Pochi giorni fa, il 22 marzo, è scomparso Sante Notarnicola. Wikipedia (ripeto, Wikipedia) lo definisce un “rivoluzionario e un poeta”.
Sante Notarnicola nacque ottantadue anni fa a Castellaneta, in Puglia, da famiglia poverissima. Trascorse la sua infanzia in un orfanotrofio e all’età di tredici anni raggiunse la madre nel frattempo emigrata a Torino. Cominciò a fare attività politica fin da giovanissimo nella FGCI (l’organizzazione giovanile del Partito Comunista) e poi nel PCI. Ma presto ne uscirà.
Inizia così il suo percorso a metà, in un primo tempo, fra il banditismo e la lotta armata. Entra a far parte della famosa “banda Cavallero” che si renderà responsabile di decine di rapine nel nord Italia. Il tutto culminerà con una violenta sparatoria durante l’assalto ad una banca in pineo centro a Milano e il successivo inseguimento dove perderanno la vita quatto persone. In quell’occasione viene arrestato e condannato all’ergastolo. Era il 1968. Uscirà dal carcere nel 1995 in semilibertà e solo dal 2000 sarà completamente libero.
Una volta in carcere abbandona del tutto i suoi trascorsi “banditeschi” per abbracciare la lotta armata anche se non entrerà mai organicamente in nessuna organizzazione. In carcere è stato un leader – non c’è altro modo di definirlo – delle lotte dei detenuti per i loro diritti e per ottenere migliori condizioni di vita. Ma le rivolte che Sante Notarnicola organizzava e guidava non erano semplicemente rivendicative ma un atto rivoluzionario con cui – uso una terminologia dell’epoca – i “proletari e i comunisti prigionieri” davano il loro contributo alle lotte che si svolgevano fuori del carcere.
Non è mia intenzione fare in questa sede un’analisi dell’esperienza della lotta armata svoltasi in questo paese durante gli anni ’70. Mi limito solo a dire che si trattò di un tragico errore che portò a conseguenze politiche e umane ancora più tragiche, direi anzi politicamente disastrose. Né tanto meno mi interessa fare analisi dietrologiche sulle ambiguità, i risvolti oscuri, le trame nere e di stato (e atlantiche…), i misteri e i tanti e diversi eventi di quella stagione che si intrecciano fra loro e che resteranno in larga parte sconosciuti.
Quello che voglio fare ora è solo ricordare l’uomo Sante Notarnicola, senza fare sconti sui suoi tragici errori che, del resto, ha ampiamente pagato con trent’anni, praticamente una vita, di galera, e non di galera qualsiasi ma di “carcere speciale”, come si chiamavano allora i penitenziari, appunto “speciali”, dove venivano detenuti i militanti delle organizzazioni armate o, se preferite, terroristi, e i mafiosi.
Sante Notarnicola era un ribelle, un proletario che si è ribellato al suo destino e lo ha fatto in modo in parte ambiguo e anche sbagliato per tanti versi, e però si è ribellato. Per uno come lui, con la sua storia disgraziata (quella di tanti e tanti altri come lui) sarebbe stato molto più facile diventare un criminale comune, e per un tratto della sua vita, ha rischiato di diventarlo, diciamo che è stato sul crinale. E poi invece ha scelto di essere quello che già era in erba e che sarà per tutta la vita. Un comunista, un rivoluzionario. Lo dico – ripeto – senza condividere nulla delle sue scelte. Ma ora mi interessa il risvolto umano e anche quello storico-politico che ha comunque creato le condizioni per quella che è stata la sua vita e le sue scelte.
Scelte che ha pagato fino in fondo, senza nessuno sconto e senza nessun patteggiamento. In carcere divenne anche un poeta e famoso è il suo carteggio con Primo Levi.
Ho sempre avuto – non so perché – una simpatia a pelle, come si suol dire, per quelle persone che vivono processi catartici, in tutti i sensi, galeotti che diventano artisti, scrittori, intellettuali (veri, non da salotto…) e sottoproletari, come appunto Notarnicola, che diventano dei rivoluzionari e spesso, come dicevo, dei veri e propri intellettuali. Pensando a Sante Notarnicola la mia mente va a Malcom X, sottoproletario afroamericano dedito all’alcool, allo spaccio della droga e a diverse forme di illegalità, destinato a diventare un grande leader dei neri e della “nazione dell’Islam”, ad Ali La Pointe, sottoproletario algerino dedito alla microcriminalità e cresciuto in un riformatorio, diventato in seguito uno dei dirigenti del Fronte di Liberazione Nazionale algerino, la cui figura è stata così ben descritta da Gillo Pontecorvo nel suo celebre film “La battaglia di Algeri”.
E così tanti altri come lui. Del resto, come dimenticare il peone messicano, profondamente disilluso e diventato bandito, Juan Miranda, del mitico film di Sergio Leone, “Giù la testa”. Un personaggio inventato, certo, ma rappresentativo di tanti come lui. Uno che, suo malgrado e apparentemente contro la sua volontà, si ritrova sempre in mezzo alla rivoluzione.
La morale? Sante Notarnicola e tutti quelli come lui sono figli di un contesto storico che li ha fatti diventare quello che sono diventati, nel bene e nel male. Oggi, in quest’epoca che ci è toccata in sorte di vivere, quelli come lui finiscono inevitabilmente ad ingrossare le file della camorra, della mafia o della ‘ndrangheta, strafatti di cocaina, assassini senza scrupoli, senza discernimento, privi di ogni morale e di ogni barlume di umanità. A differenza di quelli come Notarnicola però questi ultimi non fanno paura ai padroni del vapore. Li lasciano liberi, anche di ammazzarsi fra loro. Del resto, che fastidio gli danno? Nessuno, sono ridotti a bestie selvagge che si massacrano per soldi e controllo del territorio; in fondo sono esattamente come loro, soltanto più rozzi.
E allora, rendo onore a quest’uomo, Sante Notarnicola, un ribelle, un rivoluzionario. Una cosa è certa: i suoi errori, a differenza di tanti altri – ivi compresi presidenti, capi di stato, banchieri, industriali, papi, generali, questurini, capimafia e trafficanti di droga – li ha pagati tutti. Al punto tale che anche i “media di sistema”, in questi giorni, non hanno potuto fare a meno di descriverlo come un bandito, un fuorilegge, ma anche come un rivoluzionario e un poeta.
Fonte foto: da Google