Kamala Harris: l’imperialismo delle banane dello “stato profondo” USA


Il passaggio del testimone all’interno della fazione “dem” del deep state, da Biden a Kamala Harris, era stato ampiamente previsto, da chi scrive, nel marzo 2021 sul giornale marxista L’Interferenza con l’articolo “Kamala Harris Imperatrice: la sinistra imperialista”, una disamina che sottolinea la matrice razzialista del complesso-militare industriale il quale presenta una sola dicotomia, russofobia/islamofobia. Leggiamo:

“Anche il più cinico dei poteri (nel terzo punto il Zionist Power) ha un inizio ed una fine. La violenza, compresa quella verbale, è segno di debolezza: Washington ha definito il presidente Putin ‘’assassino’’, gli zerbini del Pentagono hanno storicamente riservato questo tipo d’ingiurie ai leader antimperialisti. Incurante della demenza ‘’yankee’’, Mosca ha accelerato la costruzione del polo egemonico alternativo euroasiatico. Il presidente Putin, con eleganza e senso dello Stato, ha umiliato dinanzi l’opinione pubblica mondiale il suo omologo statunitense invitandolo ad un ‘’confronto fra capi ‘’. Gli Stati Uniti, a differenza di Russia, Cina ed Iran, prediligono la violenza all’onore, la competizione all’etica comunitaria ed il dominio all’egemonia, una condizione politica che la sinistra anglofona ha ereditato dalla tradizione anticomunista dei conservatori della ‘’guerra fredda’’: un nuovo modo d’intendere la sinistra di cui Kamala Harris potrebbe diventare interprete.” 1

L’élite democratica mente di continuo, contrapponendo la mistica del progresso alla modernizzazione multipolare: guerre imperialiste, emergenza pandemica (provocata, in realtà, dalle sperimentazioni militari USA), sfruttamento di classe e, in conclusione, anche sullo stato di salute del demente senile Joe Biden. La guerra civile, all’interno degli Stati Uniti, porterà alla dissezione dell’isola-mondo più delinquenziale della storia.

Il discorso mattoide di Netanyahu al Congresso

I “dem” hanno semplicemente cambiato la propria protesi elettorale, mantenendo la medesima base economica, il fascismo finanziario. Dall’altra parte, i neoconservatori repubblicani hanno abbracciato la Crociata islamofobica del sionista-revisionista Netanyahu, figlio d’un nazista dichiarato, contro l’Iran. Negli USA esiste una sola dicotomia: il “partito dei reazionari” Vs il “partito dei fascisti”. Il criminale di guerra Netanyahu sta consumando un autentico genocidio, sterminando i palestinesi di Gaza; il Primo Ministro israeliano è un offender fuori controllo che, alla luce dei suoi sproloqui, andrebbe classificato – mutuando il linguaggio lombrosiano – come un “delinquente mattoide”. Uccide palestinesi, attacca il Libano, minaccia l’Iran, è il padre-padrone di Donald Trump, ciononostante lo Stato “per soli ebrei” è destinato ad essere umiliato militarmente dalla guerriglia asimmetrica; l’intelligenza artificiale (IA) non potrà, mai, superare le qualità umane come abnegazione, coraggio, eroismo e pianificazione strategica.

La Cina, unendo diverse fazioni della Resistenza palestinese (compresa l’ala nazionalista e moderata), promuove la pace e la cooperazione (come già fece con l’accordo iraniano-saudita); gli Stati Uniti, necrotizzati da una “classe sovrastante” di cleptocrati, ha globalizzato il transumanesimo di Davos, contemplando il passaggio dalla “guerra irregolare” ai conflitti di “quinta generazione”. Non c’è libertà dentro il capitalismo; tanto quello “dem” coi tacchi a spillo ed i “bombardamenti etici”, quanto quello troglodita di matrice trumpiana. Per dirla col filosofo marxista Gyorgy Lukàcs “la società borghese è una tubercolosi organizzata”.

Scrive il World Socialist Web Site (WSWS):

“Tuttavia, nonostante gli sforzi per radicare la razza e il genere nella politica americana, la fine della candidatura presidenziale di Harris evidenzia l’incapacità delle politiche identitarie di ottenere un sostegno significativo all’interno della classe operaia. Per la stragrande maggioranza della popolazione, le continue invocazioni della Harris sulla sua identità hanno fatto ben poco per convincerli che fosse in qualche modo una candidata progressista. Piuttosto, è stata riconosciuta come una democratica filo-aziendale, tipica del partito nel suo insieme.” 2

Harris e Trump sono, entrambi, un prodotto dell’élite aziendale, anti-proletaria e guerrafondaia. Trump lo squadrista filo-israeliano con simpatie fasciste, contrapposto ad una Barbie siliconata, proveniente direttamente da Davos. Entrambe le scelte sono peggiori.

In cosa consiste la dicotomia democratici/repubblicani? Lasciamo rispondere a Patrick Martin, giornalista del WSWS:

“Il Partito Repubblicano è uno strumento apertamente fascista per restaurare un presidente che promette di agire come un dittatore fin dal “primo giorno”. Il Partito Democratico è interamente concentrato sull’intensificazione della guerra con la Russia in Ucraina, sul sostegno del genocidio israeliano a Gaza e sulla preparazione di una guerra ancora più grande contro la Cina.” (Ibidem)

La lobby sionista, uno “Stato nello Stato” (James Petras) nella statocrazia USA, è il megafono del governo israeliano-nazista, il vero Big Brother della “società della paura”: il genocidio, per Tel Aviv, è una opzione politica; per Harari, profeta del Libro di Giosuè nella versione post-moderna, l’Umanità antiquata. La società occidentale, soprattutto quella di matrice anglosassone, è governata da ladri che scatenano guerre ed incarcerano lavoratori, autoctoni e migranti, nei medesimi lager. Gli Stati Uniti, in questa distopia kafkiana, rappresentano il cuore del male.

https://www.wsws.org/es/articles/2024/07/24/fkhr-j24.html

Fonte foto: La Repubblica (da Google)

1 commento per “Kamala Harris: l’imperialismo delle banane dello “stato profondo” USA

  1. Davide
    27 Luglio 2024 at 14:36

    Nel frattempo in Russia, Cina ed Iran il dissenso è reso partecipe, in un libero e franco contraddittorio che volge all’emancipazione delle classi proletarie, verso un radioso futuro socialista.
    L’articolo è chiaramente espressione di un, legittimo, sentimento antioccidentale; nonché, dimostrazione più che evidente del fatto che le democrazie compiute sono ontologicamente il meglio possibile per la condizione umana, nel contesto storico in cui ci è dato vivere.
    E sempre che l’antagonismo, concettuale e/o attivo, non si evidenzi come reato.

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