Per una corretta analisi del nazionalismo ( borghese, o filo-socialista che sia … ) di quello che era ( ed in parte è ancora, culturalmente e politicamente ) il mondo persiano, proporrò una riflessione sulla situazione politica dal 1978-’79 in poi. Innanzitutto bisogna fare le dovute distinzioni fra Khomeini ed il khomeinismo anche perché se non si affronta in modo preciso (seppur estremamente sintetico) questo spinoso argomento diventa impossibile assumere una corretta posizione.
Inizio col dire, in estrema sintesi, che (1) Khomeini era un uomo di Stato duro, un patriota che ha contribuito a rendere indipendente l’Iran dall’imperialismo e dal sionismo israeliano ( o meglio, ha sganciato l’Iran dal progetto geo-politico sionista ) in una prospettiva, potremmo dire, di “real politik borghese-capitalistica”. Da qui la messa al bando delle forze comuniste ( moltissimi comunisti del Tudeh morirono nelle carceri della Repubblica Islamica ) per impedire uno sbocco socialista della rivolta del 1979. Il suo potrebbe essere definito una forma di nazionalismo “nazional-conservatore” o “nazionalconservatorismo”, che dir si voglia. L’impronta del pensiero di Khomeini – pieno di concezioni filosofiche di alto livello – è di tipo etico-religioso, il principio della supremazia religiosa sulla politica, per un socialista o antimperialista radicale, è inaccettabile ( molti pensatori islamici di sinistra, come anche Mahmud Muhammad Taha, lo respingono ).
Se è vero che il nazionalismo di Khomeini ha svolto un importante ruolo anti-colonialista, è altrettanto vero che l’ayatollah in questione non disprezzava larghe alleanze geo-politiche ( cosa che un antimperialista non può che guardare con sospetto ) ed osteggiava le forze laiche di matrice nasseriana.(2)
Il khomeinismo invece, nella sua totalità, comprende gli aspetti contraddittori del regime di Khomeini, fino alle sfumature più complesse del suo pensiero filosofico e politico come la teoria dell’imam nascosto. Venuto meno il capo carismatico ( che ha avuto, indubbiamente, meriti indiscussi ) questi aspetti si scindono; da un lato abbiamo correnti nazionali e borghesi, dall’altra parte della barricata forze anti-capitalistiche e antimperialistiche che radicalizzano lo spirito anti-coloniale ed anti-assolutista della rivolta islamica contro lo Scià. Quindi una cosa è il “nazionalismo interclassista’’ di Khamenei o la svolta a destra di Hamas ( che, non dimentichiamoci, è una costola della Fratellanza Musulmana, seppur particolarmente radicale e sinceramente anti-sionista ) , un’altra ( diametralmente opposta ) l’anticapitalismo socialisteggiante degli Hezbollah.
Porto un esempio che appartiene ad un contesto completamente diverso: prendiamo Peron ed il peronismo. Peron era un simpatizzante di Mussolini ma ( e per fortuna ! ), date le circostanze storiche, operò un’ ampia redistribuzione dei redditi e sganciò l’Argentina dal sistema neo-coloniale americano. Il suo regime era nazionale e borghese, lui stesso restava un simpatizzante di Mussolini, però le masse argentine, grazie alla retorica anti-coloniale di marca giustizialista, si erano radicalizzate al punto da aspirare alla realizzazione di una inedita forma di socialismo nazionale o meglio di socialismo patriottico. Caduto il leader carismatico, anche in questo caso gli elementi che convivevano in netta contrapposizione all’interno del regime, ben strutturato e centralizzato, si scindono e vanno in direzioni opposte. Quindi a sinistra abbiamo Jorge Masetti a cui Ernesto Guevara affida il compito di organizzare la guerriglia in Argentina e i Montoneros che costituiranno un Fronte Unico Militare coi guevaristi dell’ERP, e a destra il nazismo della Tripla A legato agli apparati di intelligence yankee.
Questo è un esempio molto eloquente dato che Peron può essere collocato molto più a destra di Khomeini come leader borghese; se Khomeini era un sincero anti-sionista ed anti-colonialista, Peron rimase fino alla fine un leader autoritario e la sua amicizia con Franco sta a dimostrarlo. Ovviamente la questione è complessa ma spero che questo esempio possa fornire un’ idea chiara di come affrontarla in modo analitico e serio. La seconda domanda a cui voglio rispondere è questa: come collocare, oggi, la Repubblica Islamica dell’Iran?
Gli imperialisti, statunitensi ed israeliani, hanno sfruttato al meglio le correnti sciovinistiche interne al Ba’th irakeno ed al khomeinismo nello scatenare la guerra Irak-Iran. Anche le frizioni Siria-Irak, governate da due correnti diverse del Ba’th, avevano alla base spinte di matrice nazionalistica, a dispetto dei programmi di riforma sociale interni applicati dai partiti baathisti in quegli anni. Non voglio negare che si trattò di una guerra imposta all’Iran nei confronti del quale va il mio appoggio, dico solo che se Kissinger si fece uscire di bocca ‘’vogliamo dissanguare entrambi i paesi’’ un motivo ci sarà stato. Inutile ripetermi: Saddam accettò, di lì a poco, di diventare un “cane da guardia” per gli Usa (fino al giorno in cui lo scaricarono come a Washington, notoriamente, si fa ), abbandonando il “socialismo arabo” delle origini.
Insomma, non dovrebbe essere una sorpresa ‘’scoprire’’ che l’imperialismo cerca di sgretolare un regime indipendente e sovrano contrapponendo fazioni portatrici di concezioni ideologiche diverse: così fu per il nasserismo ed il baathismo, così fu per il khomeinismo, così è oggigiorno per il bolivarismo latino-americano. Penso che non ci sia nulla di nuovo sotto il sole, bisogna solo capire che non esistono blocchi omogenei e che il conflitto di classe, tante volte, si presenta in modalità differenti e di non facile lettura.
In Iran, l’ex presidente Ahmadinejad, proviene dagli apparati militari ( i Pasdaran antimperialisti che si formarono durante la guerra contro l’Irak, intrisi di un forte sentimento anti-americano ) e, perseguendo una politica interna di ‘statalismo sociale’, ed estera contrassegnata dall’anti-sionismo e dall’anti-americanismo, entrò in rotta di collisione con il mondo capitalistico occidentale. Il blocco storico (volendo utilizzare categorie gramsciane ) che reggeva Ahmadinejad era sicuramente di tipo nazional-popolare, con un appoggio particolarmente importante da parte di consistenti settori di classi lavoratrici concentrate non nelle metropoli come Teheran ma nelle periferie. L’ex presidente iraniano, pressato dall’imperialismo e sostenuto da queste classi sociali subalterne, non ha potuto che perseguire una sorta di ‘via venezuelana all’antimperialismo’, forte del suo “messianesimo” anti-clericale che lo avvicina molto all’Islam Rosso di Ali Shariati.
La dialettica interna alla Repubblica Islamica vede a sinistra il presidente uscente che è stsato capace di mobilitare la classe lavoratrice iraniana ed i così detti “senza scarpe”, e a destra, prima Rafsasjani ed ora Rohani, che mirano ad una modernizzazione capitalistica autonoma puntando sul nazionalismo (espansionista) persiano. Rohani – scrivevo nel 2013 – dovrà abbandonare il forte antimperialismo di Ahmadinejad perché la modernizzazione industriale richiede l’abbraccio delle teorie sulla coesistenza pacifica ( con imperialismo e sionismo ), ma non potrà fare molte concessioni, né agli Usa e né ad Israele, ne vale il futuro della potenza ( capitalistica ) iraniana. Ciò che cambieranno saranno le politiche interne: Ahmadinejad varò riforme strutturali di tipo semi-socialista ( nazionalizzazioni e politiche anti-borghesi ), mentre Rohani darà ossigeno ai ceti medi ed alla piccola borghesia filo-occidentale che, nel 2009, animò l’onda verde, protesta reazionaria ( non di massa ! ) per molti aspetti simile alle rivoluzioni colorate pilotate dagli USA. Nel 2016 l’Iran, da un lato, ha continuato a sostenere, in Yemen, Palestina, Libano e Siria, le resistenze antimperialiste ma, internamente, ha normalizzato i rapporti con la borghesia del bazar con cui Ahmadinejad era entrato in rotta di collisione. L’Iran resta un baluardo dell’antisionismo ma la “modernizzazione” modello “venezuelano’’ è stata abbandonata. Ci sono le condizioni per spostare nuovamente l’ago della bilancia a sinistra? Al momento non è possibile rispondere.
Nel mondo coloniale e post-coloniale non sempre la religione è l’oppio dei popoli. Dovendosi difendere dal colonialismo occidentale, i popoli sottoposti a tale dominio, spesso, sono stati sostenuti dalle istituzioni religiose e da questa sorta di connubio sono talvolta scaturire delle vere e proprie correnti socialiste. Non è un caso che già nel Congresso di Baku del 1920, il Presidente dell’Internazionale Comunista Zinovev invitò i popoli arabi a sventolare la jihad contro l’imperialismo britannico. Tutti aspetti che chi è intriso di ostilità nei confronti del variegato mondo islamico, come anche larghi settori della sinistra occidentale, non riuscirà mai a comprendere.
Che dire? Dal mio punto di vista, solo un cadavere politico come la sinistra europea non poteva capire questi processi, diventando, per l’ennesima volta, la ruota di scorta dell’imperialismo americano. La mia opinione è la seguente: se gli antimperialisti hanno bisogno dell’Iran, l’Iran dovrebbe capire che – sulle orme di Ali Shariati – non può rifiutare il dialogo con le forze socialiste e marxiste, fuori ma soprattutto dentro l’Iran.
Le Resistenze islamiche appartengono alla sinistra
Portata a termine la Rivoluzione islamica l’ayatollah Khomeini fa sue due grandi battaglie contro il capitalismo occidentale: (1) la decolonizzazione della Palestina storica. (2) la Resistenza sandinista all’imperialismo statunitense. Quindi se – come dicevo prima – la politica interna fu di tipo nazional-conservatore, quella estera decisamente progressista. Su scala internazionale, più volte, i marxisti – pensiamo al Partito comunista libanese e al Fronte popolare di liberazione della Palestina – si sono trovati dalla stessa parte dei musulmani sciiti.
Molti storici notano come il nazionalismo occidentale fosse del tutto alieno al mondo islamico e lo stesso Khamenei non ha disdegnato di paragonare il fascismo al sionismo. Quando Israele attaccò la Freedom Flottilla l’Imam disse giustamente che il sionismo israeliano è una nuova forma di fascismo. Parole eloquenti che vanno a braccetto con l’adesione giovanile di Hassan Nasrallah alla gioventù comunista libanese e con l’appoggio del Partito comunista libanese alla Resistenza degli Hezbollah. Del resto la Resistenza palestinese ha visto l’alleanza, addirittura interna, fra forze islamiche ( Hamas e la Jihad islamica palestinese ) con forze marxiste ( Fronte popolare di liberazione palestinese e Fronte democratico di liberazione palestinese ). So bene ( e sono profondamente critico verso tali pregiudizi) che sia Khomeini quanto i religiosi di Hamas erano irrimediabilmente anticomunisti, ma di fronte alla conflittualità imposta dalla situazione oggettiva, anche l’anticomunismo e le mere proiezioni ideologiche, hanno i propri limiti.
Leggiamo cosa dice proprio Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, sul rapporto fra l’Islam e il socialismo. Riporto tre stralci tratti di una sua intervista.
“Parecchio tempo fa il movimento socialista ha preso le sue distanze dalla lotta internazionale. Oggi, per contro, esso inizia a ridarci qualche speranza. L’esempio più concreto è il sostegno portato dal presidente del Venezuela, Hugo Chavez. Il richiamo del suo ambasciatore in Israele è un atto che perfino diversi stati musulmani non hanno osato proporre. Inoltre, Chavez ha portato il suo sostegno alla nostra resistenza in modo esplicito. Questa dichiarazione di Chavez ci ha notevolmente incoraggiato. Abbiamo potuto constatare lo stesso atteggiamento da parte del movimento rivoluzionario turco. Negli anni ’60, fratelli socialisti turchi erano andati in Palestina per combattere contro Israele. Uno di loro continua a vivere nella mia memoria e nel mio cuore: è Deniz Gezmis! (*)’
‘Noi vorremmo vedere nuovi Deniz tra noi. I nostri ranghi avranno sempre un posto per accogliere nuovi Deniz. Deniz vivrà per sempre nel cuore della Palestina e del Libano. Nessuno può dubitarne. Sfortunatamente, dobbiamo constatare che la fraternità di una volta che esisteva tra coloro che combattevano il nemico comune non è più così vivace. Noi vorremmo poter combattere l’imperialismo e il sionismo, fianco a fianco, con i nostri fratelli socialisti libanesi. Poiché questa guerra non è solo nostra. È un conflitto comune a tutti gli oppressi del mondo. Non dimenticate che se la Palestina e il Libano perderanno questa guerra, sarà una sconfitta per ogni popolo sfruttato. Nella nostra lotta contro l’imperialismo, i rivoluzionari devono assumersi responsabilità e devono ridiventare dei “Deniz” nel cuore dei popoli libanese e palestinese’
‘Noi vogliamo salutare i popoli dell’America latina e i loro dirigenti. Hanno sempre opposto resistenza ai briganti del Nord, in modo eroico. La loro lotta costituisce una sorgente di speranza per noi. Essi mostrano la via da seguire a tutti i popoli oppressi. Camminate sulle nostre strade: vedrete che il nostro popolo porta Chavez ed Ernesto Che Guevara nel suo cuore. Agli amici socialisti che scelgono di battersi con noi per la fraternità e la libertà, noi diciamo che se è per dirci che “la religione è l’oppio dei popoli”, non vale la pena che vengano. Noi rifiutiamo tali concezioni. Tuttavia, al di là delle differenze, teniamo raccolte una affianco all’altra, come prova della nostra intesa, le foto di Chavez, del Che, di Sadr e di Kameney. Questi leaders salutano insieme il nostro popolo. Se noi rispettiamo le vostre opinioni, e voi le nostre, nessuna potenza imperialista potrà batterci!’ 1
Queste parole sono un colpo frontale a quei gruppuscoli fascisti che rivendicano margini di dialogo con l’Islam sciita. Ma cosa sanno questi personaggi della cultura musulmana? Ovviamente nulla. Digiuni di qualsiasi nozione di storia politica, i neofascisti ‘’di sinistra’’ fanno circolare nei loro circoli alcune fotografie che ritaggono i militanti di Hezbollah con il braccio teso. Gli sciagurati scambiano quel saluto per un “saluto romano”. In realtà, nel mondo islamico, tale gesto viene fatto risalire ai tempi dell’Antica Mesopotamia ed è un giuramento di fedeltà ai martiri caduti in battaglia. L’ignoranza dei fascisti si dimostra proverbiale.
Il pensiero di Nasrallah riprende, senza ombra di dubbio, la teoria islamosocialista di Ali Shariati. Shariati divise la storia dell’Islam sciita in sciismo rosso e sciismo nero. Lo sciismo nero era quello dei Pahlavi mentre quello rosso appartiene alla rivoluzione. Interessante che il nostro faccia riferimento ai colori, rosso e nero, e che compendi il suo pensiero nella frase ‘ogni vero musulmano è un rivoluzionario’. Khamenei, uomo di grandissima cultura, si è espresso in questo modo su Shariati: ‘Può darsi che egli si sia sbagliato nel comprendere o spiegare certe questioni islamiche, ad esempio nell’alveo del Monoteismo e della Profezia, ma questo non deve giustificare il fatto di considerare in modo negativo Shariati. In questo pensatore possiamo trovare molte idee buone’ 2.
Seguendo questa linea, ci sono componenti islamiche – dentro e fuori l’Islam sciita – del tutto incompatibili, non solo con l’imperialismo ed il sionismo internazionale, ma anche con il capitalismo. Avranno, in futuro, la possibilità di emergere? E’ ciò che ci auguriamo
http://www.webalice.it/mario.gangarossa/sottolebandieredelmarxismo_internazionale/2006_08_hassan-nasrallah_un-solo-fronte-contro-l-imperialismo.htm
http://italian.irib.ir/radioislam/programmi-di-radio/personalit%C3%A0-e-intellettuali/item/143783-2013-06-20-19-08-16
(*) Deniz Gezmis, figura leggendaria del maggio ’68 turco, fu successivamente uno dei dirigenti del movimento studentesco turco dei Giovani rivoluzionari (Dev Genç) e dell’Armata di Liberazione popolare di Turchia (THKO). Nel 1969, raggiunse l’OLP clandestino in Palestina, e vi restò circa tre mesi. Il 4 marzo 1971, partecipò al rapimento di quattro militari americani nel quartiere di Balgat ad Ankara. Catturato a Sarkisla, nelle montagne di Sivas, fu giudicato secondo l’art. 146/1 per “tentativo di rovesciamento del’ordine costituzionale turco”, e condannato a morte il 16 luglio 1971, assieme ai suoi compagni Yusuf Aslan et Hüseyin Inan. Per tentare uno scambio di prigionieri con il governo turco, e così evitare l’esecuzione di Deniz e dei suoi compagni, alcuni combattenti del THKP-C, Partito-fronte di Liberazione popolare della Turchia ed il suo dirigente Mahir Cayan (che nel maggio del ’71 si fecero conoscere per l’esecuzione dell’ambasciatore israeliano ad Ankara, Efraim Elrom) organizzarono il 27 marzo 1972 il rapimento di tre agenti britannici dalla base NATO situata a Ünye. Il 30 marzo 1972, i combattenti del THKP-C falliscono il tentativo di negoziato, e rimangono uccisi dall’esercito governativo nel villaggio di Kizildere. Il 6 maggio 1972, Deniz Gezmis e i suoi due compagni morirono da eroi sotto la potenza nemica, dopo aver sfidato i loro carnefici invocando l’insurrezione dei popoli turchi e curdi.
Descrizione della figura di Deniz Gezmis tratta dal sito Sottolebandieredelmarxismo.