In Iran, l’elezione del presidente Masoud Pezeshkian, subito dopo la tragica morte di Raisi (probabilmente pianificata da Washington e Tel Aviv), ha aperto una discussione all’interno della comunità degli Alt Media concernente la politica internazionale del neo-eletto presidente. Il presidente Pezeshkian, dopo la vittoria elettorale, ha pubblicato sul Teheran Times una disamina sulla propria dottrina in politica internazionale; fedele alla linea dei “riformisti”, lo statista iraniano pensa che il confronto con l’imperialismo occidentale debba essere rimandato, quindi è necessaria una sorta di “tregua tattica” per rafforzare le basi economiche e sociali della Repubblica Islamica dell’Iran. Questa impostazione, comune a tutto il campo riformista, ha fatto sì che, a livello interno, il centro-sinistra venisse appellato come “quietista”.
Le categorie di “riformista” e “conservatore” sono tipicamente occidentali, mentre la letteratura giornalistica iraniana li appella in modo differente: “quietisti” e “principalisti”. Il primo campo, proveniente dalla sinistra anti-statunitense, conscio della necessità di edificare una Repubblica islamica-sciita forte ed indipendente, ha accettato la cooperazione tattica con quelle fazioni della borghesia occidentale che, in nome del “realismo politico”, vengono definite dai politologi “intelligenti” (definizione accademica, inopportuna dinanzi la realtà conflittuale). I “principalisti”, connotati negli anni ’80 da un feroce anti-comunismo, dopo lo sgretolamento dell’Urss hanno sostituito l’avversione verso il Socialismo con l’anti-occidentalismo, scontrandosi frontalmente con USA ed Israele. Le congiunture storiche e l’eclettismo, tipico del mondo islamico, hanno cambiato gli schieramenti geopolitici di queste due fazioni: tutto ritorna, ma con dinamiche ideologiche e politico-militari differenti. In quell’area geografica, al momento, non c’è nessun “Che” Guevara, ma soltanto la necessità storica di abbandonare l’unipolarismo verso un riassestamento delle relazioni geo-strategiche globali: Washington deve, per il bene dell’Umanità, uscirne sconfitta.
L’Iran non è sempre stato un Paese antimperialista e, nel senso marxista, non lo è tuttora. Negli anni ’80, Khomeini non disdegnò la repressione del “Partito comunista iraniano” definito “elemento satanico”, e i “riformisti”, in parte corrotti dalla dottrina “quietista”, si resero protagonisti, nel 1986, dello scandalo Iran Contra. Gli Stati Uniti, a tradimento, riempirono di letame mediatico Teheran per aver legittimamente punito (come sarebbe avvenuto in qualsiasi paese del mondo) i traditori “vendi patria”, ma agevolarono Khomeini nella lotta anti-comunista, strumentalizzando la propaganda anti-marxista dell’Islam politico. I terroristi del MEK/MKO, una banda di stragisti sul libro paga di Israele e dell’Arabia Saudita, vennero santificati, mentre migliaia di combattenti comunisti (il Tudeh fu uno dei protagonisti della lotta contro la dittatura dello Shah Reza Pahlavi) dovettero affrontare la rimozione dalla memoria collettiva. Washington ammetteva lo sterminio dei comunisti, anche da parte di governi nemici, ma non ha mai dismesso il proprio ruolo di protettore globale del terrorismo; nei Balcani, il MEK/MKO si candidò al ruolo di padrino di UCK ed ISIS.
Fedele alla
linea “riformista”, Pezeshkian sarebbe interessato a tentare un
riavvicinamento all’Occidente, senza dismettere il ruolo dell’Iran all’interno
dei Paesi Brics ed il sostegno alle Resistenze antimperialiste. Scrive
l’analista strategico Andrew Korybko:
“Il punto è che l’interesse di Pezeshkian nell’esplorare
un riavvicinamento con l’Occidente non lo rende un “venduto” alla causa
multipolare. La Cina si trova in un rapporto di complessa interdipendenza
economica con questi paesi nonostante sia uno dei motori multipolari più
potenti del mondo, mentre l’India si allinea orgogliosamente tra
l’Occidente e il non Occidente, il cui approccio pragmatico Pezeshkian sembra
voler emulare. Non c’è niente di sbagliato in nessuno dei due ed entrambi
meritano elogi.” 1
Il ruolo della Repubblica Islamica dell’Iran, qualora
l’Occidente dovesse accondiscendere il “quietismo” del nuovo governo,
somiglierà molto di più a quello dell’India all’interno del Sud Globale,
mentre in caso contrario, è praticamente impossibile immaginare un cambio di
posizione rispetto a quella, coerentemente antimperialista, messa a punto da
Raisi.
L’Occidente sfrutta le relazioni socioeconomiche
rendendole asimmetriche nella “grande scacchiera”della “guerra
commerciale”, un segmento della “guerra ibrida”nella duplice
variante Obama/Trump. Pezeshkian è fiducioso di riuscire a fronteggiare
il banditismo economico occidentale, ciononostante – come nota Korybko – è
difficile che le sue richieste vengano ricambiate. Leggiamo:
“Questo è
fondamentale da tenere a mente quando si riflette su alcune delle terribili
previsioni che sono state fatte su Pezeshkian prima della sua elezione e nel
valutare le intenzioni dietro la sua nuova articolata politica estera. Il
popolo iraniano ha votato per lui perché voleva un “riformista” che cambiasse
gradualmente la politica interna ed estera del suo paese, sapendo che non ci si
può aspettare nulla di radicale a causa del rigido sistema di pesi e
contrappesi che è in atto per impedirlo.” (Ibidem)
L’integrità personale e dirittura morale di Pezeshkian, davanti al degrado nell’anglosfera (una sorta talk show pornografico a stelle e strisce), è indiscutibile: si tratta di uno statista coltissimo ed onesto, il quale sovrappone il sentimento comunitario all’opportunismo. In questa fase storica la contraddizione principale che i marxisti devono mettere al centro della loro analisi è quella fra Collaborazionisti e Resistenti. L’Iran, al di là delle sue contraddizioni (es. l’assenza di un forte movimento operaio e sindacale), resta comunque una forza trainante del mondo multipolare.
Fonte foto: da Google