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Standing ovation, come si suol dire (“Quando ce vò, ce vò” si dice a Roma…), per la sindaca di Roma, Virginia Raggi, che pure non abbiamo mancato di criticare duramente in altre recenti occasioni, che ha detto un no netto e definitivo alle Olimpiadi del 2024.
Il no della Raggi è un no all’ulteriore cementificazione selvaggia di Roma, all’inevitabile distruzione di un’altra parte dell’Agro romano, all’ edificazione di opere inutili e costosissime (ricordiamo l’incredibile flop con tanto di sprechi, speculazioni e cattedrali nel deserto dei mondiali di calcio del ’90), allo stravolgimento ambientale e urbanistico di una città già ampiamente dissestata e saccheggiata da settant’anni di amministrazioni democristiane, di centrosinistra e di destra (con l’unico positivo intermezzo delle giunte di sinistra guidate da Argan, Petroselli e Vetere a cavallo tra gli anni ’70 e ’80).
Ma è soprattutto un no al quel blocco di potere che incombe su Roma e che ha fatto il bello e il cattivo tempo da settant’anni a questa parte, formato da costruttori, giornali (di loro proprietà), banche, Vaticano, burocrazia varia, “partiti di governo”, lobby affaristiche, faccendieri di ogni genere e grado e vere e proprie organizzazioni criminali.
Per una volta quel sistema di potere è stato preso a schiaffoni. Il che non è poco, e quello che è ben fatto, è giusto che venga riconosciuto. Vedremo quali saranno le prossime mosse dei “soliti noti”. Perché quella non è gente che si dà per vinta.