L’aggressione neocolonialista – che trova nell’ISIS il suo braccio armato – contro la Siria baathista miete una nuova vittima: la città di Palmira coi suoi reperti archeologici, che testimoniano del carattere millenario della civiltà arabo-siriana.
Davanti alla barbarie dei tagliagole neojihadisti, l’archeologo Paolo Matthiae ha pronunciato delle durissime parole di condanna nei confronti della politica occidentale: “Trovo assurdo discutere sull’importanza delle vite umane a discapito del patrimonio culturale e viceversa, è indubbiamente primario il supporto alle vittime umane ma non per questo bisogna tralasciare il patrimonio artistico e culturale. Nella catena umanità-cultura-natura, non ci si può fermare all’umanità e ignorare gli altri due anelli” ( Fonte: Radio Irib ). Secondo l’orientalista i potenti della Terra sono chiamati a recuperare i loro errori anche se non è facile perché – spiega Matthiae – si tratta di “errori strategici” come l’errata interpretazione delle primavere arabe.
Difficile, a dire il vero, poter parlare di semplici errori dal momento che i potenti della Terra – ovvero i “tecnici” dell’imperialismo nord-americano – hanno un progetto preciso: la distruzione degli Stati indipendenti, i quali – proprio in virtù della loro indipendenza politica ed economica dal mercato globale – costituiscono un ostacolo per il dominio unipolare e capitalistico a trazione USA sul mondo.
L’aggressione imperialista alla Siria è l’anticamera per la destabilizzazione della Cina e della Russia, cosa a cui gli Usa lavorano fin dai tempi della “guerra fredda”. Nessun errore; al contrario, siamo di fronte ad un progetto lucido di conquista neocoloniale.
Il nostro archeologo, arrivati a questo punto, fa una considerazione interessante: “C’è allarme per il patrimonio archeologico e culturale ma è lo stesso che c’è stato per il massacro dei cristiani e degli sciiti, musulmani che non corrispondono alla fede sunnita estremista di questi fondamentalisti protagonisti dell’Isis. “L’Occidente – continua Matthiae – ha commesso una sequela impressionante di errori diplomatici e strategici, a partire dagli Stati Uniti e dall’Europa. E’ anche vero che gli atteggiamenti equivoci dell’Arabia Saudita paralizzano possibili interventi seri dei paesi coalizzati contro l’Isis, ma l’Occidente non vuole fare niente e preferisce la destabilizzazione dei propri paesi rispetto all’abbattimento dell’Isis”.
Che cosa spinge l’ISIS – organizzazione nata dall’alleanza fra gli USA e la dittatura saudita – a muovere guerra al mondo sciita e a quei movimenti politici che si rifanno al pensiero dell’Imam Khomeini?
Gli occidentali pensano erroneamente che il mondo arabo-persiano contempli il perenne contrasto fra gli sciiti ed i sunniti oppure la pretesa incompatibilità fra musulmani e cristiani; in realtà questa interpretazione dei fatti si basa su scarsissime conoscenze storico-sociali. Nello Yemen, senza una autentica mobilitazione popolare, gli Houthi non avrebbero mai avuto la meglio sulle bande criminali di Al Qaeda. Nel 2006, senza il supporto attivo dei lavoratori cristiani libanesi, gli Hezbollah non avrebbero potuto respingere l’aggressione militare israeliana.
Il vescovo cattolico di rito greco melchita, Ilarion Capucci, ha più volte confermato il suo appoggio al presidente siriano Bashar Al Assad denunciando una autentica cospirazione occidentale contro gli Stati sovrani della regione. Come non ricordare la liberazione della città di Maalula, unica città al mondo in cui ancora si parla l’aramaico antico, per mano dell’esercito regolare baathista?
Chiunque analizzi in modo onesto la situazione mediorientale non può che rilevare un conflitto politico e sociale del tutto alieno alla religione. Tale conflitto trova la sua origine nell’orientamento strategico e geopolitico di ogni singolo contendente. L’analisi più lucida è stata fatta, ancora una volta, dal leader degli Hezbollah, Hassan Nasrallah, che ha dichiarato: “Ci sono degli Stati, delle forze politiche e delle forze popolari che hanno una certa visione del futuro delle loro nazioni e della loro regione e che combattono per realizzare il loro progetto, sia esso giusto o meno. Il conflitto non è affatto confessionale’ ( Fonte: Intellettuale Dissidente ).
Nasrallah inquadra il progetto del movimento da lui guidato con grande coerenza. “L ’Asse al quale noi apparteniamo attualmente – spiega – nel quale combattiamo, nel quale aiutiamo a reggere ed innalzare lo stendardo, è un Asse puramente sciita? Affatto. Si tratta di un Asse politico formato da componenti religiose, confessionali e intellettuali diverse e molteplici. Questa è la verità. Possono esserci dei movimenti che agiscono su una logica o sfondo di credenze (confessionali), ma come ho detto qualche tempo fa, questo non vuol dire che il conflitto sia confessionale”.
Possono oggi gli Hezbollah – dopo aver ripetutamente respinto le ingerenze politiche e militari israeliane – fermare i tagliagole dell’ISIS? Sicuramente, dato il peso politico di quei movimenti politicamente vicini all’Iran, la pacificazione del Medio Oriente è strettamente legata alla diffusione dello sciismo progressista che nelle classi lavoratrici, quanto meno in quell’area geografica, trova grande diffusione.
Che cosa potrebbe succedere se tale messaggio – la “rivoluzione degli oppressi” dell’Imam Khomeini – dovesse penetrare anche in Arabia Saudita? A quali ipocrite alleanze la dinastia Saud potrà fare farà affidamento per restare al potere?
Il regime dei Saud – in affari con gli Usa e protetto da Israele – ha armato i terroristi praticanti il takfir, vale a dire la “guerra contro i miscredenti”, contro il governo baathista siriano ed il movimento nazionalista libanese. La rete del terrore saudita ha colpito e distrutto le infrastrutture dello Stato indipendente siriano, le scuole e gli ospedali pubblici, ucciso in modo indiscriminato civili, lavoratori e contadini. I comitati popolari per la difesa della patria creati dal Partito Ba’th si sono connotati, di contro, come un forza, anche con caratteristiche di classe, contro i mercenari armati dai ricchissimi sceicchi del golfo.
Quella in corso è una guerra politica con diverse articolazioni: sociali e culturali prima di tutto. Proprio qualche giorno fa, in Arabia Saudita, l’attentato alla moschea sciita di Qadih è attribuibile ai servizi segreti di Casa Saud. Non si è fatto aspettare, infatti, un comunicato degli Hezbollah che recita testualmente: “Questi crimini sono commessi da gruppi che non apprezzano la preghiera e non prendono in considerazione la sacralità delle Case di Dio e il sangue puro degli innocenti che vengono uccisi sull’altare dell’ignoranza e dell’odio” ( Fonte: Radio Irib ).
Ma in Arabia Saudita lo sciismo non è forse praticato dalla stragrande maggioranza delle persone che si vedono negato ogni minimo diritto dalla cupola wahabita al potere? La guerra intra-religiosa, così facendo, diventa in effetti un conflitto fra gruppi sociali antagonisti, una vera e propria – nel senso marxiano dei termine – guerra di classe.
La presa di Palmira da parte dell’ISIS e la strage alla moschea sciita di Qadih non possono essere scisse; fanno parte di un unico progetto imperiale che vede nell’Arabia Saudita – sponsorizzata da Usa ed Israele – il principale attore. Un progetto eversivo e, fin dalle sue prime mosse, di natura imperialista, nei confronti del quale i movimenti sciiti della regione si stanno coraggiosamente opponendo.