Le rivolte antigovernative che stanno scuotendo il Medio Oriente non vanno confuse col tentativo di sviarle da parte dei corrispettivi Deep State; dopo Israele (provvisoriamente senza governo), Libano, Iraq, Kuwait, arriva il turno dell’Iran, secondo la Rete Voltaire ‘’Il prossimo Stato dovrebbe essere l’Arabia Saudita’’ 1. La Repubblica Islamica dell’Iran sta pagando a caro prezzo il ritiro statunitense dall’Accordo sul nucleare, incassando ‘’un calo del PIL di circa il 10%. Il prezzo dei prodotti di provenienza occidentale è quadruplicato. Le entrate di alcuni operai e artigiani si sono dimezzate’’ (Ibidem). Citando Ernesto ‘’Che’’ Guevara ‘’ dell’imperialismo non bisogna fidarsi nemmeno un poco’’. Una domanda è necessaria: che cos’è l’Accordo 5+1? Lasciamo che ci risponda l’ex presidente Ahmadinejad, guida riconosciuta della fazione nazionalista persiana, l’ala più giustizialista ed antimperialista dello sciismo:
“Si tratta di un accordo legale che è stato stipulato fra l’Iran e diversi paesi. In Iran è stato accettato dalle istituzioni ufficiali e il governo ha annunciato la ratifica dell’accordo con le sue condizioni. Pertanto è ormai un documento legale ma riguardo alle attese che avevamo creato con l’eco mediatica e i colloqui sulla questione nucleare e, proprio perchè riguarda un tema nucleare, è stato valutato come un fattore risolutivo dell’insieme dei problemi del mondo, risolutivo per l’abolizione delle sanzioni dell’Onu illegali e unilaterali e si pensava che sarebbe stata fatta ammenda delle sanzioni con la soluzione dei problemi. Secondo me l’informazione non è stata fatta bene. Alla nazione non è stata data una corretta informazione. E poi abbiamo visto che le decisioni non sono state applicate, le sanzioni continuano, sono state imposte nuove sanzioni, alcune sono state prolungate. Le ricadute dell’accordo non sono visibili.
Credo che in qualsiasi parte del mondo, quando gli accordi vengono raggiunti a così alto livello, le persone debbano avere informazioni corrette e alla gente vada chiesta la loro opinione perchè è di interesse comune. Ma intanto l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) afferma che gli iraniani hanno tenuto fede ai loro impegni mentre dall’altra parte non lo hanno ancora fatto, credo debbano farlo” 2
La Rivoluzione islamica del ‘79 ha portato l’Iran fuori dal mondo globalizzato a trazione occidentale, collocandolo strategicamente in rotta di collisione con l’imperialismo americano-sionista. Questo non significa che tutti i governi iraniani siano antimperialisti, tutt’altro. Con la defenestrazione di Ahmadinejad ed il consolidamento al potere del presidente-sceicco Rohani i “senza scarpe” hanno perso gran parte delle conquiste sociali (es. reddito sociale) precedentemente ottenute. Il giornalista Thierry Meyssan, amico personale dell’ex presidente, ci offre un ritratto diametralmente opposto alla narrativa dominante in Occidente e nei media ‘’liberali’’ iraniani: ‘’Ahmadinejad è stato non solo favorevole a una politica di indipendenza nazionale, ma è stato anti-imperialista, in linea con il pensatore della Rivoluzione, Ali Shariati. In pochi anni ha fatto dell’Iran un grande paese scientifico e industriale. Ha sviluppato la ricerca nucleare per mettere a punto un tipo di centrale che potesse essere replicato nel Terzo Mondo e consentire all’Umanità di conseguire la sua indipendenza energetica, senza il carbone, il petrolio e il gas’’ 3. Il clero, interessato all’edificazione di un mondo multipolare su basi capitaliste, osteggiò il terzomondismo rivoluzionario dello statista persiano guardando con diffidenza ai suoi legami con il Venezuela bolivariano e con Cuba.
Lo Stato profondo iraniano, dal 2013, sta letteralmente calpestando gli ‘’ahmadinejadisti’’ lasciando all’esecutivo carta bianca: antimperialismo regionale, in netta contraddizione col neoliberismo interno. Rohani, senza dismettere le questioni fondamentali (es. antisionismo, difesa della Siria), ha confidato nell’appoggio implicito dell’amministrazione Obama; Teheran avrebbe rinunciato all’esportazione della Rivoluzione degli Oppressi in cambio del formale riconoscimento di Washington in quanto potenza regionale. L’abbandono del sogno di Alì Shariati e dell’Imam Khomeini – secondo i neoconservatori statunitensi – è l’anticamera per dissolvere la linea di Teheran, soltanto allora Washington riproverà un ‘’cambio di regime’’. Donald Trump, principale fautore dell’ “imperialismo economico”, ha accelerato questo processo.
La crisi provocata dall’imperialismo americano-sionista
Le recenti mobilitazioni, nate come spontanee, sono state sicuramente infiltrate dai provocatori al servizio degli USA: Ciononostante il problema permane: Rohani ha imposto al popolo iraniano una linea neoliberista, i ceti popolari hanno il diritto di scendere in strada contro un esecutivo quasi dipendente dai mercati euro-imperialisti. Ahmadinejad non ha risparmiato critiche allo Stato profondo islamico: ‘’In un video, lamenta la disaffezione del popolo nei confronti della situazione generale e si rivolge, in tono pacato, direttamente a Rouhani e – indirettamente – anche alla Guida (“le altre parti del sistema”) chiedendo retoricamente: “Il Paese è forse una vostra proprietà?”’’ 4. L’ala antimperialista dello sciismo è, con questi rapporti di forza, nelle condizioni di rovesciare la corrotta borghesia del bazar? L’Iran paga l’assenza di sindacati di classe e di un autentico Partito socialista rivoluzionario; il Deep State, fermo al patriottismo antimperialista, non concepisce la transizione (necessaria) dallo stato borghese al socialismo islamico sharitiano. Il capitalismo genera instabilità sociale (usura, immigrazione di massa, lavoro precario, disoccupazione) e corruzione istituzionale, vale tanto per la sottomessa Europa quanto per il sovrano Iran.
Il giornalista Antonello Sacchetti, studioso indipendente e profondo conoscitore della Repubblica Islamica, ha constatato con metodo che: ‘’Come scrive Rahman Bouzari, giornalista del riformista Shargh, siamo probabilmente di fronte a quella che Antonio Gramsci avrebbe definito una crisi organica. Una fase, cioè, in cui la classe governante non è più in grado di produrre consenso sociale. Non è cioè soltanto la questione del prezzo della benzina, ma la difficoltà della Repubblica islamica a dare risposte ai propri cittadini a livello politico, economico, ideologico e sociale’’ (Ibidem). Continua: ‘’Questa settimana di violenze e silenzio web, sarebbe la prosecuzione di quanto iniziato due anni fa e proseguito poi con una serie di fenomeni di intensità minore, legati più o meno tutti a questioni di disagio economico e occupazionale’’. Nel 2017-’18, a differenza della borghese ‘’onda verde’’ del 2009 (nessun antimperialista l’ha sostenuta), il popolo della periferia ha fischiato la borghesia metropolitana di Teheran colpevole d’aver sovrapposto il mito d’un ’68 iraniano alla realizzazione di un’ autentica democrazia partecipativa sciita.
Mancano soltanto tre mesi al rinnovo del parlamento ed i principalisti (conservatori) dovrebbero uscirne vittoriosi, ma quello che manca a Teheran va ben oltre la sfida dei turbanti. Lo Stato profondo ha ‘’fatto fuori’’ l’unico candidato anti-casta, Ahmadinejad, mentre l’eredità di Alì Shariati viene eclissata dalla globalizzazione inter-capitalista. Dentro questo sistema socioeconomico non c’è pace.
https://www.voltairenet.org/article208348.html
https://it.euronews.com/2017/04/19/intervista-all-ex-presidente-iraniano-mahmoud-ahmadinejad
https://www.voltairenet.org/article181292.html
http://www.diruz.it/il-prezzo-della-crisi/?fbclid=IwAR2-1T4c44XaYWdkc_mzTQjofTzunUSP90UT0Bo2xMki5TD5yWx1tXGbBRQ
Fonte foto: Sky TG24 (da Google)