Finisce l’era di Bashar al-Assad: prosegue la grande guerra del Vicino Oriente


Con la fuga di Bashar al Assad a Mosca finisce la storia della Repubblica araba di Siria nata con il tramonto del mandato coloniale francese. L’offensiva delle milizie sostenute dalla Turchia è riuscita ad arrivare a Damasco nel giro di pochi giorni, forte della copertura aerea israeliana che per mesi, ed anzi per anni, ha bombardato la Siria e della debolezza ormai terminale di Assad. Quello che le milizie antigovernative non sono riuscite a fare in oltre dieci anni di guerra civile si è compiuto in una settimana.

Le forze israeliane stanno continuando ad attaccare le infrastrutture dell’ormai ex esercito siriano avanzando nell’area del Golan – denominando la nuova area d’occupazione “zona cuscinetto” – e distruggendo con i bombardamenti aerei infrastrutture – come il porto di Latakia – centri di ricerca ed industriali. Contemporaneamente gli attacchi delle milizie sostenute dalla Turchia si stanno concentrando sulle aree controllate dalle forze curde.

Il quadro, ancora opaco, fa intravedere almeno per il momento il maggiore successo israeliano, turco, britannico e statunitense raggiunto nell’area negli ultimi anni. Oltre a Damasco, le forze sostenute dalla Turchia avrebbero già anche il controllo di Tartus, città costiera dove si trova la base navale russa. Il nesso degli eventi siriani con tutte le altre crisi del Vicino Oriente – su tutte, quella palestinese – è evidente: non meno evidente è il nesso di questi con la transizione transizione Biden – Trump. Se si tratti dell’ennesima mossa dell’amministrazione Biden pensata per condizionare il successore, di una mossa volta ad anticipare la politica della nuova amministrazione o di un “do ut des” tra Mosca e Washington legato all’Ucraina, diventerà chiaro nel 2025. Quello che è certo è che quanto è avvenuto in Siria nelle ultime ore non sarebbe potuto accadere senza l’avallo statunitense, visto anche il presidio delle truppe di Washington presso i pozzi petroliferi della parte nord-orientale dell’ormai ex-Siria ed i legami tra gli attori coinvolti con gli Stati Uniti. Mentre l’ex membro dell’ISIS e di al-Qaeda Abu Mohammed al-Jawlani – Ahmed al-Shara – viene presentato come l’uomo forte sulla scena, Mohammed al-Bashir è stato incaricato capo del gabinetto di transizione dopo un incontro con l’ex primo ministro siriano Mohammed al-Jalali: quest’ultimo era apparso poche ore prima scortato da uomini dell’HTS (acronimo di Hayat al Tahrir al Sham, “Organizzazione per la liberazione del Levante”) che hanno ormai il controllo della capitale Damasco. Questi elementi potrebbero spiegare le diserzioni di massa tra le forze armate siriane e come queste ultime abbiano rinunciato ad opporre una resistenza significativa all’avanzata delle milizie sostenute da Ankara. La debolezza di Assad sul piano interno era nota da tempo anche a Mosca: una conferma di ciò si può trovare ricordando i colloqui promossi dal Cremlino tra il governo di Damasco e le opposizioni nell’ormai lontano 2018: sullo sfondo di questi colloqui era trapelata persino la bozza di nuova costituzione che avrebbe dato alla Siria un assetto più decentrato e maggiormente federale. Un progetto riformatore teso a dare maggiore rappresentatività e potere soprattutto alle grandi comunità sunnita e curda: un progetto mai attuato anche per l’oltranzismo di Assad con cui forse, almeno in alcune aree della Siria, sarebbe stato possibile salvare l’eredità di quel laicismo che appare destinato a scomparire. Considerando il proprio impegno in Ucraina ed il quadro siriano Mosca ha attuato la scelta probabilmente più logica in difesa dei propri interessi: del resto con una forza terrestre estremamente ridotta – impiegata ad oggi principalmente come polizia militare – e con le forze governative scioltesi – sul piano politico e militare – come neve al sole qualunque altra scelta sarebbe risultata velleitaria.

Per Mosca, ma soprattutto per Teheran, il nuovo scenario siriano apre una nuova fase di rischi ed incognite. Oltre alle basi presenti nell’area un problema significativo per Mosca riguarda i combattenti jihadisti provenienti da tutto lo spazio post-sovietico inquadrati tra le fila dell’HTS: un problema che rimarrà sicuramente al centro dell’interlocuzione tra il Cremlino e la nuova dirigenza siriana. L’Iran rischia di perdere il corridoio terrestre con cui attraverso l’Iraq ha avuto fino ad oggi un accesso diretto al Mediterraneo, oltre a subire una maggiore pressione militare a ridosso delle proprie frontiere: nonostante questo rischio e la forte contrapposizione degli anni scorsi tra HTS ed Hezbollah le prime dichiarazioni del partito-milizia libanese sugli eventi siriani hanno evitato ogni presa di posizione marcata. L’era di Bashar al Assad è terminata, a differenza della grande guerra che si sta combattendo in tutto il Vicino Oriente.

di Maurizio Vezzosi. 10 dicembre 2024

Fonte foto: La Repubblica (d Google)

5 commenti per “Finisce l’era di Bashar al-Assad: prosegue la grande guerra del Vicino Oriente

  1. Federico Lovo
    11 Dicembre 2024 at 13:34

    ancora oggi – senza alcun imbarazzo – ci sono “esperti” che ci garantiscono che Erdogan risulta sostanzialmente innocente, il supporto ai jihadisti sarebbe colpa di “fazioni atlantiste” che lui – poverino… – non riesce a frenare. Un effetto collaterale del declino occidentale è questo emergere di “miti” riguardo a certi personaggi facenti parte dell’area NATO, mi riferisco in particolare a Trump – mitizzato da ambienti “populisti” – ed Erdogan, quest’ultimo spacciato come alfiere del “multipolarismo” – termine che ormai va tanto di moda – da presunti “esperti di Eurasia”, “marxisti”, “post-maoisti turchi”…
    Se posso dare il mio consiglio: sappiamo che la costruzione di un ordine diverso da quello dominato dagli USA passa per accordi con soggetti “opachi”, come il BRICS+ dimostra chiaramente. E ci sta, dato che viviamo nel mondo reale e non in quello dei sogni. Tuttavia sarebbe il caso di chiedersi fino a che punto l’ambiguità di un Paese può essere considerata accettabile. Sconsiglio vivamente di seguire certi “esperti” che da anni INSABBIANO – letteralmente – le malefatte del bandito di Ankara tanto apprezzate a Washington, Tel Aviv e Londra. Essere pragmatici non significa stendere tappeti rossi ad un manovratore di jihadisti per conto della NATO – non dimenticate la Libia.

    • Fabrizio Marchi
      11 Dicembre 2024 at 18:33

      Concordo completamente.

  2. Federico Lovo
    11 Dicembre 2024 at 13:49

    p.s.: con questo non voglio dire che il governo turco sia un “fantoccio” – come se ne trovano molti in Europa – di certi ambienti anglo-americani. Diciamo piuttosto – se si pensa alla SIria, alla Libia, e direi anche il caucaso – che li Neo-Ottomanesimo si sovrappone in molti casi agli interessi degli USA e compari, e lui – membro NATO – non se lo fa dire due volte di “unire gli sforzi”. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

    • Fabrizio Marchi
      11 Dicembre 2024 at 18:34

      Idem come sopra.

  3. Andrea Vannini
    12 Dicembre 2024 at 0:13

    Nella tragedia siriana il ruolo della Turchia non é paragonabile a quello degli imperialisti usa e dei fascisti sionisti. Esiste per i comunisti una contraddizione e un nemico principali. E i curdi? Meritevoli di odio e disprezzo tanto se non più della Turchia, complici e mercenari di usa e Israele, occupanti di terre non curde ma arabe, terroristi verso la popolazione, ladri di grano e petrolio siriano per conto degli usa, ecc. Tanti troppi sedicenti antimperialisti e antifascisti italioti continuano a simpatizzare per questi traditori. Sono solo carne usa e getta che riceverà una amara e meritata lezione dall’ amico amerikano.

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