La sconfitta elettorale del fascismo-neoliberale in Brasile è un prodotto della conflittualità di classe su scala globale: sulla via della sconfitta in Ucraina ed obbligato alla diplomazia in Asia, il Pentagono non è nelle condizioni (con tutta probabilità non lo è mai stato) di aggredire il Venezuela. L’ex presidente Bolsonaro è stato messo al potere da Washington attraverso un colpo di stato organizzato dalla CIA, dai sostenitori dello ‘’stato minimo ‘’ del Cato Institute e dalla lobby della destra israeliana: proprio con l’ausilio del MOSSAD e della nuova tecnologia israeliana-sionista, il governo uscente ha cercato di manipolare l’esito elettorale. L’America Latina, al di là del carattere moderato del centro-sinistra, si avvia al confronto con l’unilateralismo della Dottrina Monroe.
Il rieletto (per la terza volta) presidente Lula, visionario del mondo multipolare e fondatore dei BRICS, ha seguito una parabola analoga a quella che, negli anni ’80, travolse il Partito Socialista Italiano (PSI): incapace di coniugare l’industria statale ed il neo-sviluppismo col capitalismo liberale, Lula ha visto riprodursi all’interno del Partito dei lavoratori (PT) sacche di corruzione e clientelismo. La domanda centrale è questa: la fuoriuscita dall’unipolarismo può essere portata a termine da un governo socialdemocratico-liberale il quale ha escluso qualsiasi forma di lotta di classe? Lula è il ‘’Craxi brasiliano’’: da visionario multipolare non è assimilabile alla lobby progressista occidentale, ciononostante è un simbolo dell’impossibilità di riformare il capitalismo nell’epoca dell’eccezionalismo USA. Il ‘’movimento reazionario di massa’’, in Brasile, è crollato per ragioni geopolitiche: gli Stati Uniti non possono applicare la dottrina della ‘’guerra eterna’’ in America Latina; la Repubblica delle Banane statunitense, umiliata dalla Federazione Russa dinanzi i ¾ del pianeta, è una nazione fallita.
Dopo averlo crocifisso e riempito di letame mediatico in quanto a loro dire ‘’corrotto’’, l’élite occidentale spera di convertire il laburista-moderato Lula al neoliberismo, spingendolo a declinare il multipolarismo in termini anglofoni. Il giornale marxista cinese, Global Times, ne dà una rilettura più complessa entrando nel merito della posta in gioco geopolitica:
‘’Gli scambi tra Cina e Brasile non sono mai stati delimitati dall’ideologia. Non importa chi è al potere, vorremmo vedere stabilità e sviluppo della società brasiliana. Nel frattempo, poiché entrambi sono importanti paesi in via di sviluppo e importanti paesi dei mercati emergenti, i due paesi condividono ampi interessi e responsabilità comuni. Lula ha scritto nel piano del governo: Sosteniamo di lavorare per la costruzione di un nuovo ordine globale impegnato nel multilateralismo, nel rispetto della sovranità delle nazioni, nella pace, nell’inclusione sociale e nella sostenibilità ambientale, che tenga conto delle esigenze dei paesi in via di sviluppo. Il piano può trovare molti motivi comuni con l’Iniziativa per lo sviluppo globale e l’Iniziativa per la sicurezza globale proposte dalla Cina.’’ 1
Col PT, il Brasile ha stabilito tre primati per quanto concerne la partnership sino-brasiliana:
- Il primo paese in via di sviluppo a creare una cooperazione programmatica con Pechino.
- Il primo paese dell’America Latina a stabilire un partenariato strategico globale con la Cina.
- L’unica nazione dell’America Latina il cui volume degli scambi bilaterali col gigante asiatico ha superato 100 miliardi di dollari.
I media trumpiani, autentiche fogne mediatiche, definiscono Lula un ‘’globalista’’: una posizione demenziale che occulta il ruolo attivo del Brasile, dal 2016 al 2022, in tutti i colpi di stato organizzati dal Pentagono, un sistema di potere di cui gli ‘’antisistema’’ sono ‘’figli-bastardi’’ (in termini politici) e non riconosciuti. La ripresa del neo-sviluppismo, unita alla sostituzione del dollaro col ‘’Sur’’ (la nuova moneta digitale teorizzata dagli economisti del PT) potrebbe portare al collasso economico di Washington: accerchiati dai nuovi governi Pro-Multilateralismo, gli Stati Uniti non saranno più una grande potenza e dovranno fare i conti con movimenti interni di dissezione neocoloniale. Nel 2019 lo scrittore Orlov scrisse “Penso che l’impero americano sia già in gran parte finito, ma non è stato ancora sottoposto a nessun tipo di grave stress test, e quindi nessuno si rende conto che è così”; con l’emergenza pandemica per Covid-19 ed a seguire l’Operazione Speciale Z questo stress è arrivato. Dovrà essere la classe operaia internazionale, non il laburismo-moderato di Lula, a dargli il colpo di grazia: l’accelerazione della transizione al multipolarismo, con la vittoria di candidati filo-russi e filo-cinesi (es. Raisi, Petro e Lula), è il primo passo verso nuove rivoluzioni socialiste. Un cambiamento radicale che non partirà dalla screditata sinistra occidentale: la lobby progressista è un Cavallo di Troia dell’imperialismo della stupidità.
https://www.globaltimes.cn/page/202211/1278421.shtml
Fonte foto: Shepparton News (da Google)