L’Ucraina si trova a fare i conti con la situazione peggiore della sua storia post-sovietica. A determinare la gravità del presente concorrono molteplici crisi, sul fronte sanitario, economico, energetico, politico e militare. Lo smantellamento del sistema sanitario avviato con il collasso dell’Unione Sovietica pesa come un macigno sulla situazione epidemiologica, insieme ai bassi livelli di vaccinazione: l’andamento della pandemia di Covid-19 all’inizio di novembre fa registrare circa 20.000 contagi e oltre 700 vittime al giorno.
In tale contesto la popolarità dell’ex comico Volodymyr Zelenskij è ai minimi dalla sua elezione alla presidenza ucraina: la sua presa sulla struttura istituzionale traballa insieme al precario equilibrio del Paese, quantomai instabile. Dopo il ministro dell’Interno Arsen Avakov, anche il ministro della Difesa Andreii Taran si è dimesso. Nel frattempo, l’ex capo dell’organizzazione neofascista Pravyi Sektor Dmytro Yarosh è stato nominato consigliere del capo di Stato Maggiore delle Forze armate Valerij Zaluzhin. Crescono nel frattempo a Kiev le preoccupazioni per il completamento del raddoppio del gasdotto North Stream, benché ancora inattivo. Alla questione North Stream 2 si aggiunge il fatto che Mosca ha comunicato l’interruzione delle forniture di carbone destinate all’Ucraina a partire dall’inizio di novembre. Secondo il deputato ucraino Ivan Krulko, alcune decine di centrali termoelettriche del Paese sarebbero già ferme a causa della mancanza di combustibile.
Il quadro più ampio in cui questa vicenda si inserisce ha visto susseguirsi, negli scorsi mesi, le visite in Ucraina del segretario di Stato Antony Blinken e della rappresentante speciale statunitense per l’Ucraina Victoria Nuland, che hanno anticipato di poche settimane le dimissioni dell’ormai ex ministro dell’Interno Arsen Avakov. Nel frattempo è stata annunciata la firma del nuovo “accordo di partenariato strategico”, da cui traspare come Washington non sia particolarmente soddisfatta di quanto accade in Ucraina. Tra l’altro, sull’onda lunga della Brexit, il ruolo giocato in Ucraina dalla Gran Bretagna sta assumendo proporzioni crescenti, con Londra che starebbe per consegnare per la prima volta una partita di missili a Kiev.
La versione più verosimile per spiegare le recenti dimissioni di Avakov e Taran riconduce, infatti, i motivi fondamentali di queste alla volontà politica occidentale, in particolar modo di Londra e Washington, che intenderebbero da un lato bilanciare il tentativo di accentramento da parte di Zelenskij, dall’altro ridurre lo spazio d’opposizione per movimenti o forze politiche diffidenti rispetto all’ambito atlantico. In questo scenario l’ex ministro Avakov, annoverabile a pieno titolo tra gli oligarchi del Paese, potrebbe diventare uno dei principali candidati in vista delle elezioni del 2024 o di una possibile conclusione anticipata dell’attuale mandato presidenziale. Per la galassia neofascista ucraina Avakov è stato sin dai giorni di Maidan uno dei principali riferimenti, figura con un potere a disposizione tale da apparire a tratti addirittura maggiore di quello del presidente.
Anche il coinvolgimento di Zelenskij nello scandalo “Pandora papers” potrebbe sottintendere una mossa statunitense volta ad indebolire l’attuale presidente ucraino, pur non mirando, naturalmente, a favorire l’influenza russa in Ucraina. Quella dei Pandora papers, del resto, è solo l’ultima delle grane con cui “il servo del popolo” si trova a fare i conti. Lo scorso settembre, Sergeij Sherif, uno dei principali collaboratori del presidente ucraino, insieme al quale si trova coinvolto nello scandalo Pandora papers, è salito alla ribalta delle cronache per aver subito un presunto attentato con alcuni risvolti ancora poco chiari.
Lungo l’asse Washington-Kiev gioca un ruolo fondamentale l’oligarca Ihor Kolomoiskij, principale finanziatore dell’ascesa politica dell’attuale presidente ucraino: i contrasti dell’oligarca Kolomoisky con la giustizia statunitense potrebbero influenzare in modo assai rilevante il quadro politico ucraino. Un possibile accordo Washington-Kolomoisky volto a garantire una certa tutela a quest’ultimo soprattutto in relazione alle sue proprietà negli Stati Uniti potrebbe indebolire ulteriormente la posizione politica di Zelenskij. Dando risalto alla recente approvazione della legge antioligarchi, quest’ultimo sembra voler tranquillizzare i governi occidentali e contenere il calo costante dei consensi sul piano interno, da una parte insistendo sulla narrazione della lotta contro gli oligarchi, dall’altra rinnovando il leitmotiv della lotta per “l’integrità territoriale dell’Ucraina”. I risvolti della legge antioligarchi, approvata dal Parlamento ucraino lo scorso settembre, si inseriscono dunque in un quadro di profonda complessità.
Per la compagine del presidente Zelenskij, il fine della legge antioligarchi è quello di contenere il ruolo politico dei miliardari che hanno segnato le vicende politiche dell’Ucraina sin dall’inizio del suo corso post-sovietico. Sulla carta, la misura impedisce a “personaggi influenti” a cui sono riconducibili ricchezze rilevanti, così come a figure che controllano i media, di finanziare formazioni politiche: nei fatti, la vaghezza del provvedimento lascia la porta aperta ad un utilizzo prevalentemente strumentale della legge. Per le fazioni politiche avverse a Zelenskij la legge non sarebbe che una misura volta a blindare la sua posizione politica, scongiurando il rafforzamento di altre fazioni.
L’instabilità di lungo corso dell’Ucraina appare come uno dei risvolti della strategia antirussa confermata dall’amministrazione Biden. Mentre gli oligarchi e la maggior parte delle forze politiche ucraine appaiono interessati ad una conclusione anticipata del mandato di Zelenskij, il conflitto nelle regioni orientali prosegue e resta irrisolto nonostante gli accordi di Minsk e la formula Steinmeier: ma a mancare, prima del rispetto di questi accordi, sono i presupposti di sostenibilità geopolitica di un’Ucraina che si immagina interamente polarizzabile sull’Occidente.
Con il conflitto, restano irrisolte anche le dispute energetiche che lasciano l’Ucraina nell’incertezza e che rendono verosimili anche nel breve periodo nuovi stravolgimenti sociali e politici.
Fonte articolo: https://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/Zelenskij_indebolito.html