Come il compianto Costanzo Preve, nutro (con le dovute eccezioni…) nei confronti dei cosiddetti “intellettuali” un sentimento che oscilla fra il disprezzo (nei casi peggiori, cioè quelli del tutto asserviti al sistema dominante, qualsiasi esso sia) e la disistima, nei casi di coloro che “vorrebbero ma non possono”, cioè di quelli che tentennano, che hanno un punto di vista critico, anche condivisibile, ma alla fine scelgono di abdicare alle loro convinzioni o tutt’al più di mediare per difendere i loro personali interessi; carriere accademiche, visibilità mediatica, appartenenza al “salotto buono” mediatico, accademico e politico.
Onde per cui gli intellettuali veri, quelli senza virgolette – ma forse in questo caso possiamo anche definirli filosofi, sono coloro che osservano e interpretano la realtà per quella che è e non per quella che vorrebbero che fosse in base ai loro desiderata ideologici (o di coloro che li stipendiano…) e dicono quello che pensano senza curarsi delle conseguenze. Azzardando, potremmo anche dire che questa è anche la complessa figura del “profeta”. Quest’ultimo infatti, da questo punto di vista né più e né meno del filosofo, non è colui che pre-vede il futuro (questa è la volgarizzazione della figura del profeta), come se avesse una metaforica sfera magica, ma colui che rompe e irrompe nella realtà con la sua parola e svela la realtà stessa per quella che è.
E’ quindi evidente che il soggetto che sto descrivendo non ha nulla a che vedere con il tasso di erudizione o il numero di libri letti, né tanto meno con il titolo di studio conseguito e la sua posizione professionale e/o sociale all’interno della società. Del resto, come amo ricordare spesso, nessuna vera rivoluzione è mai nata nelle accademie.
Questi sono per me i veri uomini (o donne) di pensiero e sono anche coloro disposti a pagare il prezzo delle loro scelte. A questi ultimi va la mia totale e incondizionata stima. Di tutti gli altri ho già detto.