPG/PKK. Spiega il giornalista Ismet Özçelik sul quotidiano della sinistra patriottica turca “Aydinlik”:

“in realtà il PKK/PYD non è un nemico di HTS: avevano già fatto un accordo tra loro. In effetti il fabbisogno petrolifero di HTS viene fornito proprio dei separatisti curdi” 2.

Il cosiddetto Rojava è di fatto una “seconda Israele”. Il nazionalismo pan-curdo, reo d’aver indebolito economicamente Damasco, ha impossibilitato la ricostruzione della Siria plurale; l’esercito distrutto, dopo oltre dieci anni d’aggressione imperialista, ed il “blocco” economico hanno completato la dissezione neocoloniale di un Paese resistente. Le opzioni sono due: Washington e Tel Aviv, per arginare Ankara, costruiranno uno Stato curdo anti-baathista; in caso contrario gli islamisti sostituiranno i curdi filo-USA col “Partito di Dio” curdo. Entrambe le scelte sono peggiori.

L’abdicazione dell’Iran con un governo sciita filo-USA, non ha impedito alla Resistenza yemenita di colpire il regime sionista nei gangli vitali del complesso militare-industriale, evidenziando le fragilità di Israele nella “guerra convenzionale”; una “tigre di carta” pompata a dismisura dal giornalismo lubrificato. La caduta di Damasco, non ostacolerà il rilancio della Rivoluzione degli Oppressi, una dinamica irreversibile scolpita nella carne delle popolazioni autoctone (palestinesi, arabi, alawiti).

Le alleanze mutano e Putin, impegnato in Ucraina a sradicare “una banda di drogati e neonazisti”, è un abile “maestro di judo” nel riposizionamento geopolitico della Federazione Russa, difendendo gli interessi nazionali e promuovendo un nuovo ideale di Rivoluzione civile, anti-globalista, ma decisamente non marxista. Mosca non accetterà nessun compromesso con Trump; la lotta contro il “nazionalismo integralista” andrà avanti, fino al collasso del governo ucraino-nazista, una ideologia anacronistica proiettata dagli anglosassoni nel ventunesimo secolo. La dottrina Putin va ben oltre il trumpismo.

Gli Stati Uniti e gli ultimi rantoli del fascismo ebraico seguitano nella globalizzazione del caos, nonostante ciò la transizione al multipolarismo non verrà arginata da colpi di stato, neofascismo e “rivoluzione colorate”. Alcuni Paesi – es. Turchia, Arabia Saudita e la borghesia del bazar iraniana – hanno pianificato la diversificazione degli scambi economici, sulla pelle delle Resistenze antimperialiste. Gli Oppressi hanno un dovere: riorganizzarsi in un nuovo Asse della Resistenza.

https://italiaeilmondo.com/2024/12/21/interpretare-le-osservazioni-di-putin-su-siria-israele-e-turchia_di-andrew-korybko/
https://www.sinistra.ch/?p=16484

Fonte foto: La Repubblica (da Google)

Post navigation

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.