Per i palestinesi morire a migliaia come mosche sotto le bombe è quasi naturale, sembra essere il loro destino, non suscita emozioni intollerabili nella comunicazione mediatica. Sono solo numeri. Una contabilità che misura il grado di sicurezza che Israele ritiene accettabile per difendere la sua sicurezza che sente minacciata dalle aspirazione legittime del popolo palestinese ad avere una propria patria e una propria sicurezza. Due popoli sono troppi per una terra destinata e promessa dal loro dio ad un unico popolo eletto.
Questo il cuore della ideologia razzista che è alla base dell’avventura sionista in Palestina. Gideon Levy, giornalista israeliano di Haaretz, lo ha chiaramente scritto: la maggioranza degli israeliani si ritiene essere un popolo che ha diritti superiori agli altri in virtù di questa elezione divina e ritiene i palestinesi far parte di una umanità inferiore, buona in altri tempi solo per svolgere funzioni da schiavo. Ma la schiavitù oggi è formalmente abolita e in attesa di una soluzione finale, meglio tenerli rinchiusi in un lager a cielo aperto, nelle gabbie che circondano Gaza e la Cisgiordania, centellinando la distribuzione di acqua, viveri ed elettricità per la popolazione. Se poi scappano o evadono diventano terroristi e meritevoli di punizione divina o del carcere a vita, anche senza processo.
Come si sa, gli israeliani si sentono le vittime eterne della storia e, in questa narrazione, non possono mai identificarsi nei carnefici, qualunque aberrazione possano commettere in nome dell’ebraismo. Il senso di colpa eterno dell’Occidente accompagna e sostiene questa narrazione, anche quando non poggia su basi verificabili ed è palesemente falsa, come nell’attuale mattanza di Gaza. Ma si sa. Meglio essere prudenti..Prevenire e criminalizzare la resistenza dei palestinesi, additandoli nel racconto mediatico come carnefici potenziali, serve a rafforzate il ruolo di vittima del popolo israeliano e a legittimare la attuale violenza di Stato contro i civili di Gaza nonché a calmare i nostri sensi di colpa.
La contabilità fredda delle vittime innocenti e inermi di Gaza che cadono sotto le bombe del potente esercito israeliano non deve suscitare emozioni. Sono il prezzo da pagare sull’altare della superiore sicurezza di Israele.
C’è sempre una potenziale vittima da proteggere da un potenziale carnefice.
Ma se oggi i palestinesi, le vittime reali, avessero le armi per abbattere i palazzi di Tel Aviv e fare centinaia di vittime civili fra gli israeliani, il racconto cambierebbe? Non credo.
Sarebbe la dimostrazione che la vittima è solo una: il ritornello del 7 ottobre come giorno che rinnova il ricordo tremendo dell’olocausto. Ritornerebbe il Canto e il Lamento pubblico e mediatico per le vittime innocenti, queste si, della violenza disumana del terrorismo antisemita. Questa visone giustifica in anticipo agli occhi di Israele la violenza disumana che viene impressa in questi giorni sulla carne dei Palestinesi per ricordare loro che hanno uno status che non prevede una pari dignità nella storia e soprattutto che non possono avvalersi agli occhi del mondo della loro condizione di vittime reali.
E così poter continuare la narrazione biblica del popolo eletto perseguitato e vittima dei suoi nemici. Fino a quando?