L’intervento di Fabrizio Marchi sul modo anomalo con cui i morti sul lavoro sono diversamente trattati all’interno del mondo mediatico e politico, ci racconta di una verità e di una menzogna evidente, le quali sono davanti a noi, ma in genere non producono né concetti né azioni. La verità evidente è il massacro di classe in atto, la lotta di classe l’hanno vinta, al momento i padroni, per cui le morti sul lavoro sono numeri nella normalità del male e dello sfruttamento quotidiano. Sono in gran parte uomini senza nome e storia, in questa maniera scivolano dall’immaginario collettivo come acqua su marmo. Si suppone che sia una tecnica del mainstream. Privare un lavoratore del suo volto, della sua biografia e limitarsi ad un generico e veloce appello ha un doppio vantaggio: la denuncia è stata svolta, ma nel contempo è velocemente rimossa, pertanto il sistema capitale non è attaccabile, in quanto l’informazione è stata data. Siamo in democrazia… Società della menzogna capace di mentire anche quando informa. L’informazione necessita di dibattiti e discussione per trasformarsi in consapevolezza comune, tutto questo è abilmente evitato con informazioni brevi e veloci. Nessun esponente politico denuncia le morti bianche palesando il lungo iter di controriforme con cui si è liberalizzato e deregolamentato il lavoro all’interno della globalizzazione. Il silenzio che accompagna le notizie sono il segnale che il modo di produzione capitalistico è capace di trasformare la verità in menzogna con il consenso dei nuovi oratores: giornalisti e intellettuali di regime. Il caso dello studente (ancora un uomo!) morto a scuola durante l’alternanza scuola lavoro è stato aggirato con slogan banali: più sicurezza e più ascolto, in tal maniera si evita di discutere del problema e del dramma nella sua verità: a scuola si impara lo sfruttamento e l’adattamento fatalistico al sistema capitale. La verità è menzogna al punto che si inocula il germe della discriminazione tra i morti per il lavoro. Non dobbiamo meravigliarci o scandalizzarci, poiché, mentre si susseguono le giornate sulla memoria e si condannano le discriminazioni del passato, è in atto una discriminazione valutata dai più come normale o inevitabile. Per cui nel caso cada sul lavoro, ormai autentico fronte di guerra, una donna ha un volto e una storia. Non tutti i generi sono uguali, il femminismo di regime usa le donne quale sgabello e catalizzatore per il sistema, pertanto ci si batte il petto, e si denuncia che spesso le donne sono meno pagate degli uomini. Anche in questo caso l’attenzione è deviata su altri temi che non mettono in discussione il sistema, ma che trovano facile e tragico consenso. Tutto è falso al punto che la verità è investita da un’operazione di pubblica manipolazione e la si usa in modo ideologico per falsificarla con il semplicismo acritico del politicamente corretto. Il silenzio di partiti e sindacati consente il rafforzarsi della tragica fiaba ideologica del capitalismo assoluto, la quale non ha lieto fine, ma pur di perseguire la sua corsa nichilista è capace di passare sui quotidiani cadaveri dei lavoratori (uso il maschile generico). Se l’attuale lotta di classe è dalla parte dei padroni ciò è dovuto ad una diffusa complicità e ricattabilità, anche, di una diffusa classe media che si adatta per opportunismo e per disperazione, poiché crede ancora nella mobilità sociale. L’individualismo ipertrofico con cui i lavoratori sono stati addomesticati in questi decenni completa il quadro della seduzione in atto, in cui la verità è sostituita dai simulacri e dalla manipolazione delle parole. Il problema è “Che fare?”, tutti siamo coinvolti e responsabili, ma dinanzi alle nuove generazioni che si percepiscono solo come individui e consumatori, in media, ogni ipotesi d’azione diviene difficile. Porre il problema è il primo passo, scrivere per un eventuale pubblico dibattito è importante, il grande assente è una forza politica che si faccia carico con chiarezza di tali problematiche. Il partito comunista di Rizzo fa il possibile, ma pesa su di esso il pregiudizio storico relativo alla caduta del muro di Berlino e la presenza minimale delle posizioni di Rizzo nei media. Un partito inoltre non può avere un unico volto che lo rappresenti. In tutto questo marasma tempestoso non resta che resistere, ciascuno con il proprio contributo, anche minimo, può favorire le condizioni per il cambiamento e la prassi. Gramsci ci ha insegnato l’ottimismo della volontà e il pessimismo dell’intelligenza, per cui analizziamo il presente con uno sguardo al futuro, il sistema è lacerato da contraddizioni e fessurazioni, l’impossibile può sempre accadere e rammentiamoci:
“Uno sforzo immane deve essere compiuto dai gruppi comunisti del Partito Socialista, che è quello che è, in ultima analisi, perché l’Italia è nel suo complesso un paese economicamente arretrato. La parola d’ordine: – Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà, deve essere la parola d’ordine di ogni comunista consapevole degli sforzi e dei sacrifici che sono domandati a chi volontariamente si è assunto un posto di militante nelle file della classe operaia[1]”.
[1] Dove va il Partito Socialista?, “L’Ordine Nuovo” [settimanale], anno II, n. 9, 10 luglio 1920.