Il prossimo obiettivo strategico degli
USA e di Israele è la destabilizzazione dell’Iran, su questo non c’è alcun
dubbio. Del resto ci stanno lavorando da sempre sia sotto il profilo militare, con
il lancio di droni e missili sul territorio iraniano e con la prassi delle “esecuzioni
mirate” (ricordiamo l’assassinio del generale Soleimani e il più che sospetto ”incidente”
in cui ha trovato la morte l’ex Presidente della Repubblica Islamica, Ebrahim
Raisi precipitato con l’elicottero su cui viaggiava), sia su quello
ideologico-mediatico. Quest’ultimo fa leva sulle contraddizioni e le divisioni presenti
sia all’interno dei vari apparati dello stato che, soprattutto, all’interno
della società civile iraniana che potremmo molto, sottolineo, molto
sommariamente dividere in conservatori (clero tradizionalista e ceti popolari
delle campagne) e in “riformisti” (la borghesia delle città favorevole ad un
processo di avvicinamento del paese all’Occidente). Che tale obiettivo possa
essere raggiunto attraverso una cosiddetta “rivoluzione colorata” o un sovvertimento
del regime ad opera di alcuni settori militari e politici o con un combinato
disposto fra i due, è del tutto indifferente perchè ciò che importa è
raggiungere lo scopo. In buona sostanza
sia in un caso che nell’altro si tratta di facce della stessa strategia.
Una volta destabilizzata la Repubblica
Islamica dell’Iran, gli Stati Uniti, Israele e il blocco occidentale tornerebbero
ad essere completamente egemoni in tutto il Medioriente, anche se in coabitazione
con la Turchia che comunque è pur sempre un membro autorevolissimo della NATO e
ha oggettivamente da guadagna re dall’eventuale crollo dell’attuale stato
iraniano, perché si sbarazzerebbe del suo principale competitor in quanto
potenza regionale (Israele a parte ma contro questo non può nulla).
Ed essere (o tornare ad essere) egemoni
in un’area come quella mediorientale, significa controllare gasdotti,
giacimenti petroliferi, vie di comunicazione, stretti, porti e infrastrutture
varie di importanza strategica per il dominio economico, commerciale e geopolitico
(e anche militare) del blocco occidentale a guida USA. In poche parole, oltre a
ciò che abbiamo sommariamente detto, significa bloccare l’espansione
commerciale cinese (leggi “Via della Seta”) e rilanciare la “Nuova Via del
Cotone”, cioè l’accordo commerciale siglato tra Stati Uniti, India, Arabia
Saudita, Emirati Arabi Uniti, Germania, Francia, Italia e Unione Europea che
prevede la costruzione di un corridoio con due direttrici fondamentali,
ferroviarie e marittime, che collegheranno l’India all’Europa passando per i
paesi del Golfo Persico. Poi ci sono altre questioni come il gasdotto fra Qatar
e Turchia ma sono faccende risolvibili e gestibili una volta tolto di mezzo il
problema principale.
Per arrivare a questo obiettivo era
ed è necessario mettere fuori combattimento tutti gli avversari del blocco
occidentale e dei loro alleati in loco, quindi innanzitutto il movimento
libanese di Hezbollah, l’Iran e naturalmente la Siria di Assad. Quest’ultima,
già fortemente indebolita dopo anni e anni di guerra, è stata spazzata via
dalle bande dei tagliagole ex ISIS e Al Qaeda, sostenuti in parte dalla Turchia
e in parte dagli USA e da Israele.
I palestinesi sono di fatto fuori
gioco, non hanno nessun peso specifico e nessuna carta da giocarsi. Hamas si è anche
affrettata (forse non era nelle condizioni di fare altro?..) a salutare
positivamente il rovesciamento del regime di Assad. Del resto è anch’essa
affiliata alla Fratellanza Musulmana da cui proviene anche il leader turco Erdogan
e che è finanziata dal Qatar, cioè il suo (di Hamas) maggiore supporter che
pure è alleato degli Stati Uniti di cui ospita la più importante base militare
in tutta l’area mediorientale.
Insomma,
per completare il puzzle manca solo l’Iran. Naturalmente non sarà facile e pur tuttavia
non impossibile perché, come dicevo, le crepe all’interno dello stato e della
società iraniana ci sono e sono anche profonde. La cosiddetta “borghesia del
bazar” non ha nessuna intenzione di sostenere una guerra contro l’Occidente ed ha
avuto un ruolo non indifferente nell’elezione dell’attuale premier Masoud
Pezeshkian, appartenente, appunto, alla corrente dei “riformisti”. La “borghesia
del bazar” è la maggior sostenitrice delle “rivolte colorate” che hanno
visto e vedono come protagonisti per lo più i giovani e le giovani della media
borghesia urbana e, in tal senso, è naturalmente supportata dai media e dai
governi di tutti i paesi occidentali.
La vicenda della giornalista
italiana Cecilia Sala di cui, sia chiaro, mi auguro la pronta liberazione, è
soltanto una particella di questa gigantesca tragedia, o meglio di questa “terza
guerra mondiale a pezzi” voluta dall’Occidente a trazione USA per contrastare l’avanzata
dei paesi BRICS e cercare di mantenere il dominio sul mondo, per quanto gli
potrà essere ancora possibile.
Ma questo, lei dovrebbe già
saperlo, e se non lo sa, è un’ ingenua.
Fonte foto: Nicolaporro.it (da Google)