Malgrado i propagandisti nostrani si adoperino per
“nobilitarlo” (con esiti, per la verità, alquanto grotteschi…), l’atteggiamento
assunto dai leader occidentali riguardo alle due crisi internazionali in corso
non ha proprio nulla di etico, ma a ben vedere non rappresenta nemmeno
un’assoluta novità: tutt’altro.
Dall’inizio dell’evo moderno la storia del c.d. Occidente è
costellata di sopraffazioni ai danni delle nazioni e dei popoli “altri”, che ci
vengono presentate da cronisti compiacenti come giustificate e persino
meritorie. A differenza ad esempio della Cina, che oggi come ieri predilige
strategie di penetrazione commerciale, e delle popolazioni “primitive” di
Africa, America e Oceania, gli stati europei sin dalla loro formazione hanno
guardato al resto del mondo con mal dissimulata cupidigia e non si sono fatti
scrupoli di assoggettarlo e poi contenderselo con le armi. Se il razzismo
propriamente detto è un fenomeno recente, che si afferma in età contemporanea,
la tendenza a considerarsi superiori intellettualmente e moralmente si
manifesta sin dai primi contatti con genti diverse e in precedenza sconosciute.
Nessun’altra “razza” ha preteso di imporre i propri valori, interessi, regole
sociali e stili di vita agli abitanti di terre lontane, umiliandone cultura e
tradizioni – e questo è forse l’aspetto meno tragico, perché i bianchi invasori
hanno fatto costantemente ricorso, nei confronti dei nativi, a pratiche
genocide e alla riduzione in schiavitù. Ne “Il supplizio del legno di sandalo”
Mo Yan offre uno spaccato delle indicibili efferatezze commesse dai soldati
tedeschi nella Cina di fine ‘800, ma il trattamento inflitto dagli spagnoli a
quechua, aymarà e mesoamericani (a partire dal XVI secolo), il massacro dei
bandani a opera degli olandesi della Compagnia delle Indie orientali (XVII
sec.) e, infine, il sistematico e premeditato sterminio degli indiani
d’America da parte statunitense sono soltanto alcune delle pagine di un
interminabile libro nero – quello del colonialismo predatorio – che continua
purtroppo ad arricchirsi di capitoli illeggibili.
È
certamente vero che anche potentati extraeuropei hanno intrapreso guerre di
conquista (si pensi agli Incas o ai Persiani) e che pure gli antichi greci e
romani guardavano con sospetto i “barbari” e, all’occorrenza, ne menavano
strage, ma è solo con l’avvento della modernità che prima in Europa, poi nelle
colonie d’oltremare assurge a senso comune la ferrea distinzione tra “noi” –
gli umani propriamente detti, i figli prediletti di un qualche Dio, i civilizzatori – e “loro”, gli alieni considerati alla stregua di
animali parlanti, di Untermenschen
senz’anima. Di questi bruti si può liberamente disporre perché – si argomenta –
la loro inferiorità nei campi del pensiero, delle tecniche e delle arti è così
palese che è lecito dubitare siano membri del consesso umano. Da questo terreno
“ideale”, concimato dal pregiudizio, dall’avidità e dall’abitudine, germoglierà
nel XIX secolo la mala pianta del razzismo.
L’uomo
moderno occidentale, tuttavia, non vede se stesso come un aggressore seriale,
uno sfruttatore, un raptororbis, ma
si autolegittima come vettore di sviluppo e di “verità”. Si tratta, nei primi
secoli, di convertire il mondo al cristianesimo facendo piazza pulita di idoli
e idolatri, poi di razionalizzare le modalità di produzione e distribuzione
delle merci, indi di diffondere il verbo liberale e – buon ultimo – quello
democratico: il particolare che questa missione salvifica procuri sofferenze,
mortificazioni e lutti ai “beneficiari” (e lauti profitti a chi se ne incarica)
è un irrilevante danno collaterale.
L’odierno
Occidente a guida statunitense non si discosta da questo modello, elevandolo
anzi all’ennesima potenza grazie a una capacità di persuasione/condizionamento
(nei confronti anzitutto dei sudditi) inimmaginabile in un passato anche
prossimo. La narrazione propinataci dai media sistemici sulla “democratica (!)
Ucraina aggredita” e su Gaza è pura fiction,
confezionata però con maestria e dotata di una coerenza interna che la rende
non veridica, ma verosimile: il
rischio che manchi l’happy end (il
trionfo di Rambo, Aragorn o Tom Cruise su avversari abbietti e disumani) deriva
non da una sceneggiatura carente né dai dubbi espressi dagli spettatori più
critici, bensì dagli inattesi progressi compiuti da avversari ormai poco
propensi ad accettare il ruolo di vittime predestinate.
La
Cina non è più quella decadente della dinastia Manciù, la Russia rifiuta di
adeguarsi alle regole del gioco anglosassoni, paesi un tempo periferici esibiscono
armi e tecnologie avanzate, i “sacrificabili” (ad esempio gli ucraini qualunque
spediti a crepare al fronte) incominciano a stancarsi di essere mossi come
pedine sulla scacchiera degli interessi altrui.
L’egemonia occidentale, fondata in precedenza sulla tecnica e sul sostanziale monopolio delle risorse, si va rapidamente sgretolando, ma per le élite e sub-élite del sedicente “mondo libero” ciò costituisce una prospettiva inconcepibile e un oltraggio da lavare col sangue, anche a costo di andare incontro a una catastrofe epocale. I governanti-vassalli europei, in particolare, perseverano nel loro cieco oltranzismo perché incapaci di elevarsi da fiduciari a statisti e di immaginare un’azione politica innovativa che sfugga alla logica (ereditata) del c.d. pilota automatico: privi di idee, ideali, motivazioni altruistiche, indipendenza di giudizio e adeguata formazione non sanno banalmente che pesci pigliare, e seguitano a percorrere la strada che è stata loro indicata una volta per tutte. Per questa gente there is no alternative, ma il famoso pilota automatico, se mal impostato, può senz’altro condurci in un vicolo cieco o precipitarci tutti insieme in un abisso.
Che le prossime elezioni europee possano determinare un’inversione di rotta resta, allo stato, una pia illusione.
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