La tregua fra Israele e la Resistenza palestinese non ha fermato il governo israeliano-fascista, che continua a sterminare donne, uomini e bambini innocenti. Le Brigate al-Qassam, vincitrici del conflitto sul piano militare, dovranno contribuire alla ricostruzione dell’Asse della Resistenza partendo dalla contrapposizione al nuovo “stato lacchè” siriano.
Il “cessate il fuoco” di Gaza, con l’azione diplomatica del Qatar e dell’Egitto, ha messo in risalto l’incapacità del regime sionista di vincere una “guerra convenzionale”, ovvero un conflitto imperialistico centralizzato sul controllo del territorio. L’IDF, seguendo l’antica ideologia assira sistematizzata nel Talmud del “popolo intero in armi”, si è trasformato in un esercito di guarnigione, incapace di fronteggiare la guerriglia asimmetrica palestinese che il giornalismo lubrificato riduce alla sola Hamas. Israele è uno “Stato pazzo”, ciononostante “la guerriglia vince quando non perde”, mutuando le parole di Henri Kissinger (grande criminale, ma anche esperto di strategie militari): Hamas ha sconfitto, nella Palestina occupata, l’entità sionista, infliggendole una sconfitta militare. Il mondo ha il dovere incondizionato di sapere: Israele è un deposito di armi statunitense, un laboratorio dell’imperialismo USA.
I “sionisti religiosi” hanno accusato
Netanyahu di tradimento: non c’è limite alla perversione, l’obiettivo
strategico delle guerre del ventunesimo secolo non è il controllo territoriale,
ma il genocidio nelle aree periferiche combinato con la conversione di massa al
transumanesimo nell’Occidente collettivo. Tel Aviv, sconfitta nella guerra “di
terza generazione”, ha dimostrato di essere estremamente pericolosa nella guerra
irregolare: l’assassinio di Nasrallah ed il rovesciamento del governo
pluralista siriano, rappresentano – oggettivamente – un indebolimento dell’Asse
sciita della Resistenza. Senza ombra di dubbio, massacrare civili,
distruggere un ospedale oppure assassinare un leader politico, non è strategia
militare, ma crimine, una ideologia perversa ereditata dall’antica Bibbia
ebraica.
Leggiamo il reporter antimperialista Fulvio
Grimaldi:
“E’ ancora
tutto da vedere. Anche chi vince e chi perde. Per oggi stiamo ai fatti. Israele
aveva giurato di far fuori il bubbone Gaza, eliminando Hamas e spostando nel
Sinai egiziano, o sulla Luna, 2 milioni di palestinesi. L’Egitto, forza
principale nell’ottenimento dell’improbabile tregua, più che gli ambiguoni
della Fratellanza Musulmana del Qatar, gli ha fatto “sticazzi”. Hamas ha
colpito soldati e tank dell’IDF, ancora ieri, ancora nella Gaza Nord spianata
da 15 mesi di bombe. E quelle villette di neocoloni ebrei, con vista mare a
Gaza, di cui abbiamo ammirato il promettente rendering degli impresari
immobiliari israeliani? Rimaste a ingiallire sui tavoli degli architetti.”
“D’altra parte, Hezbollah è
stato indebolito dalla decimazione dei suoi quadri e il Libano, con un
presidente e primo ministro di stampo Abu Mazen, è passato sotto il controllo
di amici di USA, Francia e Israele. Lo Stato abusivo sionista si va mangiando
altre fette di territorio arabo in Siria e gode della sottomissione – a sé, ai
turchi e agli USA – di un regime di fanatici integralisti e tagliateste al pari
dei propri dell’IDF. L’assistenza in armi dell’Iran alla Resistenza palestinese
non può più passare per il corridoio Libano-Siria, sotto controllo israeliano.
Del glorioso Asse della Resistenza antisionista non è rimasto che lo Yemen, i
cui missili, peraltro, continuano a colpire – o dissuadere – i rifornimenti a
Israele e a centrare obiettivi all’interno dello Stato coloniale.” 1
Lo Yemen potrebbe diventare
l’epicentro di una rivoluzione antimperialista regionale, un paese eroico che
resiste all’imperialismo sionista rilanciando una modalità di lotta
novecentesca: la guerra missilistica combinata col controllo, territoriale,
delle aree strategiche. La politica nel mondo musulmano non trova la propria
dicotomia in “sciiti Vs sunniti”, ma in Collaborazionisti e Resistenti.
Hamas ha due correnti: il ramo politico legato ai Fratelli Musulmani,
un prodotto dell’MI6 britannico, della massoneria londinese e della
loggia di Istanbul, ed il ramo militare, le Brigate al-Qassam, alleate
strategiche dei Guardiani della Rivoluzione. I primi sono Collaborazionisti,
i secondi Resistenti. L’Islam politico, davanti all’applicazione
statunitense della dottrina della “guerra eterna”, ha dimostrato non poche contraddizioni: Al
Jazeera la quale ha documentato il genocidio di Gaza col sacrificio di
cronisti eroici, da 14 anni diffonde fake news indegne contro la Siria
baathista, trasformando una operazione di “cambio di regime” in “rivoluzione”.
In poche parole, manipolazione per conto dell’emiro, una dinastia di
satrapi necrotizzati.
In Siria, Al Qaeda è
al potere, ciononostante i Fratelli Musulmani (ed il ramo politico di Hamas)
esultano insieme a Netanyahu, il dittatore post-moderno più pericoloso
del pianeta. Il sionismo-revisionista e l’Islam politico sunnita,
avversari nella Terra di Palestina, in Siria hanno trovato una comune
avversione (al di là delle differenti proiezioni geopolitiche) verso un Paese
socialista. Quest’aspetto viene sottaciuto anche dalla, spesse volte
contradditoria, comunità degli Alt Media. La Resistenza palestinese ha
vinto la “guerra convenzionale” contro l’imperialismo israeliano, ma ha
perso un alleato strategico: Damasco, il governo baathista, una coalizione
plurale la quale, storicamente, ha trovato la propria dicotomia nella fazione
dei filo-russi (principalmente la famiglia Assad) e nella corrente dei
filo-iraniani (l’élite alawita dell’esercito). I palestinesi, egemonizzati dai Fratelli
Musulmani, che esultano dinanzi la caduta del Partito Baath
dimostrano di non avere il senso della storia.
Il Segretario del Partito
Comunista di Turchia, Kemal Okuyan, ha delineato il futuro da incubo del popolo siriano,
qualora i rapporti di classe non dovessero cambiare:
“L’ideologia jihadista è reazionaria, ma è una forza moderna in
termini di capacità di adattamento al capitalismo. Il suo approccio pragmatico
comprende bene gli affari e il profitto. Dunque, due dinamiche negative si
intrecciano. Niente di buono ne uscirà per quel popolo. Anche se non venisse
spartito, il paese avrà una struttura frammentata e conflittuale. La pace
imperialista conterrà magari per un certo periodo quei conflitti. Una sorta di stabilità
caotica. Quello che accadrà in seguito, dipenderà dagli sviluppi nella regione,
ma soprattutto in Turchia.” 2
Mentre Netanyahu massacra gli arabi-palestinesi, Erdogan ha
ordinato agli islamisti di sterminare gli alawiti, considerando il genocidio
un’opzione politica. All’interno della Nato, Ankara e Tel Aviv sono
l’epicentro di una controrivoluzione regionale, due Paesi organici
all’unipolarismo di guerra.
Il movimento rivoluzionario marxista-leninista non ha
alternative: diventare una forza indipendente (questo non significa che non
debba fare alleanze tattiche o strategiche), nella ricostruzione dell’Asse
della Resistenza.
Fonte foto: Terrasanta.net (da Google)