Fonte foto: Anti-Imperialist Camp (da Google)
QUALCHE CONSIDERAZIONE E UN RIEPILOGO DEGLI EVENTI PIU’ RECENTI
In India per coloro che si oppongono con vigore alla politica del partito di maggioranza scatta automaticamente la definizione di “naxaliti urbani”.
E chi mai sarebbero ‘sti naxaliti?
Sono guerriglieri comunisti – maoisti – in genere acquartierati nelle foreste (e quindi soprattutto rurali). Al momento rappresentano probabilmente la maggior fonte di preoccupazione per il grande capitale e per i suoi devastanti progetti di sfruttamento.
Arundhati Roy ne aveva parlato nel libro-testimonianza “Camminando con i compagni” (edizioni Rapporti sociali). La scrittrice indiana vi narrava l’esperienza vissuta tra i guerriglieri contribuendo a farne conoscere sia le motivazioni che il notevole livello di radicamento tra gli adivasi (gli “abitanti originari”, i tribali).
I Naxaliti nascono alla fine degli anni sessanta in quel di Naxalbari, un villaggio del Bengala occidentale (distretto di Darjeeling). Tra i fondatori Charu Mazumbar, già esponente del Partito comunista indiano (arrestato nel 1972, morì dieci giorno dopo a causa delle torture cui venne sottoposto)*.
Crescendo e ampliandosi il movimento, nel corso degli anni si è materializzata quella che viene definita la Compact Revolutionary Zone. La CRZ si estende dai confini con il Nepal fino all’Andhra Pradesh, nel sud dell’India. In collegamento stabile e organico con altri movimenti di ispirazione maoista come i partiti comunisti del Bhutan e del Nepal. Tra le cause che possono aver contribuito (involontariamente, beninteso) all’ulteriore espansione del movimento va presa in considerazione la creazione delle ZES (Zone economiche speciali). Zone franche in cui le imprese, sia indiane che straniere, godono di condizioni di favore (in genere sono esentate da tasse, dazi e altro) e possono usufruire di moderne infrastrutture. Ovviamente realizzate dal governo. A farne le spese sono, sempre ovviamente, le popolazioni con migliaia di persone forzatamente sfollate. Soprattutto gli adivasi, i contadini poveri e senza terra e i dalit (paria). Non è certo un caso che gli stati in cui è maggiore la concentrazione di ZES (Jharkand, Orissa, Andhra Pradesh…) siano gli stessi in cui si è maggiormente diffusa l’azione dei naxaliti. Così come avviene nel Chhattisgarth dove le compiacenti autorità locali hanno concluso accordi per mettere a disposizione dei gruppi industriali (Essar, Tata…) vasti terreni per installarvi acciaierie e miniere. Nel 2009 il ministro dell’Interno lanciava una vasta operazione militare (denominata Greenhunt) per sradicare la resistenza nelle regioni del centro e dell’est del paese. Oltre alle forze locali di polizia, venivano mobilitati circa 100mila tra soldati e paramilitari con l’obiettivo di occupare militarmente i territori e consentire la realizzazione delle attività economiche previste. Strategia pubblicamente dichiarata: “ripulire, controllare, costruire”. Effetto collaterale, l’evacuazione forzata di migliaia di tribali che si erano rifiutati di cedere la Terra ai gruppi industriali e alimentari.
Vishwa Adivasi Divas
Una scadenza a cui regolarmente aderisce il Partito comunista dell’India (maoista) è la Vishwa Adivasi Divas ( “Giornata Mondiale dei Popoli Indigeni”). Anche quest’anno (2019) i naxaliti hanno rivolto un appello ai tribali (adivasi) che celebrano tale ricorrenza chiedendo di farne una “giornata di lotta per proteggere i diritti e la identità delle tribù”. Niente di nuovo.
Ho ripescato un comunicato (due pagine) di qualche anno fa. Sainath, all’epoca segretario della divisione di Darbha (distretto di Bastar nello stato di Chhattisgarh) denunciava che gli adivasi (circa ottanta milioni, l’8% della popolazione indiana) “non sono indù e tuttavia le forze fasciste braminiche minacciano l’identità, l’esistenza e i diritti delle tribù e per questo Vishwa Adivasi Divas va considerata come un giorno di lotta contro tali minacce”.
Un messaggio che suonava come un avvertimento al governo indiano e alle sue politiche di “sfruttamento della popolazione tribale, violazioni dei loro diritti nel tentativo di distruggerle, annichilirne la stessa esistenza oltre che l’identità”.
Parole – se vogliamo – vagamente inquietanti, pensando ai precedenti. Il comitato della divisione di Darbha era uno dei più temuti dalle forze militari. Nel 2013 si rese responsabile dell’attacco a Jhirum Ghati di un convoglio del Congresso, attacco che causò la morte di 32 persone (tra cui alcuni leader politici di tale partito indiano).
Nel comunicato si ricordavano e condannavano anche gli episodi di “linciaggi mafiosi – causati dal fondamentalismo indù – e altre atrocità commesse contro dalit (paria nda) e adivasi”.
Così come la “cessione di terre e foreste tribali a imprenditori privati e alle multinazionali da parte del governo”.
Chiamandole alla lotta, i naxaliti ricordavano alle popolazioni tribali che “non siete soli, noi siamo al vostro fianco”.
Ma a quale genere di lotta si riferiscono i naxaliti nei loro appelli?
Stando alle preoccupate dichiarazioni di alcuni funzionari delle unità Anti-Naxal, questi comunicati avevano “tutta l’aria di un appello all’insurrezione”.
Ancora un inciso. Riporto per esteso le critiche (peraltro amichevoli e costruttive) di Sunil Deepak a un mio intervento*** sulla scomparsa delle lingue indiane tradizionali in cui esprimevo simpatia per l’operato dei naxaliti.
“I maoisti e le tribù: questa è la parte dell’articolo di Sartori con la quale mi sento in leggero disaccordo. Dalle parole di Sartori emerge una visione romantica della lotta dei maoisti accanto ai poveri delle tribù sfruttati e calpestati dalle multinazionali con il benestare del governo. Anche Arundhati Roy aveva scritto alcuni articoli su questo tema, che lui ha citato. In un articolo lei aveva descritto i maoisti come gli eredi di Mahatma Gandhi. Ammiro molto Arundhati Roy ma non concordo con queste sue parole.
Ho avuto 3 occasioni di entrare nei territori controllati dai maoisti, 2 volte in India e una volta nel Nepal. Penso che siano persone accecate dalla ideologia, brutali e violente, sicuramente non migliori e forse peggiori dal sistema che dichiarano di voler cambiare. Il loro controllo sulle tribù nelle aree occupate era ferreo e spietato. Penso che chiamarli eredi o seguaci di Mahatma Gandhi vuol dire non capire la filosofia di Gandhi.
L’India delle caste, degli esclusi e dei sfruttati deve cambiare, ma non con una rivoluzione violenta che vuole sostituire il sistema democratico con un sistema totalitario basato sulle idee di Stalin o di Mao”.
Prendo nota. Ovviamente, in quanto libertario e consiliare (ex – sottolineo ex – anarchico), nutro qualche riserva – soprattutto di metodo – nei confronti sia del maoismo che del leninismo (non dimentico Kronstadt nel 1921, tantomeno il maggio ’37 di Barcellona).
Ma ritengo vada comunque riconosciuto che senza i naxaliti per gli adivasi il destino sarebbe stato quello degli indiani d’America o degli aborigeni australiani. Ossia deportazione, etnocidio…nella migliore delle ipotesi venir rinchiusi in qualche riserva. Chissà, magari un giorno i naxaliti (attualmente circa 15mila in armi) adotteranno anche loro il Confederalismo democratico (come – pare – stia avvenendo per alcuni maoisti turchi in Rojava…). Staremo a vedere.
Comunque vada, intanto la lotta continua. Anche se il prezzo lo pagano – ordinaria amministrazione – soprattutto i diseredati e i militanti.
Ripercorrere a ritroso alcuni degli eventi più recenti (gli ultimi mesi di quest’anno) può darne un’idea.
22-23 Settembre 2019: almeno cinque i militanti maoisti uccisi in due giorni dalle unità di èlite “Greyhounds” della polizia dello stato di Andhra Pradesh nella zona di frontiera tra l’Andhra e l’Orissa (Odisha in lingua hindi, noto anche come meta turistica per “visitare” le tribù dravidiche). Tre il giorno 22 (tra cui due donne) durante uno scontro nel distretto di Visakhapatnam) e altri due il giorno successivo durante un rastrellamento. Recuperati dalla polizia alcuni fucili automatici, pistole, un AK47 (fucile d’assalto Kalashnikov)
13-14 settembre: Sarebbero almeno sei i naxaliti uccisi – nel corso di tre distinti scontri a fuoco – nella regione del Bastar (Chhattisgarh) tra il 13 e il 14 settembre.
Nella notte del 13 (verso le 23,30), due maoisti (Lachu Mandavi e Podiya, membri del comitato locale di Malangi) già ricercati e sulla cui testa era posta una consistente taglia, venivano intercettati e – dopo essere in un primo momento riusciti a sganciarsi – abbattuti in una foresta presso il villaggio di Kutrem (distretto di Dantewada).
Un altro guerrigliero veniva ucciso il mattino del giorno successivo in una foresta nei pressi del villaggio di Punnur (distretto di Bijapur). Obiettivo dell’operazione anti-guerriglia era la cattura di un importante comandante maoista segnalato nella regione. Verso sera, durante un altro scontro a fuoco in una foresta di Tadmetla-Mukram nullah, altri tre naxaliti venivano colpiti a morte. Qui la polizia era intervenuta per eliminare un posto di blocco dei maoisti sulla strada per Tadmetla.
28 Agosto: ricercato da più di dieci anni, il militante maoista Rakesh Sodhi (sulla cui testa era posta una taglia di 800mila rupie) è stato ucciso durante uno scontro a fuoco in un accampamento naxalita nella foresta di Pakanguda (Malkangiri). Nella stessa circostanza sarebbe rimasta gravemente ferita un’altra persona (un “paramilitare” sulla cui identità mancano dettagli precisi). La sparatoria è avvenuta nel corso di un rastrellamento operato dal gruppo delle operazioni speciali (SOG) e dalla Forza volontaria di distretto (DVF, a cui forse apparteneva quello ferito gravemente). Tra i principali dirigenti del Comitato speciale delle zone di frontiera di Andhra-Orissa, Rakesh Sodhi era ritenuto responsabile di almeno una dozzina di attacchi opera della guerriglia. In particolare di quello che nel luglio 2008 aveva causato la morte di 17 membri delle Forze speciali a Kalimela (Malkangiri).
Il 24 agosto cinque maoisti sono stati uccisi durante uno scontro a fuoco nella giungla di Dhurbeda (Abujhmad, a 350 chilometri da Raipur) con forze antiguerriglia composte dalla Guardia di riserva del distretto di Narayanpur (DRG) e dalle Forze di intervento speciale (FST).
Narayanpur (nella regione del Bastar, Stato del Chhattisgarh) è uno dei distretti in cui la guerriglie maoista è più forte e organizzata.
In precedenza, il 21 agosto, un altro naxalita era stato ucciso nel corso di una operazione anti-guerriglia nella giungla di Burgula (Manuguru, circoscrizione di Pinapaka)
Altra vittima maoista il 9 agosto, sempre in uno scontro a fuoco, nella foresta di Tholkobera (distretto di West Singbhum, stato di Jharkhand). Qui veniva anche scoperto un deposito di armi (alquanto modesto: tre fucili, di cui due da caccia e munizioni). L’operazione era stata pianificata e condotta congiuntamente dal 94° battaglione della CRPF e dalla polizia di Jharkhand.
Solo tre giorni prima sette guerriglieri erano stati uccisi nel Chhattisgarh. Le forze speciali della polizia avevano aperto il fuoco contro l’accampamento di una quarantina di maoisti nella foresta di Sailpar (distretto di Rajnandgaon a circa 70 chilometri dalla capitale, Raipur). Oltre ai sette cadaveri, sono stati recuperati un AK-47, due fucili e alcune armi rudimentali.
Il Chhattisgarh, stato ricco di minerali ma poverissmo, è uno degli stati indiani (Maharashtra, Odisha, Jharkhand, Bihar…) in cui la guerriglia naxalita è maggiormente radicata. Per questo il governo vi ha dislocato decina di migliaia di poliziotti e corpi speciali nella vana speranza di eliminare gli insorti.
Alla fine di luglio, invece, era stato un membro del corpo paramilitare denominato CRPF a perdere la vita colpito dall’esplosione di un ordigno artigianale (IED) nel distretto di Bastar (Chhattisgarh).
Qualche giorno prima, altri quattro militanti (di cui tre donne) integrati nella guerriglia erano state uccisi. Lo scontro a fuoco con le forze di sicurezza si era svolto nella foresta di Sendhbehra nella regione di Mechka (distretto di Dhamtari). Secondo la polizia ai quattro combattenti era stata data la possibilità di arrendersi. Notizia questa alquanto improbabile, conoscendo i metodi delle forze speciali.
Sempre alla fine di luglio, veniva messo in libertà Konnath Muralidharan più conosciuto come “compagno Ajith”.
Sospettato di essere un fiancheggiatore dei maoisti, era stato arrestato nel 2015 e rinchiuso a Yerawada. In precedenza la sua liberazione veniva sistematicamente bloccata – con vari cavilli burocratici – dalla Corte suprema.
Come già visto, è alquanto significativa la presenza delle donne nei ranghi guerriglieri. Kuram Bhime – comandante maoista di un battaglione della PLGA – è stata uccisa (presumibilmente intorno al 10 luglio) in combattimento nelle foreste del distretto di Sukma (Chhattisgarh). Su questa compagna – la sesta donna maoista uccisa nel 2019 – da anni gravava il peso di una consistente taglia. La sua arma, ora recuperata dai corpi speciali (una brigata dei commando COBRA**, soldati della Special Task Force e della District Reserve Guard) risaliva all’attacco guerrigliero di Tadmetal nel 201
Paradossale la notizia del 3 luglio. Già detenuto a Pune (Maharashtra) e accusato di “sedizione”, il poeta e militante Varavara Rao è stato nuovamente interpellato per essere poi posto in detenzione provvisoria dalle autorità di Karnakata. Contemporaneamente veniva arrestato Gaddar, altro poeta e militante comunista.
I due sono accusati di aver preso parte ad un attacco della guerriglia maoista – risalente al febbraio 2015 – in cui avevano perso al vita sette soldati. Per P. Hemalatha, moglie del poeta e militante, si tratterebbe soltanto di pretesti per prolungare la detenzione del marito.
A fine giugno era la guerriglia maoista a colpire. E duramente. Tre membri della CRPF venivano uccisi nel distretto di Bijapur (Chhattisgarh). Stando alle dichiarazioni ufficiali, una brigata congiunta del battaglione 199 e della polizia locale era intenta a una operazione di controllo del territorio quando cadeva in un’imboscata. Prima di ritirarsi i guerriglieri si sono impadroniti delle armi dei soldati caduti.
Sempre a fine giugno tre presunti militanti maoisti, in carcere dal 2005 e condannati all’ergastolo, venivano assolti dalle accuse e due di loro (nel frattempo l’altro era deceduto) rimessi in libertà.
Sushil Roy, Patitpaban Haldar e Santosh Debnath erano stati arrestati 14 anni fa nella regione di Jangalmahal (Bengala occidentale) con l’accusa di aver sobillato la popolazione invitandola a prendere le armi contro il governo.
In loro possesso venivano trovati, oltre a vari libri ispirati al maoismo, munizioni e un candelotto di gelatina.
Processati per “sedizione”, erano stati condannati alla pena perpetua in base all’Arms Act. Nel 2006 i loro avvocati avevano interposto appello, ma solo nel giugno 2019 (dopo 14 anni di galera) la Calcutta High Court li ha riconosciuti innocenti rispetto a tutte le accuse. Patitpaban Haldar e Santosh Debnayh hanno così potuto lasciare il carcere. Sfortunatamente l’altro imputato, Sushil Roy, era nel frattempo deceduto (nel 2014).
E quasi contemporaneamente – il 19 giugno – un’altra guerrigliera cadeva nel Bastar. Seema Mandavi, comandante del Sitanandi Area Committee, era accusata di molti reati, anche omicidi nei confronti delle forze dell’ordine. Informate della presenza di una ventina di guerriglieri alla frontiera tra i distretti di Dhamtari e di Kander, le autorità inviavano una brigata della Special Task Force per intercettarli. Verso le sei-sette del mattino, dopo circa trenta minuti di scambi di colpi, i maoisti avrebbero scelto di ritirarsi.
Di seguito, mentre rastrellavano la zona, i militari hanno scoperto il corpo senza vita di Seema Mandavi. Accanto a lei un fucile Insas e due caricatori.
Nella notte tra il 14 e il 15 giugno, le forze di sicurezza della Border Security Force erano riuscite catturare (dopo lunghi appostamenti e uno scontro a fuoco con la guerriglia) Chandra Sisa (Chandan), militante maoista attivo nel distretto di Malkangiri (Odisha)
Membro dell’Andhra-Odisha Border Special Zonal Commitee del PCI (maoista), Chandan era ricercato da lungo tempo anche se finora era sempre riuscito a sfuggire alla cattura.
Verso la metà di giugno ancora spargimento di sangue. Cinque poliziotti – tra cui due ispettori – del commissariato di Tiruldih sono stati uccisi da guerriglieri maoisti (anche se permane ancora qualche dubbio sulla reale identità del commando) in un’imboscata vicino alla frontiera tra Jharkhand e Bengala occidentale.
Allo stesso periodo (11 giugno) risale la cattura di due sessantenni, la cosiddetta “coppia maoista”: Kiran Kumar e sua moglie Narmada (Krishna Kumari). Entrambi in clandestinità da più di venti anni, ritenuti membri del Comitato regionale del PCI (maoista) e su cui da tempo pendeva una taglia. L’operazione, condotta dalla polizia di Maharashtra, si è svolta nello stato del Telengana. I due erano ricercati in quanto ritenuti responsabili di aver organizzato l’attacco del mese precedente contro Bhima Mandavi, parlamentare del BJP (nel distretto di Dantewada, Chhattisgarh).
Erano inoltre sospettati di aver preso parte – il 1 maggio – a un’azione contro le forze di polizia nel distretto di Gadchiroli.
Krishna Kumari era conosciuta come responsabile del KAMS (Krantikari Adivasis Mahila Sanghatan), la “brigata culturale” dei maoisti.
Il 4 giugno 26 persone, tra soldati della CRPF e poliziotti (la maggior parte membri del battaglione CoBRA o della Special Task Force di Jarkhand) sono rimasti feriti per l’esplosione di alcuni ordigni rudimentali (IED) tra i rilievi collinari di Rai Sindri del distretto di Sarikela-Kharsawan. Nessuna traccia dei guerriglieri nonostante i repentini rastrellamenti nell’area.
Pochi giorni prima (il 28 maggio), in un episodio dalla medesima dinamica, altri 15 soldati erano rimasti feriti per un IED nel distretto di Kharsawan (Jharkhand). In questo caso i maoisti avevano poi aperto il fuoco contro i militari. Anche in questa circostanza la zona era stata immediatamente rastrellata per opera, oltre che della polizia locale, dei corpi speciali delle unità CoBRA e Jharkhand Jaguar.
Contemporaneamente due guerriglieri armati di archi e frecce (Kawasi Masa di 26 anni e Kudami Hadma di 25, su entrambi pendeva una taglia) venivano arrestati nella regione di Katekalyan (distretto di Dantewada, Chhattisgarh). Sono accusati di aver organizzato riunioni e incontri tra la popolazione e i maoisti e di aver sabotato i binari di alcune ferrovie.
La polizia locale, rinforzata da esponenti del battaglione 195 della CRPF, aveva individuato un raduno di numerose persone che poi in maggioranza – tranne i due catturati – sono riuscite a fuggire.
Il 20 maggio due membri della Special Auxiliary Police del Jharkhand sono rimasti feriti in uno scontro a fuoco con i maoisti nel distretto di Seraikela-Kharswan. Stando alle dichiarazioni delle forze dell’ordine, anche diversi guerriglieri sarebbero rimasti feriti. A conferma, durante l’immediato rastrellamento, sono state rinvenute cospicue tracce di sangue lungo i sentieri utilizzati dai maoisti per sganciarsi.
Mi fermo qui anche se, ovviamente, la lista sarebbe lunghissima.
Concludo con una considerazione.
In questo tragico, pluridecennale contenzioso che vede le popolazioni indigene (adivasi), i diseredati senza casta (dalit) e i guerriglieri maoisti (naxaliti) contrapporsi, resistere al governo indiano e alle multinazionali (e ai loro programmi di sfruttamento, devastazione ambientale e sterminio) un termine appropriato mi pare sia “stillicidio”.
Uno stillicidio sanguinante, doloroso che – di giorno in giorno – allunga il rosario delle vittime. Soprattutto tra la popolazione civile e i combattenti maoisti (ma anche tra le forze dell’antiguerriglia, esercito e polizia).
A trarne vantaggio e profitto, come da manuale, classi dominanti (alti gradi militari in particolare) e multinazionali.
Usque tandem?
*nota 1: La strategia politica di Charu Mazumbar, sviluppata sulla base del pensiero di Mao Zedong, prevedeva di innescare – attraverso la guerriglia contadina – una percorso insurrezionale. Al fine di creare “zone liberate” in un territorio coperto da foreste e montagne.
Come appunto la regione prescelta di Naxalbari, dove si mantiene vitale un tradizionale spirito di ribellione contro i grandi proprietari terrieri da parte delle comunità agricole tribali, gli adivasi (meno sottoposti alla gerarchia delle caste rispetto agli agricoltori poveri o forse solo meno “addomesticati”). Va sottolineato come nella loro resistenza contro gli espropri delle terre ancestrali, gli adivasi hanno avuto il valido supporto della guerriglia naxalita.
**nota 2: Il Commando Battalion for Resolute Action (CoBRA) è una brigata della CRPF specializzata in contro-insurrezione.
***nota 3 (questo, in parte, l’articolo “incriminato”):
LINGUE E POPOLAZIONI MINACCIATE DAL PROGRESSO
Ancora negli anni ottanta alcuni studiosi baschi avevano sottolineato come la trasformazione del paesaggio tradizionale in Euskal Herria coincidesse con la perdita dell’euskara, la lingua più antica d’Europa.
Un fenomeno analogo viene oggi analizzato in molte regioni dell’India. Lo storico Rozenn Milin, fondatore del progetto Sorosoro (“soffio, parola, lingua” in araki) sostenuto dalla Fondation Chirac, è rimasto molto colpito osservando “fino a che punto le carte della biodiversità linguistica si sovrappongono a quelle della biodiversità della fauna e della flora”. E come entrambe siano minacciate nella loro sopravvivenza (…).
Secondo un rapporto dell’Unesco, le lingue minacciate in India sarebbero 196 su un totale di 1635. Tra queste 37 sono attualmente parlate da meno di mille persone. Nella maggior parte dei casi si tratta di lingue unicamente orali che non dispongono di dizionario e grammatica. In India il multilinguismo è un elemento fondante dell’identità nazionale, ma soltanto l’hindi, l’inglese e altre 22 lingue regionali, riconosciute dalla Costituzione, vengono utilizzate per l’insegnamento (…). Un fattore decisivo, più ancora del calo demografico e della diffusione della televisione, sarebbe rappresentato dalla “diluizione sociale” provocata dalla costruzione di strade (come quelle della National mineral development corporation nelle foreste del Dantewada) che irrompono nei territori delle comunità indigene (…).
Gli Adivasi, le popolazioni indigene della “cintura delle foreste” dell’India centrale (detta anche “cintura tribale”) non rischiano di perdere soltanto linguaggio e identità.
In gioco è la loro stessa sopravvivenza.
Su questi territori si è posata la cupidigia delle multinazionali, desiderose di impossessarsi dei ricchi giacimenti di minerali grazie ai Memorandun d’intesa (Mou) stipulati con il governo. Tra i casi più drammatici, le colline dell’Orissa abitate dai kondh e ricche di bauxite. E, come per la biodiversità e le lingue ancestrali, altre due mappe coincidono. Quella della “cintura tribale” si sovrappone al “corridoio rosso”, i territori in cui la resistenza degli adivasi opera in sintonia con i guerriglieri maoisti del Pci-m, i “naxaliti” (…).
Fonte foto: indiatoday.it (da Google)