Insieme all’irrigazione a goccia e al pomodoro ciliegino ci sono poche cose di cui Israele è più orgoglioso di quelle che definisce le “uccisioni mirate”, e che di fatto sono degli omicidi commessi dallo stato. A eccezione degli Stati Uniti, dell’Arabia Saudita e della Russia, pochi stati uccidono i propri avversari o nemici, e certamente non raggiungono i numeri di Israele. Dal 2000 le forze israeliane hanno assassinato in operazioni pianificate e mirate circa settanta palestinesi, alcuni dei quali erano evidentemente degli attivisti e non dei miliziani.
Il 27 novembre il professore iraniano Mohsen Fakhrizadeh, uno scienziato nucleare, è stato ucciso alla periferia della capitale Teheran in circostanze ancora da chiarire, ma l’Iran ha subito accusato Israele.
Non è stato il primo omicidio di uno scienziato iraniano. Negli anni ne sono stati uccisi una decina, e dietro la morte di alcuni di loro, se non di tutti, c’è Israele. E cos’ha detto il primo ministro Benjamin Netanyahu subito dopo la morte di Fakhrizadeh con un sorrisetto malizioso? “È stata una settimana di successi”.
Questi “successi” scatenano l’immaginazione. Il 27 novembre accendendo la tv sul canale 12, si poteva seguire la discussione di un gruppo di persone importanti: si era trattato di “pistoleri”, come sosteneva l’analista militare, o di un potente esplosivo, come affermava l’esperto di questioni arabe?
Vietato fare domande
Solo una questione non è stata sollevata: queste uccisioni mirate sono o meno legittime? Il fatto stesso di chiederselo è considerato un’eresia, un tradimento. Non è stato forse legittimo uccidere il dottor Thabet Thabet, dentista e capo del partito politico palestinese Al Fatah, a Tulkarem nel dicembre 2000? Non era forse lecito assassinare Khalil al Wazir (noto come Abu Jihad, tra i fondatori di Al Fatah) nel suo letto davanti alla moglie e ai figli a Tunisi nel 1988?
Per favore, non fate ridere gli adepti israeliani del culto della sicurezza. Certo che era lecito. A Israele tutto è concesso. I palestinesi che hanno organizzato l’uccisione del ministro del turismo israeliano Rehavam Zeevi sono stati condannati all’ergastolo. Gli assassini di Abu Jihad sono diventati ministri ed eroi. Zeevi ha sparso più sangue innocente di quanto non avesse mai fatto Abu Jihad.
Anche delle finalità e dell’utilità di queste uccisioni si discute a malapena. Il fatto che queste operazioni siano condotte come in un film di James Bond e che dietro di esse ci siano i servizi segreti, il glorioso Mossad e lo Shin bet, basta a chiudere ogni dibattito. Se un’operazione va così a buon fine come quella del 27 novembre è segno che era permessa e che ne valeva anche la pena. Tutte le altre domande sono semplicemente sovversive.
Eppure bisogna chiedersi: cosa sarebbe successo se degli agenti stranieri avessero fatto fuori i professori israeliani Israel Dostrovsky, Ernst David Bergmann, Shalhevet Freier o Shaul Horev, gli equivalenti israeliani dell’iraniano Fakhrizadeh? Cosa avrebbe detto Israele? E come avrebbe reagito lo stato? Avrebbe interrotto il suo programma nucleare? Non avrebbe forse lanciato azioni di ritorsione in tutto il mondo?
In merito alla vicenda la scorsa settimana Amos Yadlin, ex generale dell’aeronautica israeliana e oggi direttore dell’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale all’università di Tel Aviv, ha twittato: “Quell’uomo gestiva tutti gli aspetti delle attività nucleari illegittime dell’Iran”. Una domanda: ci sono “attività nucleari illegittime israeliane”? Se la risposta è sì, anche il suo responsabile meriterebbe di essere ucciso? E se invece è no, questo non vuol dire forse che a Israele tutto è concesso, compreso quello che non è permesso a nessun altro stato nel mondo?
Fonte articolo: https://www.internazionale.it/opinione/gideon-levy/2020/12/12/israele-mohsen-fakhrizadeh